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Conglomerandocene: La lunga notte di Pietro Pacciani

Nella nuova puntata della rubrica dello Sgargabonzi su Rolling Stone, l'ultima notte di Pacciani nella sua casa di Mercatale, in attesa di un nuovo processo per i delitti del Mostro di Firenze

Conglomerandocene: La lunga notte di Pietro Pacciani

Pietro Pacciani durante il processo sul caso del "Mostro di Firenze"

Foto: Wikimedia

Pietro Pacciani viene trovato morto nella sua casa di Mercatale, il 22 febbraio 1998, una domenica pomeriggio. La notte precedente era stato colpito da un ictus emorragico. Da due anni occupava da solo quella casa, la moglie Angiolina Manni se ne era andata durante la sua detenzione. Pacciani era in attesa di un nuovo processo per i delitti del Mostro di Firenze. Nel ’94 era stato condannato all’ergastolo per sette degli otto duplici omicidi, ma nell’appello del febbraio ’96 era arrivata l’assoluzione.

Questa notte passerà.
In un modo o nell’altro giuro su Dio la farò passare.
Mi siederò su questa seggiola e aspetterò. Dalla finestra, le luci arancioni del paese che dorme. Insegne, lampioni, vetrinette degli alimentari, occhi delle civette, puntinelli luccicanti nel buio. Che silenzio c’è stanotte. Tutti i gatti dormono, gli alberi nel bosco, le beccacce tacciono, anche i vicini dormono e sognano vecchi amici di guerra ritrovati, cene di Natale col focolare acceso e i progetti di domani. Non li sveglierò, non li farò preoccupare per niente questi leccasugheri. Ho le braccia stanche e il telefono stanotte è troppo lontano, come le stelle là fuori, da afferrare come Boeri al bar.

Che freddo che fa, stanotte. Questo mal di capo passerà, come treni a vapore in mezzo alla campagna. Gli occhi torneranno a vedere bene, le gambe saranno ancora salde domani. L’importante è avere pazienza e aspettare qui, su questa seggioluccia, che questa notte passi. Se sopporto il dolore, le ore correranno veloci. Quando il fiato mi mancherà, respirerò più spesso. E questa stufettina elettrica mi scalderà.

Chissà se a quest’ora, da qualche parte, qualcuno è sveglio e mi sta pensando. Magari una bella donna. Magari si chiede come sto. Forse un angelo con un bel davanzale stanotte scenderà dal cielo apposta per insegnarmi a disegnare le macchine senza ricalcarle da Quattroruote. Ci stringeremo le mani e con lo stesso lapis solcheremo lo stesso foglio. Poi andremo a fare l’amore nei campi. E lei mi aspetterà se non ce la faccio. E quando sarò stanco e avrò freddo mi porterà con sé sotto il coltrone. Ci copriremo fino alla testa e ci abbracceremo stretti. Che bello sarebbe.

La felicità è un album di ricordi con la carta velina perché non si sciupino. E’ una bottiglia di vino sfuso della cantina sociale in offerta, un bottone ritrovato, una lampada di plastica con un diavolo che la tiene stretta. Non sono solo, stanotte. Il cuculo dell’orologio a cucù mi tiene compagnia e si preoccupa per me. Esce ogni mezz’ora per vedere come sto, se ho bisogno di aiuto. Tanto veloce e furbo che non riesco mai a vederlo, madonna impestata. Sono stanco morto. Ma il letto è troppo lontano, come l’abbraccio di mia mamma quando tornavo dalla guerra. E’ passata una vita da allora. Forse è passata la vita.

Grazie Signore per tutto quello che mi hai dato. Per questa casuccia in affitto, il caffè lungo e nero, la magnesia e l’orzo solubile, per le utilitarie che mi sono sempre scelto bene e queste figurine dei formaggini Susanna da appiccicare al muro per sentirsi meno soli. Grazie per la pensione d’accompagnamento, la zuppa inglese, i biscotti di riso e il Valium, per la carta millimetrata, le biro, le caramelle al rabarbaro, per le foto di mia mamma da giovane, così bella e felice a Mercatale, per quel fiorelluccio che hai fatto nascere ieri mattina fra le piastrelle del terrazzo. Il capo mi cade, le gambe non le sento più. Ho tanta paura ma anche tanta pazienza. Conterò le stelle e questa lunga notte passerà.

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