BDSM, fetish, goth: un viaggio nella storia del Decadence | Rolling Stone Italia
society is us

BDSM, fetish, goth: un viaggio nella storia del Decadence

Carlo Valentine, organizzatore dell'evento che dal 2005 riunisce le sottoculture fetish e oltre: «Siamo nati per favorire l'accettabilità sociale del BDSM. Quando si tratta di accettazione, qualsiasi essa sia si parte da stupore e cambiamento»

Decadence

Courtesy of Decadence

Di solito Carlo Valentine si sveglia alle 18:00. È quello che fa un dark, dice. Non possiamo essere testimoni del risveglio che gli chiediamo in anticipo, dobbiamo sentirci a metà pomeriggio, ma lo scorcio che offre la sua telecamera in videochiamata sembra deporre a favore di questa routine. Le tende sono tirate, la luce è penombra. Alle spalle di Carlo si intravede un quadro. Me lo indicherà, a fine chiacchierata. «Vedi quello? Lo hanno fatto gli Psycho Cyborgs [collettivo di performer di stanza a Londra che esegue body modification dal vivo, ndr] durante una performance da noi. È un volto umano, è stato dipinto con il sangue che Anita VonCyborg [una dei loro performer, ndr] ha perso durante l’evento».

Carlo Valentine è il fondatore, e l’organizzatore, del Decadence, l’evento che da diciannove anni unisce le sottoculture BDSM, rave, techno, kinky e oltre. Tutto comincia a Bologna, è il 2005, da lì le venue si ampliano, arrivano in Europa, accumulano censura sui social network e denunce nella vita offline. A un certo punto pure il capoluogo emiliano sembra volerli mettere al bando – è la vicenda dello “sfratto” dal New Millennium, con Carlo parleremo anche di questo. Ma ciò che la società vuole espellere, o perlomeno passare sotto il silenzio di un tappeto, la società riavrà indietro. Perché dimentica un dettaglio fondamentale: il Decadence non è fuori di essa. Il Decadence è la società.

Perciò, l’unico modo per iniziare questa conversazione non poteva che essere con una domanda all’inverso, con Carlo Valentine che mi intervista.

Decadence

Courtesy of Decadence

Ma tu lo conosci il Decadence?
Sì. Avevo dieci anni quando è nato, ma dalle mie parti se ne sentiva parlare tanto. Non sono mai stata, però.

Devi passare. Non bisogna per forza essere kinky, o appassionati di BDSM, per partecipare. Si tratta sempre di esperienze che fanno evolvere chi siamo.

Ora però risaliamo da questo sottosopra.

Diciannove anni fa nasceva Decadence. Come li rivedi questi anni, oggi? Cosa pensi di questa creatura arrivata alla maggiore età?
Siamo conservatori e progressisti oggi come agli inizi. Perché ci rifacciamo agli anni ’80, e in questo siamo antimoderni. Nasciamo per conservare la sottocultura dark e goth, insieme alla comunità BDSM. E paradossalmente, proprio in questo siamo progressisti. Non creiamo mode, non le seguiamo, al massimo le ospitiamo, perché fanno parte del nostro ecosistema di riferimento. Dopo diciannove anni siamo ancora qui con lo stesso approccio, e penso che potremmo essere uno degli eventi più longevi, in Italia, almeno in forma ininterrotta. Per valutarlo devo scindermi tra organizzatore e fruitore del Decadence. L’organizzatore è soddisfatto. Il fruitore invece ha sempre un po’ paura, paura che la musica a un certo punto lo deluda. L’ho vissuta in anni in cui c’era davvero del nuovo, gli ’80 e i ’90, e vivo nel terrore che un giorno, prendi quello che dico con le pinze, la musica possa “finire”. Diciamo che seguo dunque, e spero.

Decadence

Courtesy of Decadence

Qual è stata la molla per far cominciare tutto, nel 2005?
Io frequentavo la scena rave, l’ispirazione per la forma di aggregazione scelta è stata quella. Non lo sapevamo, ma il percorso è stato poi di crescita individuale e collettiva. Organizzavo dunque qualcosa che assomigliasse a un rave, che potesse portare le persone della mia cerchia insieme, a incontrare anime simili diciamo. Il focus iniziale è stato il BDSM, lo è rimasto anche ora. Un ambiente largamente alternativo diciamo, perché poi ho voluto ibridare questa comunità con altri sentieri e comunità sempre appartenenti a questa sfera sotterranea, hard techno, eccetera. Abbiamo sempre vissuto e viviamo ancora di contaminazione e cambiamento.

E in 19 anni di Decadence, tu che cosa hai imparato di te stesso?
Non lo so, sto ancora imparando. C’è stato un momento della mia vita in cui pensavo di aver capito tutto, poi per fortuna mi sono reso conto di non saper ancora nulla. Non si finisce mai di scoprirsi, di imparare, e questo rientra, credo, nel discorso verso il futuro che si faceva prima. Lo trovo un buon punto di partenza per guardare al domani. Non vorrei tirare fuori la solita “speranza”, che forse è una parola che non mi appartiene. Ecco, per rispondere alla domanda: di me stesso ho imparato che non sapevo nulla. E questa è la cosa bella.

Decadence

Courtesy of Decadence

Guardarsi davvero, come dicevamo. La società ha paura di questo specchio che non fa sconti?
Decadence è partito proprio da qui, è nato per favorire l’accettabilità sociale del BDSM. Quando si tratta di accettazione, qualsiasi essa sia, si parte sempre da qui: dallo stupore, da cambiamento. A guardare bene, però, Decadence è la società. Quindi l’unico modo per accettare queste cose “diagonali” è accettare, alla fine, noi stessi, accoglierci per quello che siamo.

Al Decadence “accettare” significa anche mettere insieme nello stesso evento più sottoculture.
Siamo nati in un panorama in cui c’erano pochissimi eventi, e tutti molto settoriali. Per trovare qualcosa di diverso dovevi andare a Londra. Lo stimolo quindi è stato molto semplice: unire le passioni che avevo con le novità che stavo scoprendo. Per promuovere i primi eventi usavamo stratagemmi da guerrilla marketing, volevamo arrivare sotto gli occhi di tutti. A quel tempo si parlava di poster e flyer da attaccare in giro. Lo scopo, la sfida era: come posso far capire da un foglietto di carta che dentro questo evento ci sono così tante cose? Come faccio a essere dirompente a livello visivo? Gli estremi dello spettro erano: punk da una parte, dandy e gotici dall’altra. Così abbiamo preso un’immagine dei Depeche Mode, l’abbiamo incravattata un attimo, ecco fatto.

Decadence

Courtesy of Decadence

Torniamo sul cambiamento. Oltre a te, immagino siano cambiati anche i partecipanti a Decadence, nel corso degli anni.
Sono cambiati, sì. Decadence è un’associazione e me ne rendo conto soprattutto dai tesserati, siamo davvero cresciuti. Anzi, ormai siamo arrivati al punto in cui agli eventi non conosco quasi nessuno. È un’altra dimensione, sembra quasi di andare all’estero. Questo parlando da fruitore. La voce dell’organizzatore che è in me invece si dice che dovrei salvaguardare un genere in estinzione, il Goth, e con esso i suoi amanti. È la spina dorsale conservatrice che dicevo prima: rendersi conto che tutto quanto è iniziato da un punto preciso, e che ne si voleva essere guardiani per così dire. Mi torna in mente spesso visto che ultimamente inseriamo più componenti all’interno egli eventi. Io mi batto per questo animo dark.

Il Decadence è nato in un momento storico specifico e in un luogo specifico, Bologna. Sarebbe potuto succedere anche da altre parti? O è stato tutto al posto giusto, nel momento giusto?
Io sono arrivato a Bologna per studiare, la città era stupenda. Batteva Amsterdam, batteva Londra, che secondo me già a inizio Duemila aveva imboccato la sua cuna calante. A dirla tutta, però, Bologna l’ho scelta innanzitutto per la sua posizione geografica. Era comoda per arrivare dappertutto. Bologna era tutto “wow”.

Decadence

Courtesy of Decadence

Nonostante questo, però, è proprio a Bologna che avete vissuto uno sfratto.
Magari, è stato molto peggio di così. Una premessa però: non releghiamo il Decadence alla sola dimensione di evento serale. È partito da lì, ma è subito diventato un contenitore per diverse identità, specie quelle emarginate negli altri ambiti sociali. Immagino per esempio la comunità trans, ma anche quella dei feticismi, visto che dallo Stato vengono definiti come parafilie, dunque condizioni mediche. [si ferma] Perdonami, qual è la domanda? Mi sono appena svegliato, mi sento come sui banchi di scuola durante un esame.

Ah, sì. Allora, all’inizio organizzavamo gli eventi al New Millennium di Bologna, anche se già ci stavamo espandendo con date in giro per l’Europa. All’epoca eravamo un circolo ARCI, per qualche anno persino il più grande d’Italia. A un certo punto a Roma avviene una cosa tragica, la morte di una ragazza coinvolta in una situazione di bondage. Erano in una casa privata, una coppia, probabilmente erano inesperti e non avevano con loro la strumentazione adeguata. Ti faccio un esempio, bisogna sempre avere con sé delle forbici proprio per prevenire le situazioni di pericolo che si potrebbero creare. In quello stesso periodo era arrivato un nuovo presidente ARCI, paradossalmente più giovane del precedente, forse non conosceva molto il nostro mondo. A un certo punto viene intervistato in merito a questo fatto di cronaca e gli viene chiesta conferma del fatto che l’ARCI fosse in qualche modo rappresentatrice del bondage. Lui si mise subito sulla difensiva, si indispettì parecchio e disse qualcosa tipo, “vi garantisco che da domani queste cose non avverranno più nei nostri circoli”. Il giorno dopo i giornali titolavano: “niente più bondage nei circoli ARCI”.

E lì successe una cosa fantastica. Noi non avevamo ancora aperto ufficialmente uno spazio online per la nostra community, si creò da sola in quel momento lì. Non avevo nemmeno avuto il tempo di leggerli, questi giornali, che i messaggi di supporto in nostro favore erano arrivati a frotte. Le persone stavano agendo spontaneamente, oltre l’evento perché io, l’organizzatore, non ero coinvolto. Questa è una comunità. Non so se lo sai, ma ci sono circa 240 persone che hanno tatuato sul proprio corpo il logo del Decadence. Alcune non le conosco nemmeno. Il Decadence, e meno male che è così, è loro.

Ecco internet. Nel 2005 eravamo ancora positivi sull’impatto che avrebbe avuto sulla vita quotidiana delle sottoculture, sulla loro capacità di espressione. Oggi, invece?
È stressantissimo, tutti i giorni. Si è aperta una dimensione che mi fa molta rabbia. Questa “legge Zuckerberg” è insostenibile. Già viviamo in una società che non ci riconosce pienamente, che ci toglie via di espressione. Se definissimo Facebook, o Instagram, una piazza, ci sarebbe una censura quotidiana. Avevamo un gruppo da 25.000 utenti, lo hanno cancellato. Ci vengono segnalati contenuti con baci tra due donne, e ci vengono rimossi, o fotografie con una persona seduta sul gabinetto per finta. Cerco di non pensarci, la realtà è che pensare che da un giorno all’altro potrei perdere la capacità di parlare con persone simili a me mi crea uno stress indicibile. E tutto perché c’è qualcuno che ha deciso di mettersi non sopra di “noi”, ma addirittura sopra la legge dello Stato, e dire che a loro non stanno bene alcune cose che invece la legge permette. Non ha senso. Il web era una salvezza, chi viene dagli anni ’80 come me lo vedeva come una fantascienza. Ora siamo nel periodo con più censura nella storia dell’umanità, forse. Al punto che abbiamo dovuto eliminare la parola “hard” da “hard techno”, un genere musicale, perché riconducibile al porno. O che le foto di performance di shibari, che fa parte della cultura giapponese da secoli, ci siano tirate giù per “violenza”. Assurdo. Mi verrebbe da scendere in piazza. Credo che qualcosa dovrà cambiare a un certo punto. Si è bloccato il progresso, ecco, siamo fermi qui.

Decadence

Courtesy of Decadence

Visto che siamo in tema: come stanno le sottoculture con il Governo Meloni?
Guarda, abbiamo deciso di mettere da parte la politica, anche slegandoci dall’ARCI per esempio. Nel mio piccolo non guardo più il telegiornale, ne ho già abbastanza delle cause che vengono mosse al Decadence. È triste da dire, ma per me, Governo Meloni o no, non è cambiato nulla. O forse lo dico solo perché mi sono svegliato due ore prima del solito. Di solito metto la sveglia alle 18:00.

Andiamo su lidi più felici: di 19 anni di Decadence, cosa ricordi con il sorriso?
Alcuni ricordi sono musicali, per esempio Steve Stranger dei Disage, ha fatto da noi il suo primo e unico concerto in Italia, credo, prima di morire. Ma da noi sono passati anche altri nomi a cui sono molto legato, Andy Fletcher dei Depeche Mode per dirne uno. Andando nel sottogenere e nella sottocultura, per me il massimo è essere riusciti a legarci al mondo della body modification, anche questa nicchia sta sparendo. Idealmente tanti amano questa dimensione, ma ormai praticarla attivamente, specie se a livello di spettacolo, è difficile. Sono contento di avere avuto gli Psycho Cyborgs, ricordo una loro performance pazzesca. Avevano fatto passare cavi elettrici e lampadine attraverso il corpo di una ragazza, la situazione era quella di una crocifissione, tantissimo sangue, le persone svenivano. Wow.

Altre notizie su:  Decadence