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Abbiamo scoperto l’estate italiana, e ora ci sentiamo tutti eroi (o Chiara Ferragni)

Anzi: l’#estateitaliana, come da hashtag obbligatorio. Lo storytelling social, la mitomania da influencer, la solita commedia: ma l’importante è mostrarci tutti bravissimi e giustissimi, anche dal mare

C’è qualcosa di struggente, romantico, proustiano, e pure però teneramente mitomane, in questa vostra (nostra) estate italiana. No: #estateitaliana, perché oggi senza hashtag anche le ferie non esistono. Lo storytelling è reale solo se condiviso (quasi-cit.), che sia un quadrato nero o la foto di un lido romagnolo. E allora eccolo, il Grande Romanzo Italiano di autori vari, anzi varissimi, anzi tutti, uniti nella celebrazione nostalgico-patriottica del Paese spezzato dal virus. Tutto bello, bellissimo, soprattutto giusto, che oggi vale di più. Come in ogni questione d’oggigiorno, quel che conta è la possibilità proiettiva di renderci degli eroi. Dovrebbero innalzarci una statua (ogni riferimento a busti esistenti è puramente casuale) per essere rimasti a casa in tuta durante la pandemia; e un’altra per aver condiviso nelle stories gli orrori di Minneapolis mentre aspettavamo la cassetta di Cortilia; e adesso dovrebbero premiarci perché siamo rimasti in Italia: una medaglia, un’onorificenza, un titolo di Cavaliere della Repubblica, presto!

Tutti (o quasi) siamo rimasti in Italia, per mille ragioni che non starò qui a ricordare. Qualcuno ci è rimasto persino a lavorare per non rischiare il licenziamento, e la sua è l’#estateitaliana più italiana di tutte, in quest’anno così strambo. Ma lui (lei, l**) non sarà mai un eroe: la sua estate manco la vediamo, non è instagrammabile. Gli eroi sono le vittime indirette del Covid che hanno dovuto rinunciare al solito volo verso mete esotiche e hanno riscoperto la bellezza del Cilento. Bastava girare l’angolo, pensa te.

La tenerezza sta proprio nel vedere questa gente che non dirà mai che il viaggio in Islanda è stato cancellato: Tropea era davvero la prima scelta, perché in quest’anno così difficile va sostenuto il nostro territorio. Gli sparuti villeggianti esteri (i resistenti della Grecia, gli improvvidi viaggiatori destinazione Scandinavia) sono visti malissimo, di questi tempi. E qui arriva la proiezione mitomane. Nell’epoca in cui tutti si sentono Chiara Ferragni – e in cui in ogni minuto della nostra vita la vera Ferragni ci riconferma, con una foto dagli Uffizi o una spruzzata di Viakal su TikTok, che di immenso come lei non ci sarà nessuno mai –; dicevo, nell’epoca in cui tutti si sentono Chiara Ferragni, in cui tutti taggano i prodotti sui social (però gratis), in cui tutti ringraziano i marchi (anche se le magliette se le sono comprate da soli), in cui tutti fanno l’unboxing pure delle cialde del caffè trovate in saldo su Amazon; ecco, in quest’epoca era ovvio che pure le vacanze sarebbero state personalbrandizzate, come si dice oggi. C’è qualcosa più di #estateitaliana capace di farci sentire allo stadio giusto dell’influencing?

Poi viene la commedia italiana, dai Vanzina (che ci hanno sempre visto lunghissimo: quest’anno Enrico ha profeticamente scritto Sotto il sole di Riccione) alle Ferie d’agosto di Virzì; fino a Sole a catinelle di Checco Zalone, l’on-the-road che stiamo facendo tutti: persino in posti come il Molise, incredibile! Solo che loro i film li sanno scrivere, noi insomma. E dunque, nella massa di italiani che scoprono l’Italia, ci sono gli inevitabili clash culturali che sono ancora attualissima materia di copioni involontari. I settentrionali al Sud (mai viceversa: chi ci vuole andare in vacanza a Brescia?) scoprono che “giù” le cose non vanno come a casa loro, che tutto si ferma durante la controra, che gli orari sono elastici (è un eufemismo). Però anche – l’acqua calda è una scoperta che dovrebbe dare il Nobel a un sacco di cervelli ancora oggi – che sono ospitali, si mangia da dio, il mare è bellissimo. Una vita in Tailandia, e invece avevamo lo Ionio: chi se l’aspettava. (Con strascichi del Nobel da virologi vinto qualche mese fa: «C’è troppo assembramento!», s’indignano su Facebook quelli che stanno sulla stessa spiaggia, nello stesso mare degli altri.)

Resta da chiedersi cosa resterà di quest’estate Covid. È un attimo che il patriottismo diventa sovranismo. Sfottevamo il Papeete di Salvini dalle nostre villeggiature a Medellín o a Luang Prabang, e oggi eccoci tutti qui, orgogliosamente spiaggiati e tricolore. E con la panza: in Italia si mangia meglio, ma anche di più. Abbiamo l’ossessione dei prodotti italiani, i biscotti fatti solo con uova italiane, l’olio di olive italiane: ci voleva l’#estateitaliana, a pigliarsi definitivamente tutto. Forse al prossimo giro la Lega, il più amaramente italiano dei partiti, prenderà il 67%. O forse scorderemo tutto, come l’Antonio Berlinghieri di Ugo Tognazzi nella Voglia matta, splendido film dimenticato di Luciano Salce. L’ho rivisto durante il lockdown (è su Prime), racconta di un’estate italiana (senza hashtag) come quelle di ieri e come quelle di oggi, restiamo immutabili nel desiderio – soprattutto estivo – di mostrarci eternamente al passo col nostro tempo, per poi non cambiare mai. Lui, nel film, rimarrà il cumènda che vuole fare l’eroe balneare in mezzo ai ragazzini, e che non riuscirà a conquistare la giovane Catherine Spaak (ora il personaggio di lei sarebbe una tiktoker di successo, anzi no: oggi un film così non lo si potrebbe scrivere mai). Noi invece aspetteremo il prossimo storytelling. E allora sapremo chi siamo, o gli eroi che vorremmo essere.

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