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Non siamo mai stati così tanto online come nel 2020

Didattica a distanza, Tinder e sexting senza potersi incontrare, live streaming su Instagram e Twitch: il 2020 è stato l'anno in cui il nostro rapporto con internet è cambiato per sempre

Foto IPA

Il 2020 è stato un anno particolarmente complesso, che ricorderemo per le numerose limitazioni imposte alla nostra quotidianità dalla pandemia di Covid-19 e per l’alto costo in termini di vite umane che l’emergenza sanitaria ha portato con sé. È stato un anno doloroso, che ha posto le nostre società di fronte a sfide inedite, la maggior parte delle quali non avremmo mai voluto affrontare. È stato l’anno che più di tutti ci ha dato la sensazione di vivere in un momento storico, di quelli che finiranno nei libri, un evento di portata globale che ha scritto alcune tra le sue pagine più tragiche proprio in Italia.

Ma quello che sta per andare in archivio è stato anche un anno di cambiamenti radicali – solo il tempo ci dirà quanto temporanei – nel nostro modo di intendere la socialità e le interazioni umane: abbiamo sostenuto esami online, partecipato a riunioni in pigiama, dato vita a relazioni a distanza, consumato rotture senza poterci abbracciare. Abbiamo amato e abbiamo odiato, sofferto e gioito. E abbiamo fatto tutto questo, nella maggior parte dei casi, senza neanche uscire di casa. È arrivato dunque il momento di tirare le somme, per cercare di capire come sono cambiate le nostre vite durante questo 2020, l’anno in cui siamo stati più soli, eppure irrimediabilmente connessi.

LA VITA SULLO SCHERMO

Innanzitutto, partiamo dagli aspetti positivi. La necessità di applicare un distanziamento sociale per contenere gli effetti della pandemia ha rimesso l’agenda digitale al centro del dibattito pubblico, una scelta forzata che ha però evidenziato tutti i limiti di un sistema-Paese che aveva ridotto internet a un mero slogan elettorale. Così l’Italia, che a marzo discuteva della possibilità di un voto online, si è riscoperta fragile e afflitta da un divario digitale che, soprattutto durante la pandemia, è diventato vera e propria esclusione sociale.

Nel corso del 2020 abbiamo scoperto di aver bisogno di nuovi diritti, come quello a internet (che una proposta di legge del Partito Democratico vuole inserire nella Costituzione), o quello alla disconnessione, già previsto da una legge vigente applicata poco e male. Già, perché nei mesi più intensi dell’emergenza sanitaria gli uffici e le scuole italiane si sono trasferiti su ZoomGoogle Hangouts, Microsoft Teams, Slack e Asana, modificando i nostri comportamenti sociali e rivoluzionando quella che eravamo abituati a considerare la routine quotidiana.

La didattica a distanza non ha funzionato – falcidiata da vulnerabilità che spaziano dalla scarsa copertura di banda larga all’assenza di strumenti e conoscenze informatiche di base nelle famiglie – mentre lo smart working è diventato ben presto vittima di uno stigma diffuso. Tutto ciò ha contribuito a trasformare il nostro 2020 in una sorta di “realtà sospesa”, una vita a metà regolata da ritmi e modalità lavorative valide solo durante l’emergenza, ma che con ogni probabilità saranno spazzate via dal tanto agognato ritorno alla normalità.

IL NOSTRO TEMPO LIBERO NEL 2020

Nel 2020 è cambiato anche il nostro modo di gestire il tempo libero, che con cinema chiusi e teatri off-limits si è concentrato massicciamente sulle piattaforme di video streaming. Secondo un’analisi del New York Times (relativa ai primi mesi di pandemia negli Stati Uniti) il traffico internet si è spostato su computer fissi e smart tv, in controtendenza rispetto al boom del mobile registrato negli anni precedenti. Anche per questo motivo, a marzo Netflix, Amazon Prime e YouTube avevano deciso di ridurre temporaneamente la qualità dei loro servizi, così da scongiurare eventuali limitazioni alla capacità della banda. In Italia l’aumento del traffico internet registrato durante l’emergenza sanitaria è stato del 40%, un’impennata che secondo i tassi di crescita precedenti sarebbe stata raggiunta in circa due anni.

Sempre secondo il New York Times , la pandemia ha portato a una riscoperta delle passioni videoludiche, con gli esports in grande spolvero sia come strumento di intrattenimento attivo, che negli streaming su Twitch (le ore di contenuti fruiti sulla piattaforma di casa Amazon sono cresciuti del 50% tra aprile e giugno, secondo quanto riporta The Verge). Complice il necessario periodo di pausa degli sport tradizionali tra marzo e maggio, la ricca industria degli sport elettronici è nel frattempo diventata ancora più ricca e nel 2022 potrebbe arrivare a valere 1,8 miliardi di dollari.

Il consumo culturale di una popolazione in lockdown ha dovuto inevitabilmente adattarsi allo spirito del tempo e ciò ha prodotto una quantità mai sperimentata prima di presentazioni online, webinar e occasioni pubbliche fruibili da remoto. Una mole di nuovi contenuti e nuove modalità comunicative che ha finito per plasmare una nuova idea di internet, con la Rete che non è mai cambiata tanto come durante il 2020.

E insieme alla Rete siamo cambiati anche noi, che nell’ultimo anno abbiamo dovuto reimmaginare un modo sicuro per vivere l’affettività e la sessualità. Secondo quanto riferisce Tinder, le conversazioni sulla app di incontri leader nel settore sono aumentate del 39% durante il 2020, mentre la durata delle conversazioni si è protratta in media per il 28% più a lungo. Si tratta del cosiddetto slow dating, un modo per prendersi del tempo e conoscersi meglio prima di incontrarsi, che durante la pandemia ha sostituito l’approccio mordi e fuggi che aveva fatto la fortuna del dating online.

È cambiato, decisamente in meglio, anche il nostro rapporto con la pornografia, che nel giro di pochi mesi ha conosciuto un nuovo modello di business basato su contenuti auto-prodotti e distribuiti a pagamento direttamente dagli attori e dalle attrici, attraverso piattaforme come OnlyFans. Ciò rappresenta una rivoluzione copernicana per l’industria del porno, sempre più spesso accusata di tenere in scarsa considerazione lo stato fisico e psicologico di chi lavora nell’ambiente.

L’ALTRA FACCIA DI INTERNET

Le nostre vite, nel 2020, si sono insomma per buona parte trasferite online, in luoghi virtuali che abbiamo col tempo trasformato nella protesi della quotidianità che siamo stati costretti a mettere in pausa. Su internet abbiamo lavorato più del solito – secondo uno studio congiunto di Harvard Business School e New York University – e abbiamo perso un po’ la cognizione del tempo, finendo per trasformare le nostre giornate in infinite sessioni lavorative full time.

Gli effetti psicologici di questo nuovo approccio alla vita non hanno tardato a farsi sentire e, anche se probabilmente è ancora troppo presto per tirare le somme sulle conseguenze profonde della pandemia, sappiamo con certezza che non sempre è andato tutto bene. Il lockdown si è ad esempio trasformato in una vera e propria prigione per le vittime di violenza, che secondo il Viminale hanno denunciato molto meno i loro aguzzini, vista l’impossibilità fisica di allontanarsi da loro. Di pari passo, è cresciuta anche la violenza di genere online, con l’utenza dei gruppi Telegram dedicati al revenge porn che secondo un recente report di PermessoNegato sarebbe addirittura triplicata da maggio a oggi.L’obbligo di restare a casa ha colpito la fascia più debole della popolazione anche attraverso la disinformazione online e le truffe via internet, con siti creati ad hoc per effettuare i raggiri.

La pandemia ha così finito per evidenziare gli squilibri tra ricchi e poveri, vittime e carnefici. E il tutto in una dimensione parallela delle nostre vite completamente appaltata agli spazi virtuali, che rende particolarmente difficile l’organizzazione di proteste e la strutturazione di alternative politiche. Il vero banco di prova, sotto questo punto di vista, arriverà dopo il 31 marzo, quando il blocco dei licenziamenti cesserà e la generazione che ha affrontato la peggiore pandemia degli ultimi 100 anni si troverà faccia a faccia con le conseguenze economiche delle crisi sanitaria. Ma di questo ci occuperemo nel 2021, sperando che non sia un altro anno vissuto pericolosamente online.

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