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Non possiamo essere pronti a perdere l’ennesimo luogo storico di Milano

In pericolo questa volta è il Casottel di Porto di Mare, sotto sfratto, e lo stesso succede al mercato coperto di viale Monza. Ma il Comune non sembra, per ora, interessato a una reale mediazione
Casottel Milano

Foto: Instagram

Il rischio è che in via Fabio Massimo, di fianco all’uscita Porto di Mare della metropolitana gialla a Milano, finiremo a ricordarci dell’ennesima traccia di un passato che cerchiamo di riprodurre, vanamente. “Nuova apertura dove un tempo c’era il Casottel”. “Ah, ma qui ci venivo una volta quando era…”. “Nuova gestione per il Casottel di Porto di Mare, storica osteria della città”.

Sarebbe purtroppo una narrazione già sentita. La Latteria San Marco ora passata in proprietà a Loro Piana. La Vecchia Latteria, locale vegetariano da 70 anni nel centro di Milano, ora chiuso. Il mercato coperto comunale di viale Monza, i cui commercianti saranno sotto sfratto a partire dal 31 dicembre 2025 per permettere a Sogemi di realizzare i lavori di ristrutturazione dello stabile (ma nessuna alternativa è stata fornita dal Comune, né agevolazioni di sorta). Il leggendario club Plastic, chiuso, sembra, per sempre.

Il Casottel esiste da quasi 40 anni: fu fondato nel 1989 alle porte di Milano, in uno stabile che, già dagli anni Sessanta, ospitava osterie popolari che contribuivano ad arricchire il tessuto sociale della futura metropoli (il “casottello” era di proprietà di un ente statale che si chiamava Canale Navigabile Cremona Po). Il Casottel è un ristorante, e uno vecchia Milano, risotto, ossobuco, cotoletta. Sorge in una storica cascina con cortile, di proprietà di Palazzo Marino. Tra quattro anni, il locale diventerà attività storica, ma il rischio concreto è quello di non arrivarci. E di non far arrivare alla storia quello che invece, a tutti gli effetti, è radicato nel terreno e nelle persone.

Fu Lina, nonna dell’attuale proprietaria del Casottel (che significa letteralmente piccola cascina) ad aprire l’attività. Continuata poi dalla figlia, Isa Rebecchi, e ora dalla nipote di Lina, Martina Conte. Imprenditoria famigliare e guidata da donne non sono più elementi di valore, nel definire la “salvabilità” di un’attività di ristorazione?

Facciamo un passo indietro. Insieme a Martina, provo a capirci qualcosa di più, di questa sara di Damocle. «La sintesi purtroppo è semplice: per come stanno ora le cose, potremmo essere sfrattati da un giorno all’altro. Quindi la situazione, in ogni modo, non può rimanere così». Martina fa riferimento al lento ma inesorabile processo che si è messo in moto da quando, circa una decina di anni fa, la cascina del Casottel con le sue aree circostanti sono passate in mano al Comune di Milano. «Due anni dopo questo passaggio, abbiamo concordato un contratto di affitto transitorio di quattro anni e mezzo, dal 2017 alle fine del 2022. Non avremmo pagato l’affitto dello spazio e saremmo rimasti lì come da vent’anni, ma avremmo svolto a nostre spese importanti lavori di ristrutturazione. Impegno che abbiamo onorato a regola d’arte». La cifra, specifica Martina, sarebbe attorno ai 100000 euro. E al Comune avrebbero pagato un contributo simbolico di 100 euro all’anno.

«Alla fine di questo contatto, saremmo stati pronti a regolarizzare il pagamento dell’affitto. Ma ci hanno detto che non erano interessati a far rimanere lì il Casottel». Solo che, il Casottel, lì c’era da molto più tempo di questi cambiamenti istituzionali. La motivazione per il mancato rinnovo della concessione riguarderebbe la destinazione dell’area decisa dall’Amministrazione locale: progetti sociali.

Qui la faccenda comincia a farsi più difficile. «Il Comune ci disse che avrebbe pubblicato un bando per assegnare gli spazi del Casottel, e che avremmo potuto partecipare. Solo che per noi, che siamo una piccola impresa, i numeri erano proibitivi. Si trattava di dare in cambio interventi per due milioni almeno, da realizzare in cinque anni, per rendere più adeguata la struttura. E non potevamo come non potremmo permettercelo».

Il Casottel è uno di quei posti da cercare ossessivi su internet per il pranzo della domenica. Specie in primavera, quando lo spazio del cortile esterno dà il meglio di sé. Anche l’inverno non scherza: il locale è assolutamente d’antan, boiserie, décor di campagna, e un grande camino correntemente in uso nella sala principale. In tutti i momenti dell’anno, si potrà incappare negli esemplari di una colonia felina comunale accudita e controllata – leggasi: non pensate ai gatti selvatici di un centro storico con mercato del pesce.

Il Casottel va forte nei weekend, ma la vera hit è durante la settimana, a pranzo. Quando il “menu operaio” a 16 euro propone primo, secondo e acqua (il secondo può essere anche una porzione intera di cotoletta). Prezzi assolutamente umani per le proposte alla carta, che arrivano in porzione abbondante: parmigiana, ravioli, agnolotti al ragù, arrosto di vitello con patate, vitello tonnato, verdure fresche cotte, cassoela bella sgrassata, specifica Martina (tutto secondo stagionalità).

«Da fine 2022 siamo nella situazione paradossale di non avere un affitto da pagare e di non poterlo nemmeno pagare, dato che non abbiamo un referente su questo punto. Il bando, uscito a settembre 2024, è andato a vuoto, nel senso che si è presentato un solo partecipante che non ha ricevuto il punteggio minimo. Per tanto tempo abbiamo provato ad associarci a realtà che operassero appunto nel sociale per rimanere aperti, anche perché nel bando è specificato che nella cascina può essere presente una realtà di ristorazione, purché i suoi proventi vengano usati per finanziare gli altri progetti. Ma non c’è stato verso, il fattore economico era troppo sfavorevole».

Viene in mente un altro caso similmente triste: quello dell’Associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo, sgomberate con la scusa che un altro spazio, sempre nella Milano di Sud-Est, via San Dionigi, sarebbe stato pronto per loro. Ma come si trovano i fondi per bonificare un’area con presenza di amianto? Com’è possibile, per tornare al caso-Casottel (ma anche a quello del mercato comunale di viale Monza), che non ci sia la volontà di aprire un dialogo con imprenditori la cui tenacia e dedizione sono elogiate quando fa comodo, e di cui invece, apparentemente, ci si approfitta data l’assenza di più convincenti interessi economici alle loro spalle?

«Abbiamo fatto ricorso al TAR contro il bando. Anche perché il ristorante occupa una porzione di minoranza degli spazi della cascina, che comprendono anche tutti quelli esterni, più estesi del singolo patio, e poi un secondo piano sopra il locale. Speravamo di riuscire almeno a scorporare il bando, così da slegare gli spazi del ristorante da quelli del resto dell’edificio, dove ci sarebbe tutto lo spazio per attività a impronta sociale. Ma non è stato così».

Nel momento in cui il bando è andato deserto, però, Martina ha ritirato l’azione legale. «Ora ci aspettiamo un secondo bando da parte del Comune. Non siamo l’unica cascina della zona, e temo che anche altri siano nella nostra situazione».

C’è anche un altro tema: Martina ha sei dipendenti, tutti tra i 40 e i 65 anni. Che impiegabilità avrebbero oggi sul mercato del lavoro, specie i più vicini alla pensione? «Credo ci siano tanti diritti da tenere in considerazione nel nostro caso. Viene da pensare che forse il Comune non abbia nemmeno contezza di che cosa sia davvero la nostra impresa».

Nemmeno io lo so, in fondo, e posso solo speculare. Ma se la matematica ancora attecchisce, come si può celebrare con una mano i luoghi-fulcro dell’identità meneghina, dove passavano gli artisti (il cantautore Nino Rossi) e che pure le cariche istituzionali della città hanno elogiato nel corso del tempo (vedasi l’ex sindaco Giuliano Pisapia); e con l’altra farsi il segno della croce e fare in modo che scompaiano nel nulla?

«Il Casottel può vivere solo qui. Non abbiamo le forze per aprire in un’altra sistemazione». Non è facile immaginare che Martina e i suoi potrebbero sostenere il canone proposto da un privato che prendesse in concessione lo spazio. Come non è facile immaginare che potrebbero riuscirci gli affittuari degli spazi del mercato che raccontavamo prima (e anche con Sogemi, per ora non ci sono garanzie). Sia questi ultimi che il Casottel hanno lanciato una raccolta firme per sensibilizzare la cittadinanza e cercare di aprire un nuovo dialogo con il Comune.

C’è un bel post su un profilo Instagram aperto proprio per il mercato coperto: dice che il luogo ha anche un valore poetico, e che bisogna preservarlo.

Mi sembra un riassunto calzante. W la poesia, e w i minuscoli baluardi.

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