Insonnia d’amore, film del 1993 diretto da Nora Ephron, è una commedia romantica con Tom Hanks e Meg Ryan che come trasporto e magia non ha niente da invidiare ai più celebri Harry, ti presento Sally… e C’è posta per te (il primo sceneggiato e il secondo anche diretto proprio da Nora Ephron). Tom Hanks interpreta Sam, un vedovo che ha difficoltà a ritrovare confidenza con le donne dopo la morte della moglie e in una scena, seduto al bancone di un diner di Seattle, l’amico Jay (interpretato da Rob Reiner) prova a dargli dei consigli per poi sorprenderlo dicendogli ex abrupto: «Tiramisù». Al che Sam risponde “cos’è?” e Jay, senza dare molte spiegazioni, replica: «Lo scoprirai, ti piacerà».
In questa scena il tiramisù (e nella storia del film in sé) non ha un particolare significato (o almeno io non l’ho mai colto) ma a noi, in questo momento, torna utile perché ci dice una cosa molto chiara: nel 1993, negli Stati Uniti, il tiramisù non era conosciuto granché (nel doppiaggio italiano “tiramisù” diventa “tartufone”, probabilmente per garantire il mistero della battuta). “Cos’è il tiramisù?” chiedeva insistentemente il pubblico uscendo dalle sale dei cinema. Il mistero divenne così grande da obbligare poi la regista ad andare nei talk show a spiegare l’enigma e quindi la sua ricetta.
E in Italia? La parola entrò nel linguaggio corrente solo negli anni Ottanta (nel dizionario nel 1983), al contempo la ricetta si diffuse in tutto il Paese e poi, a passo spedito, nel mondo. Ma quand’è nato questo dolce simbolo della cucina italiana, facile da preparare e ancora più facile da amare? Il libro Tiramisù – Storia, curiosità, interpretazioni del dolce italiano più amato scritto da Clara e Gigi Padovani fa una ricostruzione accurata, toglie ogni dubbio ed è stato una guida imprescindibile per le parole che seguiranno.
Com’è possibile, direte voi, che il tiramisù sia così “giovane”. Siamo abituati a sentirlo parte integrante delle nostre vite, del tessuto sociale, come se lo conoscessimo da sempre. Questo perché è conosciuto e (quasi) sempre disponibile in ogni dove: da casa nostra a quella del nostro peggior nemico, nel supermercato e in gelateria, nel nostro ristorante preferito e in quello in cui non vorremmo andare mai. Mille e più versioni che si distinguono tra di loro per piccoli-grandi particolari, con adepti di ciascuno schieramento che si danno battaglia, ma che alla fine non lasciano mai avanzare una cucchiaiata, nonostante la pancia piena a fine pasto, le ritrosie verso la ricetta o il suo autore.
È sempre esistito, verrebbe da dire. Invece, come forse alcuni di voi sapranno, la storia di questo dolce è abbastanza recente. Come ogni leggenda che si rispetti, anche la sua è contornata di misteri e contese sulla genesi. Tutti gli esperti sono concordi nel ricondurre il tiramisù alla famiglia delle zuppe inglesi e in particolare nel riconoscere la sua discendenza dallo “sbatutin”, cioè una crema realizzata con tuorlo d’uovo sbattuto e un po’ di zucchero arricchita all’occorrenza nel Nord Italia con il caffè, mentre al Meridione si usa il Marsala. In ogni caso veniva poi usata per inzupparci dentro i Savoiardi. Questa ricetta aveva come fine deliziare il palato, ma anche dare energie o se preferite “tirare su” la persona che si sentiva debole.
La paternità-maternità del tiramisù è contesa in particolare tra due regioni italiane, Friuli-Venezia Giulia da una parte e Veneto dall’altra. A Pieris, frazione della città di San Canzian d’Isonzo, un tempo si trovava la Trattoria Al Vetturino gestita dalla famiglia Cosolo. Negli anni Trenta, il giovane Mario Cosolo svolge il servizio militare presso Nave Regia Savoia, lo yacht reale di Vittorio Emanuele III, in qualità di sous-chef, ed è qui che confeziona per la prima volta un antenato del tiramisù composto da una mousse al cioccolato con sopra pan di Spagna bagnato nel Marsala a sua volta sovrastato da zabaione con panna montata, il tutto servito poi all’interno di una coppa. In seguito, Mario porta la sua creazione nel ristorante di famiglia e lo serve con il nome di “Coppa Vetturino”.
L’origine del secondo e ben più celebre nome pare sia da attribuirsi a un cliente che, invaghitosi di una cameriera, assaggiò il dolce e guardandola disse, rigorosamente in dialetto, “questo è un tirime su”. Entrò così nel menu sotto la voce: “Tirime su Coppa Vetturino”. Se vogliamo avere una prova documentale dobbiamo affidarci a una foto scattata nel locale nel 1950, nella quale si vede un manifesto con la scritta “il tirime su creato da Mario Cosolo vale più di quel che costa”. Nonostante il primato per il nome, risulta evidente che la ricetta ha non poche differenze rispetto a quella che ufficialmente viene attribuita oggi al tiramisù: non troviamo il caffè, né i Savoiardi e neppure il mascarpone.
Caffè, Savoiardi e mascarpone rispondono invece all’appello nella ricetta di Norma Pielli, cuoca dell’Albergo Ristorante Roma” di Tolmezzo, sempre in Friuli-Venezia Giulia ma nella zona della Carnia. Il suo dolce, inizialmente battezzato Trancia al mascarpone, ritemprava gli sciatori di ritorno dalle località sciistiche e fece diventare il ristorante meta di pellegrinaggio imprescindibile per vacanzieri e non. Qui la prima prova documentale disponibile risale al 9 aprile 1952 e si tratta di un conto dove compare scritto “Trancia di mascarpone”. Come per la “Coppa Vetturino”, anche il dolce della signora Norma Pielli cambiò poi nome.
In questo caso la storia non ha allusioni sessuali e vede protagonisti alcuni sciatori di ritorno dalle piste. Gli sportivi, dopo averlo assaggiato, commentarono infatti: “Questo qui tira veramente su!”. Ad avvalorare la rivendicazione del Roma di Tolmezzo c’è una distinta datata 13 dicembre 1959 e soprattutto una ricetta che più della Coppa Vetturino si avvicina a ciò che noi oggi identifichiamo come “tiramisù”. Mario Del Fabbro, figlio di Norma Pielli, racconta che la madre si ispirò al Dolce Torino dell’Artusi n. 649, facendo due variazioni: al burro preferì il mascarpone e anziché l’Alchermes decise di bagnare i Savoiardi nel caffè. La dottrina maggioritaria riconosce a Norma Pielli la maternità del tiramisù grazie all’incontro di nome più ricetta, qui per la prima volta insieme, ma ci sono altri contendenti al titolo che rivendicano il loro primato.
Contrarissimo a queste ricostruzioni è infatti Luca Zaia, Presidente del Veneto, nella cui Regione si trovano due locali (più uno) che reclamano la paternità del dolce. Entrambi si trovano a Treviso. Il primo è Al Camin e riconduce la propria ragione al 1958, anno in cui riceve la visita della Principessa di Grecia. Per onorare la sovrana venne quindi servito un dolce chiamato Coppa Imperiale. Nella sua composizione non si trovavano Savoiardi ma pan di Spagna e aveva una stratificazione studiata con tale maestria da consentire al cliente di scegliere, di volta in volta e in base alla profondità della cucchiaiata, l’intensità della dolcezza o dell’amaro da assaporare. Nella ricetta, realizzata dalla signora Speranza Bon, sono presenti anche il mascarpone, il caffè e come liquore il Grand Marnier. Il Camin oggi non è più in attività, ma la famiglia è ancora in affari con l’albergo ristorante Al Fogher, dove il dolce viene servito tutt’oggi secondo le indicazioni lasciate da Speranza Bon, madre dell’attuale gestore.
Nella stessa città troviamo il secondo pretendente veneto, il ristorante Alle Beccherie. Tra questi tavoli il tiramisù è datato 1970 e può vantare la prima pubblicazione su di un testo di gastronomia, precisamente ne La cucina trevigiana di Giuseppe Moffoli (1983). La ricetta di questo “tiramesù” (con la “e”) fu realizzata da Roberto “Loli” Linguanotto nell’autunno del ’70 e prende ispirazione dai dolci ricordi d’infanzia dell’autore, in particolare dallo sbatutin che mangiava a casa la domenica. Ai tuorli d’uovo, senza albumi montati, vengono aggiunti Savoiardi, mascarpone e caffè; non Marsala, né panna. Oggi le Beccherie ha cambiato gestione e la ricetta del suo tiramesù è stata depositata da un notaio. Uno dei tanti segreti della sua preparazione? Secondo Loli è avere un mascarpone «ben asciutto, magari lasciato fuori dalla sua vaschetta mezza giornata, nel frigorifero».
Sempre a Treviso troviamo il racconto fornito dall’ex sindacalista Zeno Giuliano nel suo libro Storie di Zeno. L’autore, tra leggenda e realtà, incorona come luogo in cui è nato il tiramisù niente meno che una casa chiusa, nel giorno di Pasqua del 1945: «…la tenutaria del bordello, qualche ragazza e due clienti abituali improvvisarono un dolce usando ciò che trovarono in dispensa. Anche nel più scalcinato dei casini c’erano sempre uova, caffè, zucchero, marsala e biscotti (il mascarpone entrò solo in seguito a far parte della ricetta)». Secondo alcune testimonianze, anche lo scrittore trevigiano Giovanni Comisso era convinto che il tiramisù fosse nato nella cucina di una casa di tolleranza, del resto il nome si presta bene a questa ricostruzione.
Il 6 luglio, al castello di Moasca, in provincia di Asti, sono iniziate le selezioni per la Tiramisù World Cup. Si tratta di una competizione itinerante per non professionisti che culmina a Treviso con due premi finali destinati al miglior dolce classico e alla sua versione più creativa. Ormai, con buona pace di Borghese, più che una sfida tra ristoratori si tratta sempre più spesso di una battaglia tra privati e sovente veniamo infatti messi in guardia sulla bontà del tiramisù di qualche conoscente o parente. Per quanto mi riguarda, seppur negato in cucina, un risultato accettabile sono riuscito a ottenerlo pure io, ma preferisco comunque cimentarmi in qualcosa di ancora più basico e sbarazzino, che vagamente lo ricorda, cioè “Pavesini Nutella mascarpone e cocco”. Se vogliamo invece farne una questione di locali, TheFork ha stilato una lista dei migliori 12 d’Italia. A quest’elenco, come nota personale, mi permetto di aggiungere la declinazione che viene realizzata all’Antica Osteria l’Agania nella mia città natale, ad Arezzo, dove viene chiamato “Pigliamisù” e servito con al vertice una golosa colata di Nutella o confettura.

Il “Pigliamisù”. Foto: Matteo Bendinelli

Il “Pigliamisù”. Foto: Matteo Bendinelli
Nonostante le varie diatribe sulla primogenitura e le preferenze creative nella realizzazione, bisogna constatare che il tiramisù è un dolce impossibile da non amare, capace di unire tutti i commensali per un piacevole momento a fine pasto. Sempre TheFork certifica proprio questo quando lo indica come il dolce più amato nel nostro Paese, seguito dal cheesecake. In vita mia non ho mai sentito dire “questo tiramisù non è buono”, nel peggiore dei casi (ma davvero nello scenario più brutto possibile) posso aver sentito commenti come “non mi fa impazzire, niente di speciale” e comunque assistere poi allo “spazzolamento” della porzione servita, senza lasciare alcun avanzo sul piatto o nella coppa. Risulta quindi essere particolarmente azzeccata per la materia in oggetto la massima di David Lynch: “Anche un pessimo caffè è meglio di niente caffè”; allo stesso modo, e penso di parlare a nome di tutto il mondo se non di tutto l’universo, concludo dicendo che “anche un pessimo tiramisù è meglio di niente tiramisù”.








