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Bob Ferrari ci racconta ‘Effetto Gunther’

Il comico bolognese rivela a Lo Sgargabonzi i segreti del suo primo film, in cui conosceremo l'eccentrico detective Gunther Von Shlack e il suo assistente Hans

Prima dei miei spettacoli, non chiedo mai a colleghi comici le famose “aperture”. Faccio finta che sia perché trovo questa richiesta umiliante per chi la riceve. La verità è che avere un comico che si esibisce prima del mio spettacolo, è umiliante per me e la serata m’inizia già in salita. Arriva uno sul palco che improvvisa, va a braccio, si muove da persona normale. Poi arrivo io e appaio come un contadinotto fisso dietro un leggio che non sa dire una parola se non la legge da un foglio a protocollo, tipo assemblea d’Istituto. Poi noi sappiamo bene che quello è solo il camuffamento d’un moderno mistico, un cattivo maestro, una cometa nera, un fiore d’oppio in porcellana e roccia. Ma ci sono molti novizi a cui questa cosa non appare immediatamente chiara e mi pigliano per un coglione.

Ma sulle aperture, mi è capitato di fare un’eccezione con Bob Ferrari. Non perché non lo tema, tutt’altro. Ma me lo godo da fan. Bob non è fatto della somma delle sue battute, ascoltando i suoi monologhi ti sembra di passeggiare sulle sue circonvoluzioni cerebrali e non è detto che capiti con un comico. Mi piace la logica inossidabile dei suoi ragionamenti, il suo stile garbato e mentolato alla Johnny Dorelli, le sue ossessioni che spesso sono anche le mie, a partire dalla commedia italiana degli anni ’70.

Bob ha appena girato il suo primo film, Effetto Gunther, in cui è produttore, regista, sceneggiatore, montatore e interprete principale. La destinazione finale sarà Amazon Prime Video, ma dall’8 novembre sarà visibile in streaming su www.effettogunther.it .

Effetto Gunther è una commedia gialla ambientata a Bologna, dove due famose pietre preziose vengono misteriosamente trafugate. La polizia brancola nel proverbiale buio. Ma è l’arrivo in città dell’eccentrico detective Gunther Von Shlack e del suo assistente Hans che cambierà le carte in tavola.

Il manifesto di ‘Effetto Gunther’

Il tuo film è innanzitutto un atto d’amore per la commedia italiana degli anni ‘70 e ‘80, genere che entrambi frequentiamo fin da piccoli. Sono curioso di sapere se ti piacciono gli stessi titoli che ti piacevano da ragazzo o se, all’interno del genere, ti sei emancipato. 

Mi piacciono gli stessi titoli che mi piacevano allora, anzi, li riscopro ogni volta che li vedo. Ma come dici tu, mi sono anche emancipato rivalutando i titoli più curiosi e nascosti dei grandi protagonisti di quel genere. Uno su tutti Saxofone, diretto e interpretato da Renato Pozzetto. Un bellissimo film, talmente surreale che la risata stenta ad arrivare. E sinceramente non se ne sente il bisogno. Poi è anche un film-manifesto di Enzo Jannacci, lì c’è tutto il suo mondo comico. Non a caso il payoff di Effetto Gunther è proprio “Vieni a vedere (di nascosto) l’effetto che fa”.

Hai nominato il mio preferito! Saxofone è per me l’esempio perfetto di un film sviluppatosi in purezza, in un contesto creativo di libertà assoluta, oggi impensabile, senza nessuna ansia di consenso ma con la sola voglia di giocare, selvaggiamente, con la creatività. Potrei dire lo stesso anche de Il Bi e il Ba, Berlinguer ti Voglio Bene, Sturmtruppen, Ratataplan. Film che se ai tempi parevano moderni, oggi paiono addirittura fantascienza. 


Esatto, fantascienza, hai citato dei titoli importanti. Vengono da un’epoca in cui il film lo decidevano veramente gli autori e il produttore sognava anche lui con la stessa follia. Poi se nomini Il Bi e il Ba io mi emoziono. Quando tento di spiegare che tipo di film sia Effetto Gunther, cito sempre Il Bi e il Ba, ma il 90% delle persone non lo conosce.

E allora fammi togliere uno sfizio. Pozzetto, Villaggio, Montesano, Celentano, Banfi, Pippo Franco. Voglio una classifica e due parole su ognuno. 

Alessandro, sono un po’ sconcertato che non mi hai messo nella lista un Diego Abatantuono (ovviamente terruncello… e sarebbe al terzo posto)…

Ti fermo subito. Il grosso della produzione di Abatantuono è negli anni ‘80. Io ho voluto mettere i colonnelli della generazione precedente. Pensavo se mai pretendessi Buzzanca…

Ah certo, Abatantuono in quegli anni era il nuovo che avanzava. Comunque procediamo in ordine crescente.
Banfi mi è sempre stato abbastanza indifferente, il suo cult è “Vai avanti tu che mi viene da ridere”, unico film che ho visto al cinema e ho riso molto. E naturalmente bravissimo in Fracchia la Belva Umana. Franco lo adoravo da ragazzino. Mai banale nei suoi film anni 70. Andrebbe riscoperto. Montesano credo sia stato il numero uno dell’intrattenimento dal vivo anni ‘80. Il Montesano quarantenne, se ci fosse oggi, si mangerebbe qualsiasi comico attualmente sulla scena. Al cinema non mi ha mai fatto impazzire. Celentano è il non-sense in persona. Come se avessero frullato Dean Martin e Jerry Lewis e ne fosse uscito un unico attore: super “cool” con smorfie e movimenti lewisiani. Mani di Velluto è per me il suo picco, molto divertente ancora oggi. Pozzetto è magia pura: quell’aria da Buster Keaton lombardo. I suoi film sono ancora oggi divertenti e pieni di trovate geniali. “Da grande” potrei rivederlo mille volte. Villaggio è immenso. Non trovo altre parole per descriverlo. Assieme a Jerry Lewis, il mio padre artistico.

Pozzetto il mio preferito a mani basse, il mio unico faro comico insieme ad Alfredo Cerruti degli Squallor. Detto questo, come nasce l’idea, molto ambiziosa (e anche ansiogena), di un film non solo scritto, diretto, montato e interpretato da te, ma anche autoprodotto?
Anche quando ero bambino e non possedevo una cinepresa, ero sicuro che un giorno avrei girato un film. E già da allora avevo la convinzione che se dirigi un film, affinché sia veramente tuo, lo devi anche scrivere, montare, produrre e interpretare. Eravamo in lockdown e io avevo scritto una fiction radiofonica che trovavo molto divertente. Ma mi metteva tristezza pensare che sarebbe stata letta durante una diretta Facebook (che allora facevamo solo per sentirci vivi) e poi basta. Allora l’ho trasformata in sceneggiatura e ho cominciato a cercare altre persone disposte a partecipare. La prima che si è lasciata fregare… ehm no, volevo dire, che ci ha creduto, è stata Letizia Dalmonte, un’autrice e amica bolognese. Poi sono riuscito a coinvolgere Giammarco Rocco di Torrepadula, amico, imprenditore ed ex attore, che mi ha aiutato non come un amico, ma come un fratello. E così via, finché non abbiamo messo insieme la squadra. Hai usato la parola “ansiogena”. Sì, è la parola giusta, ma se riesci ad arrivare alla fine è una grande soddisfazione.

Mi è piaciuto molto il protagonista che hai plasmato, mi ha ricordato per certi versi l’ispettore Clouseau per il suo essere egocentrico, eccentrico e presuntuoso. Ce l’ho visto solo io?
Clouseau è un modello inarrivabile. Peter Sellers lo creò con Blake Edwards ispirandosi a Stanlio e Ollio. Proprio Ollio, Oliver Hardy, era irresistibile perché si credeva intelligente, da qui venne l’idea per il carattere dell’Ispettore Clouseau. Anche Gunther quando nacque come personaggio in radio era questo: un idiota che si crede intelligente. Poi a forza di interpretarlo ha trovato una sua dimensione. La parlata con accento tedesco non è venuta dal professor Kranz, ma piuttosto dalle Sturmtruppen di Bonvi. Poi ovvio che il confronto con il personaggio di Villaggio è spontaneo. Tornando a Clouseau, hai visto giusto. Effetto Gunther è un omaggio anche alla serie della Pantera Rosa, a partire dalla trama, fino ad arrivare al protagonista.

Mi metto in mezzo: il mio primo libro s’intitola Le avventure di Gunther Brodolini, che so che tu hai apprezzato. Non mi dispiacerebbe sapere che il nome del protagonista te l’ho ispirato io. Puoi anche fingere.
Le avventure di Gunther Brodolini è il primo libro, dopo quelli di Villaggio e Luttazzi, che mi ha fatto scoppiare a ridere mentre lo leggevo. Dovevo interrompermi, rileggere il passaggio, ridere ancora una volta, asciugarmi le lacrime e ricominciare a leggere. Non esagero e lo sai. Quindi sarebbe un onore poter dire che il nome lo ha ispirato il tuo libro. Purtroppo il mio Gunther nasce in radio nel 2013, Brodolini l’ho letto nel 2016. Però una soddisfazione posso dartela. Prima del tuo libro il personaggio aveva il nome scritto senza H, ovvero Gunter. E quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura ho voluto aggiungere l’H in omaggio a Brodolini.

E pensa che io fui indeciso fino all’ultimo se mettere quell’acca nel nome. Poi uno non crede alla teoria dell’entanglement.
A proposito di Gunther Von Shlack, per interpretare il protagonista hai dovuto immedesimarti in un personaggio distante da te o hai messo qualcosa di te in lui? Insomma più Brecht o Stanislavskij?
Purtroppo ormai ho perso il controllo. Se faccio dire a Gunther qualcosa di terribile, subito mi chiedo se è solo una trovata comica… o se nasconde tragicamente quello che penso veramente. Meglio non indagare. Ma è chiaro che un personaggio con il quale ho convissuto per così tanto tempo ha assorbito parte della mia personalità.
Lo stesso film, magari può sembrare solo un’opera di intrattenimento. Ma, essendo una mia creatura così totale, se vai a vedere nelle pieghe, probabilmente troverai un po’ della mia anima. Bella questa frase! La segno e la userò anche in altre interviste.

Sono curioso di sapere cosa ti ha portato alla scelta del formato cinemascope, molto inusuale per un film comico. È il formato dei western classici o comunque dei film d’ambientazione, molto estetizzanti, spesso ad alto budget.
È verissimo, i film comici hanno quasi la necessità di uno schermo compatto. Jerry Lewis, il più grande regista comico assieme a Buster Keaton, non ha mai girato su schermo panoramico. Nonostante questo, i film della Pantera Rosa sono in cinemascope e anch’io mi sono chiesto come mai funzionano lo stesso. Una risposta c’è. I comici visuali come Keaton, Laurel & Hardy, Lewis hanno una comicità che nasce dal rapporto che il loro corpo comico ha con gli altri personaggi e con gli altri oggetti, quindi lo sguardo dello spettatore deve restare incollato al centro dello schermo. Invece in Clouseau la comicità nasce da quello che lui pensa di se stesso. È una comicità legata alle intenzioni del personaggio, non a quello che fa realmente. E lo sguardo dello spettatore può spaziare senza rovinare le gag. È un po’ lo stesso meccanismo che scatta con Gunther, senza contare che la comicità del mio film è quasi tutta di parola. In ogni caso la mia scelta del formato è stata fatta, forse banalmente, per marcare il territorio. So che gli spettatori di Effetto Gunther lo vedranno in streaming su qualche schermo casalingo e voglio che dalla prima immagine possano pensare: “è in cinemascope, che peccato non vederlo al cinema!”

Quanto ti pesa doverti scontrare con i “vorrei ma non posso” tipici del cinema, che ha bisogno di finanziamenti, attese, logistica, maestranze, compromessi e piani b? Come vivi il fatto di non poter girare di nuovo qualcosa che oggi trovi perfettibile? È il motivo per cui io, pur amando il cinema e avendo letto dieci libri in vita mia a dir tanto, ho scelto di fare lo scrittore.
Finchè sono dei “vorrei ma non posso” va tutto bene. Il problema è quando sono dei “vorrei ma non riesco”. Nel senso che se conosci i tuoi limiti già in fase di scrittura, poi va tutto bene. Ma se quando scrivi non metti paletti e credi di essere a Hollywood, avrai molti rospi da mandare giù. Per esempio Effetto Gunther viene da un testo scritto per la radio, quindi è basato sul dialogo al 95%. Bastava avere delle location credibili e degli attori bravi per portare il film a casa. Ti sembrerà strano ma Effetto Gunther è la mia prima opera che è uscita esattamente come l’avevo pensata. Un film leggero, veloce, pieno di riferimenti a quello che amo e quasi completamente basato sulle battute verbali. È a questo punto che solitamente cito Il Bi e il Ba

Gli americani ti comprano i diritti per un remake ma non puoi mettere bocca su niente, solo decidere i ruoli chiave. Chi sceglieresti come regista? E quali sarebbero gli attori? E da chi lo faresti musicare?
Visto che vuoi giocare, io alzo la posta in gioco. Facciamo che siamo nel 1988 e mi fai la stessa domanda. Regista Sam Raimi, ha appena diretto La casa 2 e abbiamo capito che ha i tempi comici giusti. Protagonista l’irresistibile Chevy Chase, sarebbe un ottimo Gunther. Per le musiche ti direi Lalo Schifrin, che ha sempre avuto quel tocco perfetto per i polizieschi anni 70.

Amo la saga di National Lampoon’s Vacation e per me Chevy Chase è sempre stato il Renato Pozzetto americano, quindi non potrei che essere contento.
Tu come Chase sei anche un navigato autore e comico da palco. Nel tuo ordine dei significati, dove si pone la risata rispetto alla comicità? È il fine, il mezzo, un ingrediente di un piatto più complesso?
Questa è una domanda trucco, lo so. La risata non dovrebbe avere nulla a che fare con la comicità. Ma il mio smisurato ego vuole sentire le risate e crede di essere felice solo se vede un pubblico che si diverte. Da un lato vorrei essere il performer che si esibisce fregandosene del parere del pubblico; dall’altro ho tanto bisogno di essere amato. E quando ride, la gente ti ama.

Risposta naturale e giustissima che ha fatto passare me per presuntuoso. Andiamo avanti.
Effetto Gunther si presta benissimo per un sequel, perché Gunther è un personaggio che buca lo schermo e ne vogliamo sapere di più. Ce l’hai già mente o lo intendi come un one-shot?
Ti dico la verità, mi piacerebbe molto che Gunther diventasse un personaggio comico slegato dal luogo e dal tempo. In questo film è un detective, ma nel prossimo potrebbe essere un illusionista, poi uno chef, poi un ricercatore del paranormale. Quindi i titoli andrebbero da Magico Gunther, passando per Gunther à la carte fino a Gunther contro Dracula. Sarebbe divertente.

Magic Gunther mi rimanda a Magic Christian, capolavoro di psichedelia con Peter Sellers e Ringo Starr. Ma voglio esprimere un desiderio: a me piacerebbe da matti tu girassi una pochade e ti ci vedo pure molto. Una commedia degli equivoci stile Luna di Miele in Tre, Cornetti alla Crema o l’episodio di Pippo Franco ne Il Tifoso, l’Arbitro e il Calciatore. È un genere ormai poco frequentato ma per me estremamente godurioso, perché quando fatto bene riesce a unire la risata ad una tensione da thrilling. C’hai mai pensato?
È un genere bellissimo, hai ragione. Si ride per l’accumulo di tensione. Ho presente l’episodio di Pippo Franco, dove c’è il gioco di cambio della giacca per compiacere il padre e il futuro suocero, uno romanista e l’altro laziale. Ricordo l’altro mitico gioco di cambio della giacca con Montesano e Celentano, nel cult Grand Hotel Excelsior.
In realtà, di Magico Gunther che ti ho prima citato, esistono già trenta pagine scritte e ha molto del genere pochade… c’è una giacca anche qui. Vediamo se quelle trenta riusciranno a diventare centoventi pagine per farne un nuovo film.

Progetti per il futuro? A me piacerebbe molto un tuo libro. Ecco, l’ho detto.
Guarda, ora lo dico anch’io. In realtà un libro lo sto preparando da mesi. Una raccolta di scritti comici, alcuni tratti da appunti di quando ero molto giovane, altri tratti da alcuni miei pezzi surreali di stand up comedy. Non so se vedrà mai le stampe. Ma nel caso… visto che hai fatto una richiesta… mi curi tu la prefazione?

Mettiti in fila ma ok.

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