Carlo Freccero, «Lo Spettacolo dell'ambiguità» | Rolling Stone Italia
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«Lo Spettacolo dell’ambiguità»

"Se la televisione rappresenta l’inconscio a cielo aperto della società, alla base di tutto questo deve esserci un motivo. E il motivo è Internet." Da Pop Culture, la rubrica di Carlo Freccero

«Lo Spettacolo dell’ambiguità»

Spulciando i telefilm attualmente in onda, vedo un nuovo super genere affermarsi in filigrana all’interno di format diversi, o meglio soprattutto nei film di spionaggio e sci-fi. Le serie hanno iniziato con episodi chiusi per sviluppare, successivamente, la continuità di una storia. A partire dal feuilleton ottocentesco, la storia a puntate garantisce la fedeltà del pubblico. Cos’è che ci tiene attaccati prima alla pagina scritta e poi allo schermo? Il bisogno incoercibile di arrivare fino in fondo per scoprire la verità. Bene, la nuova serialità ci tiene sulla corda, in attesa del disvelamento del mistero, per poi concludere nella maggior ambiguità possibile, senza rispondere alle nostre domande: “Chi è il colpevole?”, “Cosa si nasconde dietro tutto questo?”, “Cosa è successo veramente?”.

Tutto è iniziato per esigenze di sceneggiatura. Nella narrativa classica c’è una situazione di partenza in cui il protagonista vive in equilibrio. Solo dopo, questo equilibrio si rompe e inizia la storia. Ma, a questo punto, in video, il pubblico si sarebbe già allontanato. Bisogna iniziare nel pieno della storia, per fare il botto subito e catturare istantaneamente lo spettatore. E bisogna dar fondo subito a tutto il repertorio di effetti speciali di cui si dispone. Un esordio a effetto può essere difficile da ricondursi a una logica narrativa. Così, le serie che hanno creato come prototipi la nuova serialità americana, spesso non sono state in grado di spiegare il loro esordio coinvolgente. Pensiamo a Twin Peaks. E pensiamo alle sceneggiature di Abrams che, dopo Lost, conta diversi progetti abbandonati sul campo, per esaurimento delle risorse nel pilot. Tuttavia questo genere continua a sopravvivere, anzi, direi, la narrazione dell’ambiguo senza soluzione sembra prevalere.

Oggi i misteri della rete sono innumerevoli e nella fiction confluisce un frammento di tutti e vanno in scena le immagini che il net ci propone ogni giorno come vere, prova tangibile di sempre nuovi complotti

E se la televisione rappresenta l’inconscio a cielo aperto della società, alla base di tutto questo deve esserci un motivo. E il motivo è Internet. Nato come spazio consacrato alla controinformazione, il net è diventato il regno dell’ambiguità, del complotto, dell’inscindibile legame tra verità e leggende metropolitane. È una caratteristica del medium. Sulla stampa, una notizia falsa deve essere rettificata. Sulla rete, invece, la si combatte sommergendola di cloni che rendono indistinguibile il vero, dal falso e dalla copia. Alla fine, anche la denuncia sociale più sofferta galleggia in un mare di pattumiera informativa. Niente vero, ma tutto genera fiction e coinvolgimento emotivo. Ed è questo che conta, che ti fa restare attaccato allo schermo televisivo o del computer. Mi viene in mente un film come Total Recall – Atto di forza, in cui un operaio dalla vita monotona compra un viaggio per innesto mentale e si vede catapultato su Marte, nel ruolo di eroe nazionale. Abbiamo bisogno di vivere una vita avventurosa, proprio quando la nostra vita si fa piatta, monotona, deprimente. Ed è il caso dei videogiochi che ci proiettano nell’avventura. E chi ha testato i nuovi videogiochi, in cui il giocatore non sta alla consolle, ma si vede come parte dell’azione, dice che si tratti di un’esperienza estenuante perché troppo vera.

Lo stato di incertezza in cui sono o stanno precipitando le nostre vite non poteva non invadere la fiction. Di fronte all’ambiguità per cui niente è buono o cattivo, niente falso o vero, chi come me e la mia generazione ha fatto della verità il suo punto di partenza e di appoggio, prova un senso di malessere, di mal di mare. Questo mese ho visto la ripresa di una serie storica come X-Files e l’ultima stagione di Homeland. Entrambe si basano sulla vertigine dell’incertezza. In Homeland c’è la spia dalle molteplici sfaccettature, che lavora per tutti e per se stesso. C’è chi inganna e chi sembra ingannare, ma è sincero. E c’è l’accanimento della protagonista per stabilire continuamente una verità che si sgretola subito dopo essere stata raggiunta, per svelare un nuovo inganno. X-Files ritorna dopo molto tempo, complice il clima di complotto imperante. All’inizio, il mistero riguardava gli alieni, l’area 51, i rapimenti. Oggi i misteri della rete sono innumerevoli e nella fiction confluisce un frammento di tutti e vanno in scena le immagini che il net ci propone ogni giorno come vere, prova tangibile di sempre nuovi complotti. Il loro apparire nella fiction ne falsifica la credibilità. Nello stesso momento il gioco incessante del disvelamento priva di senso le nostre vite e alimenta la macchina dello storytelling.

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