Pietro Maso: 22 anni in carcere non valgono poche centinaia di euro? | Rolling Stone Italia
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Pietro Maso: 22 anni in carcere non valgono poche centinaia di euro?

In rete si sta parlando molto del reddito di cittadinanza percepito da Maso, un uomo che 22 anni fa ha ucciso a sprangate i suoi genitori. Ma a cosa serve accanirsi su un ex detenuto che non riesce a reinserirsi nella società?


Pietro Maso: 22 anni in carcere non valgono poche centinaia di euro?

Buongiorno da Forca Land, o Internet, o il bar collettivo, dove ogni giorno un fatto viene sgretolato in un titolo e diffuso sui social per dare libero sfogo alle vostre opinioni. Il verdetto è sempre: colpevole. Perché se i colpevoli sono gli altri, gli innocenti siamo noi.

La bomba delle ultime ore riguarda Pietro Maso. Questo nome dice tantissimo a tutti i millennial e pure alla generazione precedente perché si tratta di un caso di cronaca nera tra i più celebri in Italia. Nel 1991, a vent’anni, Pietro fece fuori i genitori a sprangate per intascare l’eredità. Aveva dei complici di cui era il leader, sognava una bella vita, si macchiò di un crimine tremendo. Lo presero subito e lo condannarono.

Pietro ha fatto 22 anni di carcere e poi è uscito. Non sono un penalista, non so perché non abbia dovuto scontare l’ergastolo, mi attengo ai fatti.

Da ieri si parla di Pietro Maso perché si è scoperto che per un lasso di tempo ha percepito il reddito di cittadinanza. Non si sa quanti soldi, non si sa per quanto, si sa solo che gli è stato sospeso. Parlando con Oggi, il suo avvocato dice: «Gli unici condannati che non possono godere di pensioni, assegni e stipendi a carico dello Stato sono quelli che hanno precedenti penali per reati legati alla criminalità organizzata, al terrorismo o per truffa ai danni dello Stato, e Maso non rientra in nessuna di queste categorie».

Adesso ci affideremo alla giustizia per capire cosa è successo e chi ha sbagliato, ma nonostante tutto non abbiamo la risposta al problema principale: cosa farne di Maso?

Poche settimane fa, in televisione ha fatto grossi ascolti un lungo documentario-intervista dal titolo Io ho ucciso, in cui Pietro parlava di tutto quello che era successo. Non volendo entrare nell’orrore del suo crimine, limitiamoci a percorrere il suo presente.

Pietro è libero e non riesce a trovare lavoro. Ovunque si presenta, anche quando il colloquio va bene, nessuno se la sente di assumere quel killer. Vorreste mai essere serviti al tavolo dalla Franzoni? Chiedereste mai dei lavori in casa al signor Misseri? No.

Però Maso ha scontato la sua condanna e ora fa parte della nostra società. Di sicuro nessuno dei forcaioli che si scandalizza per il suo reddito di cittadinanza gradirebbe che restasse in carcere, perché a detta loro, il carcere glielo paghiamo noi cittadini. Sai che bellezza: abbiamo un sistema carcerario tremendo, prigioni sovraffollate, tassi di suicidio elevatissimi, l’Europa che ogni anno ci sgrida per le condizioni dei nostri detenuti. Eppure sembra che la gente sia lì in vacanza.

Ma se non sta in carcere, Pietro deve stare in mezzo a noi. Avendo scontato la pena, anche il colpevole ha diritto a una seconda possibilità. Come può averla però se non riesce a lavorare? come fa a vivere? Ecco che scatta la richiesta del reddito di cittadinanza.

Il reddito è un argomento politico e quindi è difficilissimo parlarne. Pensiamo solo al principio: una misura di aiuto economico temporaneo, rivolta a persone con una fascia di reddito bassissima, che non possono nemmeno mantenersi. Non so come, per un periodo Pietro Maso ne ha beneficiato. Evidentemente rispettava i parametri legali. Oggi, sui titoli dei giornali, aleggia un’atmosfera di rivalsa, come a dire: tranquilli lo abbiamo beccato, glielo abbiamo tolto! Perché? Perché è un assassino. Non ne ha diritto.

Allora che farne di lui? Lo dobbiamo tenere in galera a vita solo perché non ci dia fastidio? Dobbiamo fare come in quei paesi dove la gente la fanno sparire o la uccidono? Dobbiamo pretendere che viva in una stanza isolata senza uscire mai per non schifarci con la sua presenza? Sono tutte soluzioni impossibili che andrebbero a minare anche la nostra libertà. Viviamo in una democrazia dove anche i colpevoli hanno diritto a un processo e a una difesa, dove la pena scontata deve valere come un debito saldato. Che bisogno abbiamo di accanirci?

Sì, Maso ha ucciso ed è un killer, ma è anche vero che si è pentito, che si è convertito, che ha fatto ventidue anni di carcere. Una mattina papa Francesco gli ha telefonato e gli ha detto: «Prega per me». Il papa, al peccatore, ha chiesto che pregasse per lui. Quel papa che piace a tutti, a destra e sinistra, a giovani e vecchi, che nessuno contraddice mai.

Come tutte le polemiche si finisce sempre per dire “io farei così”, “io farei chissà cosa”. Tutti discorsi. Nella pratica c’è un ex detenuto che non si riesce a inserire nella società. Stiamo in una democrazia, ci piace dire la nostra e dobbiamo accettare che quello è comunque un essere umano e ha diritto a una possibilità se ha pagato il suo debito. Fargli le pulci su qualche centinaio di euro non aiuta noi a essere migliori né lui a ricominciare a vivere.

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