1727 è un clown, ma siamo sicuri sia il male assoluto? | Rolling Stone Italia
Società

1727 è un clown, ma siamo sicuri sia il male assoluto?

Dietro alle dirette su Instagram, ai ragazzini che urlano “fratellì” e ai tatuaggi sulla faccia, c’è una periferia degradata dove l’unico punto d’incontro è il centro commerciale. Censurare tutto è davvero la soluzione?

1727 è un clown, ma siamo sicuri sia il male assoluto?

Un'immagine dal servizio di 'Piazzapulita' dedicato ad Algero Corretini, in arte 1727wrldstar

Io sto col 1727 ma prima di saltarmi al collo fatemi spiegare perché.

Qui non si tratta assolutamente di assolvere quest’uomo dai suoi peccati ma di comprendere come mai sia meno ipocrita di chi lo critica. Ieri sera Algero Corretini è stato oggetto di un servizio di Piazzapulita su La7, trasmesso durante un blocco della trasmissione in cui si parlava di web, bullismo, emulazione di modelli negativi. In studio Selvaggia Lucarelli e Formigli, in collegamento Maurizio De Giovanni, tutti scuotevano la testa scandalizzati dai comportamenti del nostro, che con tutti quei tatuaggi, quel suo essere così respingente, è una sorta di Maryln Manson degli inizi (ma senza alcuna consapevolezza).

Chi conosce il 1727 sa che non è diventato famoso perché ha scoperto la Penicillina, ma per un video virale in cui andava a sbattere con la macchina contro un muretto mentre faceva un’inversione a “u” vietata. Da quel giorno «ho preso il muro fratellì» è diventato un mantra nazionalpopolare tra i più giovani, ma anche tra i quarantenni come me. PS: per quel fatto Algero è stato perseguito e punito dalla legge (ma di questo non si è accennato in studio, alludendo invece all’impunità e all’ostentazione delle trasgressione che il nostro – scioccamente – compie).

Il giornalista di Piazzapulita intervista Algero, che non si nega mai. «In pratica basta che fai lo scemo per vendere?» chiede alludendo a tutti i prodotti che sponsorizza (e con cui dice – sarà vero? – di guadagnare migliaia di euro a settimana). «Certo, che problema c’è», risponde Algero. Qui mi è venuto in mente Tom Shelby di Peaky Blinders quando esclama: «Siamo tutti delle puttane. Solo che noi vendiamo altre parti di noi stessi».

Il 1727 non nega di doversi mettere in mostra come una bestia in gabbia per sbarcare il lunario, ma almeno non ce la mena con le challenge, le campagne con gli hashtag e il moralismo degli influencer per aver consenso. Algero è disposto a tutto pur di emergere. Come cantava Fibra: “Voglio anche io essere famoso in mezzo a questi bastardi”. Già ma perché?

Anche a questo 1727 risponde: «Prima facevo le pulizie in una palestra, era molto squallido. Mi sono stancato di lavorare e non guadagnare niente. Penso alle famiglie che vivono con mille euro al mese. Non so come fanno, mi viene da piangere». Ecco uno dei punti nevralgici.

Algero vive in una periferia degradata di Roma, in cui l’unico luogo di incontro è il centro commerciale. Un posto brutto come tanti, dimenticato, una palude da cui è difficile riemergere. «La politica non so cosa sia. Non voto», dice liquidando il giornalista.

Come lui non votano le centinaia di ragazzi che l’Occidente ha tagliato fuori e che non hanno possibilità di riscatto. C’è la crisi, il mondo cambia velocemente, i nostri governi ad esempio non riescono a formare giovani che siano adatti al mondo del lavoro. Ed ecco che abbiamo i bar pieni di criminalotti, di bolsi senza un presente prima che un futuro, gente che fondamentalmente non è “produttiva”. Gente che allo stato costa e basta e che viene parcheggiata e dimenticata, lasciata a se stessa.

Essere poveri fa schifo e anche se sei molto ignorante sei in grado di accorgertene. Algero sconfigge momentaneamente la povertà ostentando un lusso ridicolo che pare non colmi dei vuoti, anzi forse li amplifica e lo fa grazie alla popolarità virale che è dannosa come lo zucchero. Inizialmente ti da euforia, poi se ne va lasciandoti lo scempio.

Ecco il punto più alto del servizio: «Non ti preoccupa essere un cattivo esempio?», chiede il giornalista. «Ognuno è responsabile della sua vita» la risposta magistrale di Algero.

Nella sua inconsapevolezza, 1727 dice una cosa sacrosanta. Non possiamo continuare a condannare e censurare tutto, non possiamo dare la responsabilità agli altri delle nostre azioni. Il problema non è il 1727 ma uno che esce di casa e va a sbattere contro il muro perché glielo ha visto fare. Non possiamo dire veramente che lo ha istigato Algero, perché sarebbe lavarsene le mani.

Oltre alle molte innovazioni che hanno portato nei nostri costumi, Instagram e i social hanno reso ancora più ampio il divario tra chi è famoso e chi no. C’è la tua faccia, c’è il tuo nome e poi c’è scritto quanti seguaci hai. Ecco il potere oggi. Se le aziende più importanti del mondo sono in grado di creare questi cambiamenti sociali, poi ci stupiamo che uno senza strumenti faccia ogni cosa per emergere? 1727 va censurato ma le ragazze che mostrano le tette e hanno milioni di follower fanno le campagne di moda. Come mai?

Prendiamo l’utente e responsabilizziamolo, spieghiamogli che strumento ha in mano. Un ragazzo si può iscrivere a Instagram a 13 anni. Voi ce lo mandereste vostro figlio di 13 anni in un posto dove può conoscere chiunque, di ogni età, con ogni perversione, con chissà quale scopo? No. E allora perché lo mandate su Instagram?

Tuttavia, proprio perché esistono, i video di 1727 andrebbero studiati a scuola, così come un tempo si chiedeva agli studenti di leggere i giornali, perché sono un aspetto della realtà che è necessario comprendere.

C’è una scena epocale del servizio, che ricorda Pasolini o Fellini. Algero guida la macchina e una folla di adolescenti festanti lo accompagna in corsa urlando «Fratellì». Quei ragazzi non stanno inneggiando alla violenza al bullismo, non stanno facendo niente, sfogano solo i loro ormoni, la loro voglia cieca di futuro, scaricano la frustrazione di non capirci un cavolo della vita e cercano di urlare: io esisto! Purtroppo è solo un urlo sgraziato, senza senso, che spesso non trova una forma coerente.

Dobbiamo smettere di aver paura delle cose e vietare tutto. Dobbiamo guardare in faccia le paure e affrontarle. E se guardiamo negli occhi del 1727, tolto il caos dei tatuaggi, vediamo solo uno che voleva essere come tutti, o solo un po’ meglio di come era.

Altre notizie su:  opinione