Cortina è pronta a fotografare di nuovo il Paese reale | Rolling Stone Italia
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Cortina è pronta a fotografare di nuovo il Paese reale

Le Olimpiadi invernali ci faranno tornare in uno dei veri centri di gravità permanenti d'Italia: la location di 'Vacanze di Natale'. E chissà, questa volta, che cosa ci troveremo

Vacanze di Natale Vanzina 1983

'Vacanze di Natale', 1983

Foto: X

Quando nel 2026 le Olimpiadi invernali torneranno a Cortina, non sarà soltanto un evento sportivo: sarà un rito di reincarnazione nazionale. Ogni generazione ha avuto la sua Cortina, e ognuna l’ha trovata identica e diversa. C’è la Cortina del bianco e nero, quella delle pellicce e dei cocktail, quella dei riflessi metallizzati e dei droni. Ma al fondo, sotto i metri di neve e sotto gli strati di glamour, resiste sempre lo stesso paesaggio mitico: un laboratorio d’immaginario collettivo dove l’Italia, di tanto in tanto, va a rivedersi in alta definizione.

Tutto comincia nel 1956, con la prima Olimpiade bianca italiana. Cortina smette di essere un villaggio alpino e diventa un palcoscenico internazionale. La neve non è più un elemento naturale: è una superficie di proiezione. Gli sciatori diventano icone, i giornalisti di Life e Time immortalano un Paese che si scopre elegante e industriale allo stesso tempo. È l’Italia del boom economico, che impara a guardarsi allo specchio e, per la prima volta, si piace. Da allora Cortina non è più solo una meta: è un concetto, una promessa di altezza.

Il cinema l’ha capito subito. Blake Edwards sceglie Cortina per La Pantera Rosa (1963), e la commedia sofisticata trova nella rarefazione dell’aria la sua cornice naturale. Due decenni dopo, Roger Moore sfreccia tra le Tofane in Solo per i tuoi occhi: James Bond fa da testimonial alla montagna-spettacolo. Poi arriva il colpo di scena — Vacanze di Natale (1983) — e la neve diventa scena-madre della commedia capitalistica italiana. Jerry Calà, Christian De Sica e la febbre del paninismo ribaltano il mito in parodia, e Cortina da salotto diventa ring: il primo reality nazionale, dove l’ostentazione sostituisce il desiderio e la discesa libera è quella sociale.

Il cinema non ha mai smesso di tornarci. Dalle linee geometriche di Cliffhanger (1993) alla cornice aliena di Solo: A Star Wars Story (2018), le Dolomiti sono state tutto: l’America, Marte, l’inconscio. Cortina, più di ogni altro luogo italiano, è un fondale che cambia pelle a seconda del regista. È aristocratica, quando serve; distopica, se conviene. Ed è proprio in questa continua finzione che trova la sua verità: quella di essere, da settant’anni, il teatro dove l’Italia sperimenta il proprio ego collettivo.

La letteratura, da parte sua, ha costruito intorno a Cortina una mitologia di eleganza e distanza. Carducci la cantava come “bellissima”, Buzzati ne percepiva la crepa sotto la perfezione. Hemingway ci ambientava la malinconia del fronte, Montale ci proiettava la memoria di Drusilla. Nabokov, tra un lepidottero e una pagina, ne ammirava la precisione geometrica. Tutti, in fondo, intuivano la stessa cosa: che la bellezza di Cortina è un esercizio morale, una disciplina visiva che obbliga a guardare da lontano.

Poi ci sono i libri, i cataloghi, le fotografie. Cortina è stata immortalata da Fulvio Roiter, da Mario De Biasi, da Slim Aarons che ne ha fatto il suo tableau perfetto: nobiltà, cocktail, tute da sci e sorrisi di celluloide. Ma dietro la patina rimane sempre un mistero, quella sensazione di realtà sospesa, di luogo che appartiene più alla memoria collettiva che alla geografia.

Oggi la città si prepara a un nuovo “ciak”. I cantieri delle Olimpiadi 2026 sono la prova generale di un’altra rinascita: infrastrutture sostenibili, architetture di vetro e legno, un ritorno alla luce naturale dopo decenni di riflessi artificiali. Ma la vera metamorfosi è invisibile. Cortina ha smesso di voler essere contemporanea: è diventata consapevole di esserlo da sempre. Accadde a Cortina, il progetto editoriale di Elleboro Editore, prova a restituirle profondità, disseminando totem letterari e installazioni d’autore tra piste e sentieri, come a ricordare che prima dei social c’erano le parole, e prima del marketing, i racconti.

Eppure il glamour resta il suo carburante primario. Cortina continua a essere il luogo dove l’Italia mette in scena la propria idea di eleganza: più performativa che naturale, più ironica che spontanea. Dall’Hotel Cristallo ai nuovi chalet di design, il rito è sempre lo stesso — un eterno “arrivare” che non ammette mai di essere già arrivati. Qui lo Champagne non accompagna la festa: è la festa.

Le Olimpiadi, in questo senso, sono un colpo di genio narrativo. Un ritorno alle origini travestito da futuro, dove gli atleti sfilano su una scenografia già scritta. E se Cortina è sopravvissuta a mode, crisi e cliché, è proprio grazie alla sua capacità di trasformare tutto — perfino lo sport — in racconto. La Regina delle Dolomiti non invecchia: cambia sceneggiatore.

Quando nel 2026 la neve tornerà a cadere su loghi, droni e hashtag olimpici, capiremo che nulla è davvero cambiato. Cortina resta un’invenzione collettiva, un’idea di Italia che si autorappresenta con la grazia di chi sa che il proprio mito non si aggiorna: si lucida. In fondo, è questo il suo vero sport nazionale.