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Conglomerandocene: le ragazze di Arezzo Wave

Nella decima puntata della rubrica dello Sgargabonzi per Rolling Stone, una rassegna enciclopedica sulle uniche cose interessanti dell'ex-evento musicale indipendente più grande d'Europa: le donne e il sesso tra i cespugli

Foto via Unsplash

Iniziai a frequentare Arezzo Wave in prima liceo. Ai tempi era la manifestazione musicale indipendente più grande in Europa, mai accettata completamente dagli aretini per il fatto che una volta un hippie di Senigallia cagò per il Corso Italia davanti a un negozio per l’infanzia.

Costringevo i miei genitori a portarmi in macchina dalla campagna insieme ai miei amici Matteini, Palazzi e Franci e facendomi venire a riprendere a tarda sera. In realtà la mia curiosità per l’evento in sé durò poco. Se infatti allora non mi perdevo un concerto al Main Stage, scoperti gli Oasis in terza liceo presi giustamente a fregarmene della musica di merda che suonavano lì (dico solo che un anno ci furono pure i Sonic Youth) per restringere il mio interesse solo ed unicamente al campeggio – ora lo so – ragione inconscia della mie puntate da quelle parti.

Il campeggio era un immenso sterrataccio di polveri sottili e argento arroventato dal sole di luglio su cui campeggiavano centinaia di tende degli hippie di tutto il mondo venuti lì per ascoltare la Bandabardò. Non c’ero mai entrato, ma nella mia fantasia di neonato era il crogiuolo di amplessi, sesso tra uomini, donne e animali, orge organizzate dentro gli anfratti degli scatoloni delle Becks, sapide leccate di fica tagliata mentre suona Bunna degli Africa Unite. La bolgia, la polvere, i bonghi, le bancarelle di cianfrusaglie e gli stronzi che vendono incensi, cappellini mediorientali tarlati e altra merda equosolidale, la gente che piscia nelle bottigliette di Coca Cola e si sentono i calcoli tintinnare contro il vetro e una ragazzina di Lecce ride, i punkabestia coi cani che vomitano cartoni del latte, i tossici a digiuno che vomitano succhi gastrici e altri tossici affamatissimi che ripuliscono col pane. Ero inebriato all’idea di spiare o anche solo fantasticare cosa avrebbero fatto, in preda ai fumi delle droghe e degli spritz, le no global arcobalenate nella loro tendopoli con i loro cazzo di sciamani lakota conosciuti il giorno prima mentre cagavano preservativi dietro un sassofrasso.

Le ragazze di Arezzo Wave con il tanga colorato, sporco di terra, che esce dai loro pantalonacci multietinici, con il top colorato anch’esso, che sostiene, senza wonderbra, un seno sudato e sporco di fuliggine. Eccole, mentre mangiano sotto il sole cocente un cous cous ripieno di cimici vendutogli da una zingara. La testa persa che pensa a Cuba, alla pace nel mondo, al povero Stefano Cucchi e il corpo provocante e sensuale che brama una violenta scopata indorata dalle frasi dei poeti maledetti.

Ci sono le figlie di papà, le studentelle con i piedini piccoli e curati e i sandali da negra africana, con la birra in mano tutte piene di orgasmi, violentate da negri potenti con l’intestino farcito di ovuli pieni di pangrattato che userà la madre per le cotolette che le sfameranno e che col manico d’una forchetta in gola vomiteranno nel cesso dell’Università.

Al Parco del Pionta poi sono le tipe “bucoliche”, col vestitino a fiori, le lentiggini e i capelli rossi, capaci di cagare anche 50 kg di merda in un solo giorno, che si mischiano beatamente tra le fancazziste universitarie, tra gli ulivi e la polvere, leggono libri minimum fax e accarezzano il sesso eretto al loro amico vicino, sognando le parole di merda di Sepúlveda e gli amori folli del Che.

Eccole, quelle che ballano ai margini del palco, minute, coi dentini bianchi, che piroettano incestuose tra mille maschi cazzuti e vogliosi, per poi finire puntualmente a letto con un vecchio con indosso la maschera di gomma di Andrea Pezzi che se le scopa ubriache.

Eccole, quelle con mille piercing e i tatuaggi tribali, realmente sbandate, con l’ansia di dirti degli abusi subiti nei primi trenta secondi di conversazione, i talloni incarogniti, neri e duri, più sporche dei loro pastori tedeschi che si scopano – ne sono certo – durante tutta la notte mentre si iniettano sotto la lingua diarrea di sorcio sieropositivo.

Arrivano poi tutte le autoctone, universitarie o commesse Sephora, in scooter, che si fanno un giro, che si fermano in curva a fumarsi una canna e che poi, dietro al primo cespuglio del parco Giotto, si fanno fottere da uno stronzo con la polo Ralph Lauren, mentre sentono urlare la loro amica che fa lo stesso nel cespuglio vicino e durante i pompini dicono al loro amante cose idiote tipo “senti, queste sono le guancine amore”.

Ma ci sono anche quelle mature coi vestiti marocchini di Marta Marzotto, le sessantottine che concentrano le loro scopate annuali tutte nella settimana di Arezzo Wave, accompagnate da attempati intellettuali coi sandali tipo il Barba di qualche circolo ARCI, maestro di sesso solo perché ha la pancia, il sigaro e fa le cose con calma.

La fauna si completa infine con le scout con gli occhiali appannati che danno la birra, quelle che stanche del servizio del bar scopano svogliate nei pentacoli dei sottochiesa, e con le volontarie delle associazioni di sinistra che regalano profilattici col sorriso di chi ti regala una Volvo, e che usano quelli avanzati a fine serata coi Modena City Ramblers.

Insomma, a ragione veduta della musica posso farne a meno, ma ho sempre impiegato volentieri quella settimana di luglio ad osservare tutte queste giovani ed immaginare le loro notti di amore e sangue, ascoltando i loro orgasmi più nascosti e infine scopandole tutte con l’attrezzo di 50-60 cm con omologazione FAO che ho tra le gambe e mischiando le loro urla di piacere con nuove urla di dolore e terrore con loro che chiamano Stash, Stash, Stash, Fiordispino Stash dei Kolors salvami ti prego.

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