C’è un tempo per ogni cosa, e ogni cosa ha il suo festival (per ora) | Rolling Stone Italia
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C’è un tempo per ogni cosa, e ogni cosa ha il suo festival (per ora)

Gentilezza, menta (ma anche mente), filosofia, poesia, cinema, teatro, chi più ne ha, più ne metta. Non c'è stato tempo migliore per i Graditi Ospiti di ricchi palinsesti. E tutto sembra, miracolosamente, tenersi

festival dello spettacolo

Un momento del primo Festival dello Spettacolo

Foto: press

Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo, dice L’Ecclesiaste. Può darsi. Ma per ogni cosa e per ogni faccenda sotto il cielo d’Italia, c’è di sicuro un Festival.

Alla fine dell’anno scorso l’Istituto italiano per l’Industria Culturale ne ha contati 3014, e ha parlato di «sviluppo continuo, talvolta impetuoso». Ne nascono di continuo, distribuiti in tutti i mesi dell’anno, ideati da appassionati autentici o da brand in cerca di autenticazione, ispirati dalla ricerca di anime affini o da animosi assessori ispirati da ricerche di marketing. Tutti ambiscono a fare il punto sullo stato dell’arte e delle arti con rigorose rassegne tematiche, o alla peggio, con una trasversale sarabanda. Il Ministero della Cultura ne sostiene il 20% – per ora. E tre regioni (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna) ospitano più di un terzo di tutti i Festival italiani. Per ora.

Crescono, quindi – ma funzionano, servono, piacciono? O siamo infestati dai festival? Questo i dati non lo dicono con esattezza. Per ora. Diverse ricerche su singoli eventi ci dicono che sì, impattano sul turismo, danno lavoro, creano interesse, aggregano. Eccetera. Potremmo dire che se c’è così tanta offerta, si vede che incontra tanta domanda. In un Festival della Scienza come quello di Genova appena concluso forse non avrebbero accettato queste posizioni empiriche. Ma è quanto abbiamo, per ora.

Ciò che sappiamo per certo è che alle spalle della categoria “Spettacoli dal vivo” (Musica, Teatro, Danza, Circo), che stando all’Istituto sono il 37%, crescono i “Multidisciplinari” (29%, prevalenza da Roma in su, più la Sardegna), davanti a quelli di “Cinema, Tv e Prodotti Audiovisivi” (16%, prevalenza da Roma in giù).
In effetti la parola Festival, partita secoli fa dalla Francia (…chi mette l’accento sulla “a” non ha tutti i torti) evoca le arti performative: è facile che la parola faccia pensare a qualche longevo festival di musica, cinema o teatro. Però potreste aver sentito parlare anche del Festival della Spiritualità o del Festival della Gentilezza, quello della Matematica o della Geopolitica, di infiniti Festival della Poesia (…se siete antichi) o dello Storytelling (…se siete yeah), e magari persino del Festival della Nebbia o quello del Lutto, quello della Forza Non Virile, quello della Mente. O della Menta: per esempio quello di Piovà Massaia, Monferrato: si chiama ProfumataMenta, e nei Festival dei Linguaggi e della Comunicazione sarebbero entusiasti.

A questo proposito, è meglio precisare che non stiamo parlando di sagre, con tutto il rispetto per le eccellenze del nostro eccellentissimo territorio. Certo, spesso è arduo tracciare il confine: non di rado, visionarie rassegne dedicate alla castagna e alla patata alimentano importanti crescite culturali (oltre ad alimentare la Grande Figura Professionale Misconosciuta della nazione: l’Ospite), e lo fanno meglio di certe stanche kermesse la cui principale ragion d’essere sono i contributi statali.

A onor del vero, quelle in cui – per dirla con Edoardo Bennato – «la gente applaude nervosamente per mascherare un po’ di delusione» sono sempre più una minoranza. Il comparto è dinamico, come ogni comparto che si rispetti. E non può farne a meno, perché solo gli organizzatori sanno cosa non tocca fare per la visibilità (sempre lei), per contendersi gli Ospiti (sempre loro) e per far uscire di casa il pubblico (sempre lui; se possibile, pagante). Non è più facile come una volta: anche nei paeselli arrivano Netflix e TikTok, e poi ogni sera dell’anno c’è almeno una partita di calcio, al limite un pirotecnico preliminare di Conference League, tipo la tenzone georgiano-kazaka del 10 luglio 2025 tra Torpedo Kutaisi e Ordabasy, gol del 4-3 a tempo scaduto (“E tu mi fai: dobbiamo andare al cine… Vai al cine, vacci tu”).

Ma in questa fase della Storia, come potrebbero confermare al Festival della Storia di Ancona o al Festival della Storia di Gorizia, la popolazione è particolarmente ricettiva. E lo sono anche sponsor, fondazioni ed enti pubblici che – con la loro spiccata sensibilità e i loro specchiati interessi – hanno quel budget tra le dita che può cambiare la tua vita. Storia vera: nel 1998 una ragazza di 21 anni organizzò un festival così bene che il suo piccolissimo club ottenne una visibilità paurosa. Oggi è il primo partito d’Italia e lei è il vostro Presidente del Consiglio. E parlando di Consigli: nell’organizzare il vostro festival, un nome coraggioso vi può aiutare, tipo Atreju, appunto.

Ora qui pensavamo di passare in rassegna le rassegne, ma è complicato: chi rimarrà fuori, rimarrà malissimo – questo è il tipo di articolo per cui qualche amico ti toglie il saluto, e data l’esclusione delle sagre non è il tipo di articolo che si guadagna inviti a degustazioni di vaniglie rare o grappe rarefatte. Altra complicazione è la difficoltà di andare per generi, visto che alla fine tutto finisce con il tendere al gran varietà trasversale, in pratica come vedere la tv però seduti male. Più facile è notare che gli organizzatori sono sempre più spesso testate giornalistiche. Il futuro dei cosiddetti giornali va verso l’uso del loro marchio di qualità nel mondo degli eventi – ché tanto, le edicole ci stanno salutando, le pubblicità online non portano granché e gli abbonamenti nemmeno.

Prendiamo un esempio a caso: il Corriere della Sera. È certamente in linea con l’Ecclesiaste: c’è un tempo per ogni cosa, sicché organizza Il Tempo delle Donne, Il Tempo del Viaggio, Il Tempo della Salute. Nonché il nuovo nato Visioni e Visionari (a cura del magazine Style), a CookFest e, dal 2024, il Festival della Gentilezza. Nota bene: l’associazione Coltiviamo Gentilezza, un po’ meno visibile, lo fa dal 2018. Ebbene, se volete organizzare un festival, segnatevi anche questi concetti: uno, un brand più forte è sempre in agguato, e due, si sa che Milàn “la sta mai coi man in man”, e prima o poi proverà a portare sotto alla Madonnina il vostro concept. Ma 100 volte più visibile, con 100 sponsor, e con 100 Graditi Ospiti (…al Salone del Libro di Torino, se lo ricordano).

Anche Repubblica ha un Festival della Salute (a Padova): non è un campo che puoi abbandonare a cuor leggero. Il gruppo GEDI, sapientemente, diversifica gli eventi a seconda del marchio (La Repubblica, La Stampa, Radio Deejay, Limes) e per il 2024 dichiara «600mila partecipanti ai propri eventi, 1.100 ospiti dal mondo della cultura, della politica, spettacolo, della scienza e intrattenimento. Il fiore all’occhiello è La Repubblica delle Idee (Bologna), con incontri e happening insieme a imprenditori, esperti, intellettuali, qualche celebrity dello spettacolo e delle istituzioni. Ma le star degli eventi Gedi sono Linus e Albertino, che da decenni muovono (e fanno muovere) gli ascoltatori di tutta Italia dalle strade (Run like a Deejay) alle spiagge (Beach like a Deejay) ai dancefloor (Party like a Deejay). Voi direte: ma questo tipo di eventi sono Festival? Se ci siete stati, sapete che spesso finiscono per diventarlo, visto che offrono il pretesto, la logistica, la splendida cornice, e (sempre loro) gli Ospiti. Ma del resto anche il Salone del Mobile di Milano, il Salone del Libro di Torino, il Salone Internazionale dei Comics di Lucca, il fu MotorShow di Bologna e cento altri che non stanno nell’elenco sono nati come fiere di settore, poi fare un salto di qualità nell’iperspazio, occupando iperspazi.

È suggestivo che ci siano così tanti eredi di quella che un tempo era l’unica kermesse organizzata da un giornale, Il Festival dell’Unità – sintomaticamente, proseguito per qualche anno anche con il giornale chiuso. Sono eventi promozionali ma qualche soldo lo si tira su, o perlomeno si cerca di andare in pari – e le pubbliche relazioni non hanno prezzo, specie in politica. Così i festival dei giornali dilagano. La Festa del Fatto Quotidiano si svolge di norma a Roma. Quella del Foglio è a Firenze, e si chiama Festa dell’Ottimismo (ed è un giornale che ne ha ben donde). A Faenza c’è Talk, il Festival del Post, dove Luca Sofri, come Lo Zio di Paolo Conte, spiega la vita, spiega com’è. A Trento Il Sole 24 Ore organizza senza fare economie il suo Festival dell’Economia, mentre la Gazzetta dello Sport ci organizza il Festival dello Sport. Poco più in là, a Rovereto, è recentemente approdato il Wired Next Fest, cosa che ci induce a un secondo consiglio per il vostro Festival: informatevi sull’azienda di promozione turistica locale. Alcune promuovono più di altre.

La densità di festival in Umbria per esempio si vede a occhio nudo, citiamo solo il venerabile Festival dei Due Mondi di Spoleto, Umbria Jazz, il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e il TIC Festival di Terni per influencer e creator. Un evento nato “dal basso” su iniziativa di giovani tipicamente dinamici, ma già con tanti sponsor: forse ha raccolto l’eredità della compianta Blogfest di Riva del Garda (che dove sta? Bravi: in Trentino). Del resto un Festival può mettere “sulla mappa” certe località, vedi Spoleto o Sanremo. Tra l’altro quest’ultima, negli anni Cinquanta, in attesa di vedere se quella parata di canzoni piagnone portava qualcosa ci provò anche con un Festival Jazz e un Festival della Canzone Napoletana (ma sì, perché no). In quegli anni la Liguria fu una delle prime regioni a puntare sui Festival: il Balletto a Nervi, il Comico nell’Arte a Santa Margherita. Di qui, un altro consiglio per il vostro festival: se non volete o non potete dargli i duemilaeuro, proponete agli Ospiti la cena e la camera con vista mare o vista lago. E state a vedere.

Va da sé che se l’Ospite deve promuovere un prodotto, è molto più disponibile, altrimenti tocca spalancare il portafogli come per Fedez alla leggendaria Sagra dello Stoccafisso di Frosinone (non sappiamo il compenso richiesto dallo stesso artista per il Congresso Nazionale dei Giovani di Forza Italia). Per fortuna i Graditi Ospiti sono in autopromozione continua – e questo rende difficile distinguere quelli con il cachet più alto tipo Jimi Hendrix a Woodstock, da quelli che vengono via a poco o hanno un manager più attivo. L’unica certezza ricavata da un campione di 30 festival di rilievo è Giuseppe Cruciani – il che fa piacere, perché si sa che essendo scomodo ha raramente la possibilità di esprimersi. Idealmente, è su un podio su cui lo affiancano Alessandro Barbero e Bruno Vespa. Ma se qualche organizzatore di eventi ha un listino prezzi, ci ragguagli.

Ogni Musa ha il suo festival: pare che ne esistano diversi che contengono Musica. O Cinema. Purtroppo sono molto frequentati da giornalisti, quindi non ci sentiamo di consigliarveli a cuor leggero. In compenso l’Architettura ha la Milano Arch Week, in sana (forse) competizione con il Festival dell’Architettura di Roma e Open House Napoli. A Torino dopo vari esperimenti si sta consolidando Bottom Up!; prima dei citati era nata Mantova Architettura, e ancora prima c’era la Biennale Architettura di Venezia (comodo però, aver la Biennale per tutto).

Per il Teatro c’è talmente tanta abbondanza e concorrenza che vale la pena metterla in scena con lo strano caso del Fringe di Milano, arcinemico del Fringe di Milano? Sia il Fringe Milano Off che il FringeMi Festival sono nati nel decennio scorso, e tra loro c’è la stima che c’è tra milanisti e interisti. Sarebbe d’uopo uno scontro shakespeariano, magari in campo neutro, in uno dei tanti festival italiani di teatro classico. O sperimentale. O di dramma antico. O contemporaneo. O rinascimentale. O d’avanguardia. O comico. A proposito, i Festival dell’Umorismo proliferano un po’ dappertutto, da Bordighera a Tolentino, da Livorno a Pergine Valsugana: la nostra Penisola trabocca di simpatia.

La Poesia trova casa un po’ ovunque. Persino a Monza. Il Festival di Poesia di Genova (Parole Spalancate) si vanta di essere il più longevo, e ha a malapena 30 anni, a riprova che siamo di fronte a un mondo in piena effervescenza. Ma una ventina d’anni sono bastati al Poesia Festival (diffuso su vari comuni della provincia di Modena) e a Ottobreinpoesia (Sassari) per trovare la loro metrica. Il più rampante invece pare il “festival internazionale della poesia totale” La Punta della Lingua, ad Ancona (altra città con forte propensione agli eventi): attivo dal 2006, attualmente dichiara «oltre 900 autori ospiti, oltre 550 incontri complessivi con ibridazioni tra poesia, web, teatro, musica e cinema». Anche voi, ricordatevi sempre di ibridare e di multidisciplinare.

Povera e nuda va la Filosofia, oscillando soprattutto tra il Festivalfilosofia e il Festival della Filosofia della Magna Grecia. Fun fact: entrambe quest’anno hanno avuto come tema la “Paideia”, ovvero l’educazione dei giovani, ma mentre il primo è rimasto stanziale (al più, peripatetico) tra Modena, Carpi e Sassuolo, il secondo è salpato verso Atene, Istanbul e Corfù per una crociera pensante. Epicuro sarebbe andato, Platone forse no.

Il sesso è un’arte? …Davvero? Siete così bravi? Qualche anno fa anche i festival del sesso e della pornografia hanno provato a darsi un tono, sfoggiando dibattiti e Graditi Ospiti, poi hanno optato per una veste più succinta, per così dire. La cosa interessante è che sono soprattutto nel Nord, con buona pace di una tradizione di freddezza e inibizioni: le kermesse principali si svolgono in ex feudi cattolici come il Veneto e la città di Bergamo. Il sesso complesso è invece di casa al Gender Bender Festival di Bologna, che dal 2003 (ben prima che la parola gender iniziasse a spaventare il Paese) «intercetta gli immaginari culturali e artistici legati al corpo e al genere». Il sesso aspirazionale è invece a Roma, alla Festa dei Single: «Tre giorni di magia, crescita e divertimento» tra yoga, sciamani, meditazione. Non c’è un vero e proprio cartellone, forse l’idea è che gli spettacoli, per dirla Luca Carboni, «quelli li facciamo noi».

Basta sesso: parliamo di tlevisione: è un’arte? Qualcuno prova a rispondere di sì. Ogni anno, dal 2012, Dogliani (CN) ospita il Festival della Tv e dei Nuovi Media. Parrebbe un posto in cui ci si trova su divani smisurati a guardare programmi e serie, invece è un susseguirsi di incontri, dibattiti, performance di ogni declinazione artistica con celebrity e giornalisti famosi e onnipotenti dei quali non siamo degni. Ma vi ricordate cosa dicevamo, cioè cosa succede a un certo punto? Arriva Milano, e bang: pochi giorni fa, battezzato da Gerry Scotti (e chi se no?) ha debuttato il nuovo Festival dello Spettacolo di Sorrisi & Canzoni TV: parterre di oltre 300 Graditi Ospiti, 160 show, 3 serate di performance musicali, 22 Telegatti consegnati. Chissà, forse rivedremo un duopolio televisivo. Le repliche piacciono sempre.

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Gerry Scotti al Festival dello Spettacolo. Foto: Paolo Madeddu

E per finire: la Morte è un’arte? Lo era per George Harrison (The Art of Dying). E quindi, come non accennare a Il Rumore del Lutto Festival, che «si ripropone di educare alla morte, come parte integrante della vita». Riscuote inevitabili ironie ma anche i convinti plausi di chi ci è stato. Diciotto edizioni, centro di gravità a Parma. In Romagna non potevano stare a guardare, e a Rimini è nato TRA: Festa Delle Anime Tra Due Mondi, «interamente dedicato al tema della fine, intesa non come tabù, ma come ineludibile passaggio e parte integrante della vita». Se vi state chiedendo se c’è dietro qualche società di onoranze funebri, potete rispondervi di sì. Però è strano che RedBull non ci abbia pensato.

Per il finale abbiamo lasciato uno dei Festival più affascinanti, sicuramente il più stagionale: il Festival della Nebbia, con base a Piacenza: nel mese di novembre propone recital, concerti, incontri letterari, uno spettacolo teatrale itinerante sulle rive del Po e un reading su una motonave. Il comunicato stampa è scritto da gente che la sa lunga: «La nebbia è parte di noi. È una condizione dell’anima. È simbolo e metafora: di malinconia sottile, di nostalgia dei tempi andati, di perdita della memoria (anche collettiva). È il mistero, l’ignoto, la minaccia, il pericolo dietro l’angolo. È la possibilità di nascondersi, di isolarsi, di scappare da tutto e da tutti. È solitudine e rifugio complice. (…) È impossibilità di vedere, di riconoscere, di conoscere il vero volto delle cose»… Si vola un po’ alto, vero? Ma così anche la nebbia ha avuto visibilità.

Basta, la nostra kermesse finisce qui. Siete delusi? «Non c’è niente da scoprire, niente da salvare nelle nostre parole», come diceva Antonello Venditti su un Festival in quel di Modena? O ci sono omissioni gravi, per esempio il festival per cui lavorate? Eh, non potevamo citarli tutti, sarebbero serviti tre giorni di pace, amore e talk-show con Graditi Ospiti. Ma se uno sponsor è interessato, siamo qui.