Quando al Teatro alla Scala i 100 violoncelli prendono posto, il palco sembra restringersi, affollato di archi, corde, spartiti e respiri umani. L’orchestra è fluida, spiega il programma, i musicisti possono cambiare da una rappresentazione all’altra, tranne Giovanni Sollima, primo violoncello, che ha composto la musica per interpretare una storia antica, che pretende di essere attuale. È così che esordisce Alessandro Baricco, regista di Tucidide. Atene contro Melo, mettendo in scena uno degli episodi della Guerra del Peloponneso raccontata dal greco Tucidide, il primo storico moderno.
Cappello a larga tesa, gilet, camicia bianca: Baricco è un cowboy metropolitano, al centro della scena. Potrebbe anche indossare i guanti che rivelano la sua malattia, volendo, ma non per quest’evento nel tempio mondiale dell’arte, come lo definisce la presidente della Fondazione Francesca Rava, madrina del concerto.
I violoncelli si capovolgono, la tastiera dello strumento sembra trasformarsi in arma, quando lo scrittore torinese spiega com’era fatto il mondo intorno al 430 a.C., quando Atene e Sparta guerreggiavano l’inverno, e contavano i morti l’estate, quando Atene declamava la sua democrazia di oligarchi e Sparta prediligeva l’oligarchia assoluta, quando gli ateniesi esercitavano la dialettica e la passione per le parole, e i laconici spartani (inteso come abitanti della Laconia, lol) l’arte della guerra. E anche di quanto, sottolinea Baricco, queste due città rappresentassero due visioni del mondo, due stili di vita, due modi opposti di considerare l’esistenza Un po’ come Mattarella e Trump, chiosa l’autore, e la Scala applaude.
Secondo Baricco, Tucidide può essere considerato il precursore dei cronisti politici, capace di osservare con sguardo lontano e obiettivo i fatti storici, e preciso come un falco che plana sulla notizia, quando vuole capirne i dettagli.
I violoncelli vibrano, le mani battono sulla cassa armonica, la tensione cresce e “si scatena l’inferno” quando Melo, piccola colonia dell’impero ateniese, si proclama indipendente, chiede la neutralità al dominio ateniese e si rifiuta di combattere l’infinita guerra contro Sparta. Battito di violoncelli, ritmo guerresco e perfino un urlo dei musicisti, diretti dal maestro Enrico Melozzi.
Dopo la sfida, s’inaugura il tavolo delle trattative. Il falco Tucidide plana nella stanza dei bottoni, iniziano i discorsi che spiegano le motivazioni e i punti di vista dei contendenti, entrano in scena, in veste da generale, le attrici Valeria Solarino (Atene) e Stefania Rocca (Melo).
Quante volte avrò tradotto la “versione” di questo discorso, mi chiedo, e chissà in quanti che “hanno fatto il classico” pensano la stessa cosa, alla Scala sold out. Mai però avevo messo a fuoco quanto il principio brutale del più forte possa irrigidirne l’identità, fino a trasformare la “democratica” Atene in un ottuso tiranno. Mai avevo trovato un esempio tanto antico con parole così simili ai titoli di giornale che raccontano le nostre guerre. Ignorando la giustizia, Atene si adegua alla giustezza del più forte, rifiutando le richieste della piccola Melo, con “pacata e bellissima arroganza”, commenta Baricco.
Melo spiega all’Impero che quella guerra contro Sparta non è la loro guerra, rilancia opponendo orgoglio e rivolta, minaccia tradimento ed effetto domino tra le colonie ateniesi. Atene non ascolta anzi, bullizza. Di fronte al paradosso della fierezza, sentenzia: “Vi siete giocati tutto, e tutto perderete”. Chi ascolta – la platea, i palchi, la galleria – sembra sospirare all’unisono, sconfitta la speranza del più debole che ce la fa, che combatte, che vince, che diventa indipendente, libero. Muore il sogno di Davide, Golia stavolta trionfa. Melo è rasa al suolo, i suoi abitanti resi schiavi.
Anche se, ricorda Baricco riempiendo un silenzio cupo, perfino la Storia non è soltanto bianca e nera, e qualche volta saper pensare, essere esercitati a farlo, come dovrebbe avvenire in ogni democrazia, può cambiare le sorti di un popolo. I 100 violoncelli riprendono a vibrare, e se soltanto uno può essere tutt’un’orchestra, immaginate cosa possono combinare in 100.
Chiudete gli occhi, esorta Baricco, e immaginate due navi, una messaggera di morte, l’altra di salvezza. Accadde a Mitilene, migliaia di anni fa. Continuate a pensarci, non smettete di farlo. A volte è l’unica speranza che resta. A volte la nave della speranza arriva in tempo. La Storia si ripete, credeva Tucidide, ricordandoci tra le righe che soltanto gli stupidi non sanno cambiare idea.