«Siamo grasse, e quindi?» | Rolling Stone Italia
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«Siamo grasse, e quindi?»

Mara Mibelli e Chiara Meloni sono "Belle di faccia", un progetto Instagram che si occupa di body positivity e lotta alla grassofobia. In occasione dell'uscita del loro primo libro ci raccontano come si sono riappropriate della "parola con la G"

«Siamo grasse, e quindi?»

C’è chi pensa che le battaglie riguardanti il linguaggio siano quisquilie care solo alla lobby del politically correct che vuole limitare la libertà di espressione di comici che non fanno ridere e di giornalisti che cercano il clickbait sentendosi degli audaci provocatori – ma in realtà le parole sono importanti, come diceva un iracondo Michele Apicella. Le parole non raccontano solo la realtà in cui viviamo, ma anche il nostro modo di guardare il mondo e navigarlo. E in questo l’utilizzo della parola “grasso” non fa eccezione.

Non sappiamo esattamente quando abbiamo realizzato di essere grasse, ma sappiamo perfettamente che la parola che meglio definiva i nostri corpi veniva considerata offensiva da chi non voleva ferirci e vista come una sorta di lettera scarlatta da appuntare al nostro petto da chi voleva mortificarci e umiliarci. Questo disagio nei confronti dei corpi come il nostro si è manifestato in un glossario talmente vasto da far capire chiaramente quanto questa parola fosse fonte di imbarazzo per  noi e gli altri: diversamente magra, con qualche chilo in più, robusta, rotonda, cicciottella, pacioccona, in carne, grossa, morbida, formosa, tanta, burrosa, paffuta, curvy, corpulenta, tonda, abbondante. 

Non andiamo avanti perché abbiamo un limite di battute, ma vi assicuriamo che la gente pur di non utilizzare l’aggettivo “grassa” scopre una sconfinata creatività, un vocabolario sterminato, figure retoriche che mai aveva usato prima. Questo perché l’aggettivo con la G che più inquieta, infervora gli animi, e protagonista di stand-up comedy scialbe è considerato nella vita comune una parolaccia, un’onta incancellabile. Se sei grassa nasci, cresci, vivi e muori circondata da persone che ti pesano con lo sguardo, che ti giudicano e ti ispezionano minuziosamente come quando prendi una macchina al noleggio alla ricerca di eventuali danni. 

Dopo lustri passati a cercare parafrasi e sinonimi per girarci intorno, è arrivato il giorno in cui noi stesse abbiamo rivendicato di essere grasse. Se prima amici, parenti e beneauguranti davanti allo scontento del nostro corpo sciorinavano tiepide rassicurazioni, dando fondo a tutti gli eufemismi che conoscevano, nel momento in cui abbiamo detto Non sono robusta, robusta è la FIAT Panda intramontabile utilitaria, io sono grassa sono finite le parole dolci, le pacche sulla spalla della nostra autostima. Quello che ci si aspetta da una persona, o meglio, da una donna grassa è autoflagellazione, pentimento e tanta tanta autoironia. E mentre persone da tutto il mondo si limitano a esistere nel proprio corpo libere finalmente dalla vergogna, niente incendia gli animi, le sezioni commenti come questa rivendicazione della propria dignità e del proprio spazio.

Non è necessario avere la sfera di cristallo per prevedere quali saranno le obiezioni a questo articolo: promuovono l’obesità.  Premesso che in realtà non abbiamo neanche bisogno di proferire la parola “grasse” per essere additate come nemico pubblico, basta che non ci atteniamo alle regole non scritte della buona cicciona: battute taglienti sul nostro aspetto, vergogna, abiti modesti che nascondano l’abominio della nostra ciccia, 

In realtà non abbiamo neanche bisogno di proferire la parola “grasse” per essere accusate di essere un pericolo per la società per questo motivo – basta mostrare foto in cui non ci vergogniamo del nostro corpo, in cui parliamo della necessità di normalizzare la diversità di tutti i corpi. Il nostro intento, anzi quello del movimento per la body positivity e la fat acceptance (che è il movimento nato agli inizi degli anni ‘70 da cui tutto è partito) non è quello. È normalizzare tutti i corpi, e quando diciamo tutti intendiamo tutti. Davvero. 

Non siamo arrivate da un giorno all’altro a definirci tranquillamente “grasse” e riappropriarci di questo termine. È difficile farlo quando una parola è stata usata contro di te per tutta la vita, quando viene usata continuamente come insulto da chi ti circonda. Ma farlo è stato liberatorio e rivoluzionario, è come se avessimo improvvisamente disarmato l’avversario mettendolo a disagio con le stesse armi che usava contro di noi. 

Se prima eravamo le ciccione buontempone che Colorado o Zelig sognavano – quelle delle battute sulla dimensione del proprio corpo, quelle del “se mi metto un paio di mutande di paglia sono un fiasco di vino” – ora siamo quelle che utilizzano il disagio incamerato in anni di grassofobia interiorizzata e lo riversano su chi da noi si aspetta che ci atteniamo alle leggi non scritte della grassofobia (vestiti modesti, vergogna, commiserazione ecc.). Se la lotta agli stereotipi sta facendo passi da gigante ma invece quella alla grassofobia a stento si muove, è perché essere grassi è sempre stata considerata una colpa, un peccato da espiare, un’onta terribile, un fallimento personale. Il motivo per cui questa parola viene vissuta dalla maggior parte delle persone come una tremenda offesa non è solo una questione estetica. Il grasso si porta dietro pregiudizi che vanno oltre l’aspetto fisico e ciò che è considerato più o meno attraente: si pensa che le persone grasse siano pigre, prive di forza di volontà, ingorde, avide, poco intelligenti, sgradevoli e persino sporche.

Ma perché scegliere di rivendicare proprio la parola “grasso” e non, ad esempio, un termine medico come obesità? Primo perché “grasso” dovrebbe essere usato come termine neutro, per descrivere, esattamente come si fa con “magro”, “alto”, “basso”. Invece la parola “obesità” è già di suo medicalizzata e ormai carica di stigma, tant’è che la usiamo come una nostra cartina di tornasole per prevedere quale direzione prenderà una conversazione sul tema della grassofobia. E raramente ci sbagliamo su questo. Quando una persona inizia a parlare di obesità nella nostra sezione commenti è difficile che la conversazione sarà pacata e costruttiva.

La verità è che chi sceglie di utilizzare questo termine fuori dall’ambito medico ha tutta l’intenzione di ridurre ogni persona grassa a un sintomo della stessa malattia, a problema sociale, a una zavorra – pretendendo di conoscerne la storia e la vita con un solo sguardo. Immaginatevi il livello di frustrazione e livore che una persona deve avere per incazzarsi e dirti cose come “morirai di diabete e verrò a pisciare sulla tua tomba”, “basta che alzi il culo dal divano e ti tappi la fogna” e altre amenità. 

Per noi identificarci come grasse ha contribuito alla nostra emancipazione, è stato un segnale del ritrovato rispetto per noi stesse e ci ha fatto sentire parte di un gruppo. Come è accaduto per altri gruppi marginalizzati, anche il movimento per la liberazione dei corpi grassi ha rivendicato con orgoglio termini che erano sempre stati usati prima in modo dispregiativo.

Ma cosa possono fare le persone che grasse non sono per liberare questa parola dallo stigma? Per prima cosa, smettere di utilizzarla contro sè stessi o gli altri. Pensate sinceramente a quante volte avete abusato di questa parola o avete detto cose come “che schifo sono grassa”, “sto diventando una balena, quest’estate mi devo dimenticare la spiaggia” – magari davanti a chi grasso lo era davvero? Anche se non avevate nessuna intenzione di ferire i sentimenti di qualcuno non avete considerato le conseguenze: stavate contribuendo a rafforzare l’idea che il grasso vada eliminato e nascosto.

Questo significa che adesso che sapete che non è un insulto potete andarvene in giro a urlare grasso ai quattro venti? No, state calmi, perché per quanto stiamo lavorando per liberare questa parola dalla sua connotazione negativa la strada è ancora lunga e la persona che avete davanti potrebbe non averla neanche vista di squincio su Google Earth. Vivendo in una società grassofobica è normale non rivendicare con orgoglio una parola che ha sempre contribuito al tuo senso di inadeguatezza. 

Ma quindi non si può più dire niente perché altrimenti le esponenti del femminismo tossico e moralista vi metteranno alla gogna e vi imbavaglieranno? Dov’è finita la libertà di opinione? Perché la gente è diventata fragile come un fiocco di neve? “Un tempo si poteva scherzare su tutto!”. Breaking news: se la vostra idea di libertà è poter offendere tranquillamente chiunque, specie chi appartiene a gruppi marginalizzati perché vi piace vincere facile, forse il problema è tutto vostro.

Belle di faccia è un progetto Instagram gestito da Mara Mibelli e Chiara Meloni che si occupa di body positivity e fat acceptance. Belle di faccia. Tecniche per ribellarsi a un mondo grassofobico è il loro primo libro, uscito oggi per Mondadori.