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‘Pretty Woman’ diventa un musical e ci parla di sessismo e sex worker

Lo spettacolo con le musiche di Bryan Adams, ancora in scena al Teatro Nazionale di Milano, adatta la commedia simbolo degli anni ’90 alla contemporaneità. Senza moralismi e con uno sguardo nuovo

Foto via Teatro Nazionale

“If you like some kick-ass rockin’ music, we’re a kick-ass rockin’ band. If you can’t play a lick, just play anything, raise hell and clap your hands”. Bryan Adams è fuori con Kick Ass, pezzo piuttosto simile a molti altri suoi successi del passato, che inneggia ad un ritorno del rock’n’roll come antidoto al periodo buio in cui siamo precipitati e anticipa un disco in uscita marzo. Al Teatro Nazionale di Milano, da settembre e con grande successo di pubblico, sta andando in scena Pretty Woman il musical, con la colonna sonora dello stesso Bryan Adams.

Il nesso tra le due notizie è che il cantautore sta vivendo anche lui, come tutti, il suo momento di crisi? Può darsi. Ma come mai un’opera dalle tematiche così fortemente retrograde, sessiste e materialiste, sembra riscuotere ancora oggi tutto questo successo? Per almeno tre buoni motivi. Primo tra tutti perché in realtà siamo ancora nel vivo di una critica radicale del moralismo, che ancora oggi (o soprattutto oggi?) ci porta di fronte ad una vera e propria guerra tra i sessi. In secondo luogo perché un musical di Broadway con attori che recitano, cantano e ballano contemporaneamente, dal vivo e non su uno schermo, è sempre un’esperienza piuttosto intensa, tanto che il musical in questione registra il tutto esaurito dal 2018 e, nel caso della piazza italiana, è stato addirittura prolungato di due settimane (doveva terminare l’8 gennaio, ma andrà avanti fino al 22), dopo più di 80 repliche e 80.000 biglietti venduti. Ultimo, ma non ultimo, con Pretty Woman abbiamo l’opportunità di tirare fuori il tema del lavoro sessuale che, oggi che le questioni di genere sono sempre più specchio dell’esistente, in quasi tutto il mondo è vittima di stereotipi e pregiudizi, tanto da impedirne il riconoscimento di lavoro vero e proprio. Tanta carne al fuoco. Ma la commedia romantica del 1990, scritta da Garry Marshall e Jonathan F. Lawton, rispettivamente regista e sceneggiatore, è inaffondabile e nell’adattamento teatrale mantiene l’impianto narrativo del successo cinematografico premiato nel ‘91 con un Golden Globe per la migliore attrice (“quella gran culo di” Julia Roberts) e ripercorre fedelmente i momenti della storia d’amore di Vivian ed Edward.

A combattere il conservatorismo un po’ datato, non solo una colonna sonora firmata dal celeberrimo autore di Summer of ’69, insieme al suo fidato co-autore Jim Vallance – che non possono fare a meno di tenere Oh, Pretty Woman di Roy Orbison –, non solo un corpo di ballo compatto e bravissimo diretto da Denise Holland Bethke, ma anche e soprattutto uno sguardo registico femminile: è l’olandese Carline Brouwer – per questa occasione insieme a Chiara Noschese – al timone del progetto teatrale, già alla direzione di altri musical del genere come The Body Guard. Tante donne, per fortuna, anche se nonostante questo le riletture non sono così lampanti, ma ci sono e vanno scoperchiate, se no questo appuntamento con gli anni ’90 sarà stato vano. A partire dal sottotitolo “voglio di più, voglio la favola” che rischia di farti cadere dalla poltrona: vogliamo davvero ancora ribadire il concetto della favola come migliore dei mondi possibili? Ma queste povere adolescenti del 2021 devono ancora credere che trovare un uomo ricco sia l’unica soluzione per contrastare una partita iva e vivere una vita migliore?

«No, ma infatti il concetto a prima lettura è deprimente, ma se segui il fil rouge della storia la favola del 2021 è una “non favola”, appunto, ma semplicemente una relazione vera, alla pari». In fondo già Lucio Dalla diceva che “l’impresa eccezionale è essere normale” e di questo e molto altro parlo con la co-protagonista Martina Ciabatti Mennel, voce tuonante (e anche per questo già ripartita per Londra dove a febbraio debutterà nei panni di Ozzy Osbourne nel musical We Will Rock You), che in Pretty Woman al Nazionale è Kit De Luca, la migliore amica della protagonista. Nel film ha un ruolo importante emotivamente, ma piuttosto marginale praticamente, mentre nel musical è risolutivo. «Capisco che questa battuta possa far venire l’orticaria, ma a ben vedere in questa riscrittura un ribaltamento c’è, e mi sento di dire che Kit a teatro è un personaggio quasi femminista». Parole forti, però in effetti la Kit è una lavoratrice del sesso contemporanea, che si è dovuta arrangiare riscrivendo le sue regole, con i suoi termini e le sue condizioni, esponendosi ai pericoli del mestiere, ma affiancando Vivian (interpretata a teatro da Beatrice Baldaccini) in tutto e per tutto e insegnandole a prendersi cura di se. «Regola aurea: decidi tu chi, quando e quanto. Sei tu in controllo, non la società. Fottitene di ciò che pensano gli altri, l’importante è mantenere sempre dentro te stessa la tua dignità, la tua forza, le tue regole. Stabilisci il grado di rischio a cui esporti».

Nel dibattito pubblico la posizione più diffusa sul lavoro sessuale, anche all’interno di parte del movimento femminista, è che “tutte le prostitute sono vittime”, o di uno sfruttamento vero e proprio da parte di altri, o di un’oppressione introiettata. Il tema è interessante e la questione annosa e ricca di sfumature, le storie sono tante e tutte diverse, certamente sono molte quelle legate ad un sistema di oppressione, ma esistono anche quelle, diciamo così, “virtuose”, come quelle provenienti dal Prostitution Information Center a Enge Kerksteeg, ad Amsterdam, dove si lavora in primis per far superare i pregiudizi sui sex workers attraverso il dialogo. Le case chiuse come quelle del Red Light District sono spesso ben attrezzate per assicurare condizioni di lavoro dignitose, monitorando che le ragazze lo facciano sempre volontariamente. Purtroppo esiste anche in quel contesto lo sfruttamento, e centri come il PIC servono a cercare sempre più forme di tutela, ma il confine tra sfruttamento e scelta personale resta sempre molto sottile.

In Italia, dopo l’approvazione della legge Merlin che nel 1958 abolì le case di tolleranza, lo spazio pubblico divenne il luogo deputato, ma nonostante una diminuzione dei numeri registrati ad oggi -il modello italiano è quello abolizionista- non c’è una coincidenza fattiva con una diminuzione del fenomeno, ma più un cambio di forma. “Il sex work è per definizione sesso consensuale. Il sesso non consensuale non è sex work, è violenza sessuale o schiavitù”, cita il manifesto scritto a Bruxelles nel 2005 da una delle più grandi assemblee di sex workers da tutto il mondo. Così, riflettere sul senso di un’opera come Pretty Woman oggi sembrava inutile, quando invece forse non lo è. L’augurio è che anche il pubblico eterogeneo che ha con sorpresa affollato le sale per vederlo, sia stato in grado di fare gli stessi ragionamenti che stiamo facendo in questo articolo, accorgendosi che la parola favola ha oggi il significato contrario: è una favola avere una relazione reale, chiara, alla pari, rispettosa.

Non a caso, infatti, la Vivian della riscrittura teatrale ribalterà la scena della violenza nella camera d’albergo – che nella versione cinematografica si concludeva con Stuckye (l’amico e collega di Edward) che la picchiava e Edward che interrompeva la violenza, mentre a teatro la violenza non si consuma perché Vivian si difende egregiamente senza bisogno di un aiuto maschile. Un’operazione coraggiosa, dunque, sotto tanti aspetti, che alla fine dei conti ha portato a teatro uno spettacolo di lunghissima tenitura con più di 60 lavoratori, tra attori, danzatori, maestranze e team creativo, in un momento complesso per tutto il comparto, e nonostante le capienze ridotte e il rischio interruzione dietro l’angolo (il musical si è dovuto fermare per Covid19 a natale e capodanno). Ma volevate la favola? Eccola: Pretty Woman il musical si è rivelato essere lo spettacolo che ha venduto di più nel 2021.

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