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“Sulla Razza” è il podcast che devi ascoltare prima di parlare di razzismo

Vuole tradurre espressioni nate nel contesto americano come "colorismo" e "razzismo sistemico", per insegnarci a usarle qui da noi. Ne abbiamo parlato con le autrici: Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso

Manifestazione per George Floyd a Roma. Simona Granati - Corbis/Getty Images

Per qualche settimana, nell’estate del 2020, sembrava che l’Italia si fosse svegliata da un lungo sonno e fosse pronta a parlare di strascichi del colonialismo e di razzismo strutturale. Ispirate dal movimento Black Lives Matter statunitense, le piazze della penisola si riempivano di cartelli, striscioni e voci – un po’ per dimostrare solidarietà contro gli abusi della polizia in America, un po’ per discutere come le disuguaglianze si mostrassero anche qui, dalle troppe morti evitabili nel Mediterraneo alle
centinaia di strade e piazze intitolate al passato coloniale del Paese.

Per continuare a discutere della questione razziale in Italia al di là delle proteste, il 12 febbraio arriva su Spotify, Apple Podcasts e Google Podcast Sulla Razza. Dodici episodi di mezz’ora, che usciranno nel corso di sei mesi, con l’obiettivo di tradurre in italiano quei concetti ed espressioni angloamericani che ci ostiniamo ad applicare alla realtà italiana.

Dietro al progetto ci sono Nadeesha Uyangoda, autrice freelance che si occupa di identità, seconde generazioni e migrazioni; Nathasha Fernando, che ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’università di Westminster affrontando temi come la percezione della “crisi migratoria” e la discriminazione interiorizzata in Italia; e Maria Mancuso, che insieme a Nathasha ha già lavorato al podcast S/Confini di The Submarine, su migrazione e identità.

Qual è la storia dietro al progetto?
Nadeesha: Il progetto è nato durante il lockdown. Io ascoltavo un sacco di podcast e ho visto che ce n’erano tanti sulla questione razziale negli Stati Uniti e in Inghilterra, ma in Italia non avevamo nulla. Era un periodo in cui anche in Italia si cominciava a parlare di razza e razzismo, ma senza parlare della questione razziale in sé, senza occuparsi di razzismo strutturale ma parlandone in generale, come reazione a quello che stava succedendo negli USA. L’idea era quella di creare un podcast che trattasse la questione da un punto di vista italiano, non angloamericano. Ho mandato subito una mail a Maria e Nathasha, che conoscevo già grazie al podcast S/Confini per The Submarine e hanno accettato, entusiaste. Poi è cominciato il calvario per cercare di produrlo.

Cosa dobbiamo aspettarci da una puntata tipo?
Maria: Iniziamo con una contestualizzazione accademica e teorica, gestita soprattutto da Nathasha – che è la nostra accademica di fiducia – con l’intervento di Nadeesha. Nella seconda parte portiamo più esperienze e contributi audio di altre persone, cercando di offrire una visione più pratica, incentrata sulla società italiana, con vari esempi. Qui mi inserisco io, parlando anche agli italiani bianchi, essendo io un’italiana bianca. Cerco di spiegare come le parole che traduciamo si manifestino nella società italiana. È una conversazione a tre: Nadeesha porta l’ascoltatore per mano fino alla fine, nella prima parte c’è più il contributo di Nathasha, nella seconda più il mio.

Nadeesha:
Io porto più un punto di vista personale perché posso fare riferimento al lavoro che ho fatto negli ultimi anni. Maria invece si concentra sulle prospettive pratiche: come una parola è stata utilizzata, che casistica ha creato. Nel caso del colorismo, per esempio, ha portato l’esempio delle creme sbiancanti. Mostra come la parte teorica abbia sfaccettature concrete e pratiche nella vita reale.

Maria:
Abbiamo anche contributi di altre persone. Ci teniamo ad avere opinioni esterne sulle parole che stiamo utilizzando – nel caso del colorismo, ci chiediamo come stia impattando gli italiani neri in Italia.

Perchè abbiamo bisogno di un progetto del genere in Italia?
Nadeesha: Ci siamo un po’ guardate attorno e siamo giunte alla conclusione che al momento qui non esiste un podcast del genere. Ci sono un po’ di podcast realizzati da seconde generazioni, soprattutto afrodiscendenti, e chiacchiere tra amici non strutturate, informali, ma non sulla questione razziale. Questo argomento manca. L’idea del nostro podcast è di tradurre determinate parole dall’inglese all’italiano, e insieme alle parole anche i concetti che ci sono dietro, perchè abbiamo la sensazione che in Italia certe parole – come razzismo strutturale o colorismo – vengano utilizzate prima di tutto in inglese, e che manchino proprio determinate parole che invece in inglese ci sono, come per esempio il concetto di brown.

Maria:
Continuare ad utilizzare termini inglesi ci dà l’impressione che siano cose che non ci interessano, che hanno più a che fare con la società americana o quella britannica. Invece ci toccano da vicino. Esistono in Italia. E quindi dobbiamo tradurle anche per far vedere che dovrebbero entrare a far parte del nostro linguaggio comune – e magari anche nei dizionari.

Nathasha:
Realisticamente, in una puntata chiediamo alla Treccani di aggiungere un certo termine (che non spoilero) al vocabolario. C’è anche lo scopo di portare queste parole nel contesto italiano, perché hanno importanza per molte persone. A livello concreto vogliamo cambiare il discorso sul razzismo. Anche perché, nonostante i vari movimenti e le proteste Black Lives Matter di giugno, è necessario presentare la lotta al razzismo non come un trend. Bisogna far risaltare questo problema come strutturale.

Nadeesha:
Ci piacerebbe che intervenisse il maggior numero di persone non bianche possibile. Ragazzi di seconde generazioni, figli di immigrati. Abbiamo la sensazione che quando i progetti editoriali si occupano di queste realtà si tratti o di spazi auto-organizzati dai ragazzi stessi, che creano un luogo in cui parlare, oppure che venga loro concesso uno spazio da testate prettamente bianche quando si parla in quel momento di razzismo e allora si cerca la loro opinione: a noi piacerebbe invece che partecipassero alla conversazione razziale perché riguarda prima di tutto loro, le loro esperienze, come descriverle.

Maria:
Dal punto di vista degli italiani bianchi, vogliamo sfatare dei miti, come quello secondo cui basterebbe definirsi “antirazzisti” per aver finito il lavoro come persone bianche piuttosto che essere coinvolti attivamente nella conversazione, rendendoci conto del razzismo strutturale che sta alla base della società italiana senza guardare sempre agli altri Paesi, ma facendo un lavoro interno a noi stessi.

Avete scoperto qualcosa anche voi lavorando al podcast?
Nathasha:
Personalmente, il fatto che anche a livello accademico il tema sia stato affrontato ma senza avere lo stesso impatto di opere come Why I’m No Longer Talking About Race To White People in Inghilterra e in America. In realtà, il materiale c’è, di gente che svolge ricerca su questi temi in Italia ce n’è tanta. Io studio queste cose in un contesto britannico, quindi è stato piacevole scoprire nuovi nomi.

Nadeesha:
Lo stesso vale dal punto di vista delle nuove generazioni. Io stessa ho l’impressione che quando si parla di questioni razziali in Italia si finisca per intervistare sempre le stesse persone, quelle che hanno avuto maggiore visibilità o si sono esposte di più. Quindi mi fa piacere sentire persone diverse, sapere che esistono tantissime opinioni diverse tra gli italiani non bianchi e farli intervenire.

Maria:
Dal mio punto di vista, invece, sto imparando tantissimo da ogni puntata. Sicuramente gli italiani bianchi impareranno tanto. Mi sento molto fortunata a lavorare a questo podcast con Nadeesha e Nathasha e poter parlare di questi argomenti in italiano: è una cosa importantissima.

Come ha influito in questo lavoro di traduzione dei concetti il fatto che l’esperienza italiana sia spesso molto diversa da quella anglosassone e, soprattutto, statunitense?
Nadeesha:
Penso in particolare alla nostra terza puntata, “Una goccia di sangue nero”. Negli Stati Uniti i neri sono gli afrodiscendenti. In Italia, invece, i neri sono tutte le minoranze etniche. Non esiste il concetto di brown ma neanche di orientale, di arabo. In Italia vengono considerati afrodiscendenti anche i nordafricani, mentre negli Usa sono inseriti nella categoria di “arabi”. Questa sostanziale differenza ha a che fare con la storia: da una parte c’è la segregazione, mentre in Italia c’è una migrazione che si è svolta soprattutto negli ultimi trent’anni. Se c’è una storia diversa, c’è una necessità di parole diverse per descrivere le minoranze.

Nathasha:
C’è secondo me anche un problema di nominalizzazione, causata dall’esistenza di tutti quei termini come “extracomunitario”, “immigrato”. Ne parlo anche nella mia ricerca di dottorato, studiando la percezione che hanno gli “immigrati” stessi che si sono stabiliti a Milano da più di dieci anni sulla cosiddetta crisi migratoria. Secondo me il problema in Italia è che si tende a vedere tutto un gruppo di Altri come Immigrati. Anch’io, finchè non parlo, a Milano vengo vista come immigrata.

Maria:
Vorremmo combattere un po’ questa pigrizia nell’analisi, perchè ipersemplificando la questione finiamo per perdere complessità e non diamo dignità ad ogni esperienza. Utilizzando le parole giuste tentiamo di ovviare a questa situazione.

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