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Aboliamo la povertà con nomi sponsorizzati, tipo Nutella Esposito

Invece che col reddito di cittadinanza, aiutiamo chi non lavora con nomi pagati dalle aziende tramite ragionevoli vitalizi: perché se si è troppo poveri per essere consumatori, meglio diventare testimonial

Foto IPA


I poveri vanno aiutati. Lo stato è pieno di debiti. Molte aziende sono ricche. Invece che col reddito di cittadinanza, aiutiamo chi non lavora con nomi sponsorizzati, pagati dalle aziende tramite ragionevoli vitalizi. Verso un popolo di inserzioni ambulanti, di identità pubblicitarie. 
Tu, povero, chiami tua figlia Nutella, ipotizziamo Nutella Esposito, e la Ferrero ti accredita sul conto familiare 450 euro al mese. Durante ogni appello scolastico, la maestra dirà “Esposito”, e la bimba, alzando la mano: “Nutella!”. Tra i compagni si diffonderà immancabilmente il ricordo della crema alla nocciola, un’incontenibile voglia di spalmarla su fette di pane bianco. La Ferrero lo sa e per questo ti rende un po’ meno povero.


Oppure chiami tuo figlio Unipol-Sai. Prima della partita, negli spogliatoi, l’arbitro dirà: “Brambilla”. Al che il piccolo esterno di centrocampo risponderà: “Unipol-Sai, sette!” A questo punto il direttore di gara si ricorderà dell’RCA in scadenza, che con l’attuale assicurazione non si trova mica bene, e farà un salto sul sito o in una filiale di Unipol-Sai a caccia di migliori condizioni contrattuali.


Attenzione: il tentativo di edulcorare la portata pubblicitaria dei nomi viene scontato con vitalizi di entità inferiore. Per un “Gianamplifon Bianchi” non si possono pretendere più di 250/300 euro al mese, è evidente, così come per un “Mariacolgate Piddu”. 
Naturalmente, con controlli incrociati a campione, le aziende si accerteranno che i profili social dei poveri brandizzati corrispondano ai loro nomi anagrafici. Già si immaginano le truffe, com’è nel costume italiano. Pur succhiando alle casse di un’azienda, poniamo la Pennelli Cinghiale, 400 euro al mese, poi, su Instagram, i truffatori non battezzerebbero mica il proprio account come da contratto Pennelli Cinghiale Rossi, ma, subdolamente, Penn Chin Rossi, che fa tanto figo, meltin’ pot italo-cinese. Eh, no, cari furbetti del quartierino, così non funziona. Vi beccherebbero subito. Pena: sospensione immediata del vitalizio.


Stesso discorso vale per il campanello di casa, per gli elenchi telefonici, per i necrologi, per le tombe. In un futuro assai prossimo, gli oggi plumbei cimiteri delle periferie sbrilluccicheranno di intarsi dorati, altroché loculi intonacati e lastre di cemento armato. Marmo di Carrara, signori, con tanto di statua: “Qui giace Ryanair Capuozzo: per tutta la sua vita mortale, sereno casalingo”. E una pregevole riproduzione in marmo di un Boeing 737 in maestosa posizione di decollo sopra la lapide – la metafora ultraterrena è cristallina.
 È altrettanto evidente che, qualora il povero, crescendo, commettesse qualche crimine, l’azienda si riserverà il diritto di dissociare il suo nome da quello del soggetto per non compromettere la propria immagine. Perché, dopo tutto, la povertà è un conto, la delinquenza un altro.


Mettiamo invece che, per una di quelle storie di riscatto che ci piacciono tanto, poi un povero diventi famoso, supponiamo un trapper. Mercatone Uno Giberti, raggiunta la fama e i quattrini, potrebbe decidere di svincolarsi dell’antica clausola onomastica e farsi chiamare Big Market 1 Gibsy, dove il richiamo all’azienda di mobili si fa parecchio criptico, o, peggio, Mark-1-Gib. A questo punto, l’azienda Mercatone Uno rilancerebbe, offrendo al trapper 5.000 euro al mese invece di 500, o magari 20.000, a seconda dell’audience del personaggio, perché conservi la propria identità anagrafica.
 È anche possibile che, in caso di estrema indigenza, previo accordo tra le società interessate, e ovviamente non concorrenti, il povero accumuli più di un nome sponsorizzato. La formulazione, così lunga e articolata, assumerebbe tra l’altro una sfumatura nobiliare. Vedi l’ipotetico caso di Hyundai Elantra Mezze Penne Rigate Barilla Catozzi. 
I tatuaggi, così gettonati nelle periferie, rientrerebbero nel pacchetto premium. La signora Apple Pautasso, se completasse la brandizzazione della sua persona con una bella mela mangiucchiata sul collo, avrebbe diritto a ben 1.200 euro al mese (1.500 se la mela campeggiasse invece sulla fronte).


Chi l’ha detto che solo campioni e divi abbiano il diritto di fomentare il desiderio di acquisto nel prossimo. Uno vale uno. Là dove non arriva l’eccezionalità, arriva la quantità. Se non potete essere consumatori, diventate testimonial. E avremo abolito la povertà.

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