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Conglomerandocene: Letti

Nella nuova puntata della rubrica dello Sgargabonzi su Rolling Stone, una storia di lenzuola, deserti di gommapiuma e sveglie un'ora prima

Conglomerandocene: Letti

Foto via Unsplash

Erano sterminati deserti di gommapiuma, dove galleggiavamo al sicuro dai giorni, dalla fame e da un paio di verità che sarebbero state. Letti di latte caldo. Letti di fresche fruscianti lenzuola. Letti del morbillo e della febbre alta.

Furono i letti della sveglia un’ora prima, illusi di ripetere al buio insensate lezioni di storia. Letti di sonni interrotti al mattino dall’odore del caffè di mia madre, dell’Aqua Velva di mio padre. E ancora fortezze dove barricarsi, col mondo imbavagliato fuori e l’esplosione di un universo nuovo tutto nello stomaco. Letti di meraviglia, quando il sole delle mattine d’aprile prometteva un’estate senza fine. Federe a fiori dei riposini delle domeniche pomeriggio afose, col rumore delle stoviglie, della tv e delle chiacchiere delle zie. Tappeti volanti con cui esplorare il mare senza muovere un passo sul pavimento in graniglia delle pensioni della riviera. Letti di dormiveglia fantasticanti amori perfetti ai confini del tempo, lunapark dove perdersi per farsi scoppiare il cuore quando ci saremmo ritrovati e corsi incontro. Letti di pianti soffocati sul cuscino, pugni stretti e radio accesa, quando nulla era più presente di chi non c’era.

Furono letti di rivoluzione, col cuore in gola, bagnati di scoperta, dove perdemmo l’innocenza per un’innocenza nuova. Letti che conquistammo o a cui ci consegnammo, dove amammo e fummo quasi amati. Letti dove leccammo buchi del culo giocando ad afferrare un’anima. Poi li leccammo tentandolo disperatamente. Letti dove rimboccammo le coperte a chi avremmo voltato le spalle. Letti che, messi alle strette, farneticarono risposte sbagliate. Diventarono pagliericci senza parole, dell’acquiescenza, della rinuncia, di distanze siderali. Letti della televisione accesa sul cinescopio Rai. Giacigli scomodi di sveglia alle cinque per pagarsi la vita che correva. Letti di crampi, insonnia, reflusso gastrico. Letti dove trattenere, con unghie sempre più fragili, lo splendore dei ragazzi che eravamo. Cucce sgualcite dove nascondersi da camere ardenti che parevano infinite. Sfilacciati tappeti volanti in lenta rotta verso abissi oceanici.

Letti dove la mente s’ammalò prima del corpo. E su quei letti ci fermammo, un giovedì qualunque, per accorgerci che era solo passata la vita. E sotto neon accecanti sognammo un’ultima volta la beffa dei nostri genitori giovani, dell’alba sull’adriatico, di un lunapark deserto per noi e il nostro amore bambino. Dove perdersi, ritrovarsi, lasciarsi mai più. Furono i letti dove crepammo, mentre fuori scoppiava l’estate, arresi e soli come soltanto su questa terra si può essere. Ma lo facemmo in silenzio, senza sporcare.

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