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Arriva il velo ‘pro’ per le atlete musulmane (con tanto di swoosh)

Nel giorno della festa della donna, un colosso dello sportswear ha svelato una collezione di ḥijāb tecnici, nati dalla necessità delle atlete islamiche di un capo che permettesse loro di lavorare in condizioni migliori

Zahra Lari, 2017

Il termine arabo ḥijāb indica una barriera di separazione posta davanti a un individuo – ma anche a un oggetto – per sottrarlo alla vista dell’osservatore. Più comunemente, però, questo vocabolo viene utilizzato in riferimento al velo islamico che copre il capo delle donne musulmane. L’obbligo di velarsi, al giorno d’oggi, è piuttosto controverso, anche nel mondo arabo. Nei paesi a maggioranza musulmana, l’utilizzo del velo è ancora vissuto da molti come un’imposizione dettata da un insieme di versetti contenuti nel Corano, ma sono in tanti a pensare che il suo utilizzo possa essere una scelta e non un obbligo.

Il ḥijāb, nel mondo arabo, è tornato con prepotenza negli ultimi anni, sempre più spesso a sottolineare il rifiuto della globalizzazione dettata dall’Occidente, mirata ad eliminare le peculiarità culturali in favore di un mondo senza barriere, ma anche senza differenze identitarie e soprattutto culturali. Da questo punto di vista, l’uso contemporaneo del ḥijāb non è limitato solo alle donne musulmane considerate “sottomesse” dalla cultura occidentale – a coloro che lo indossano come un’imposizione religiosa – ma, negli ultimi anni, sempre più spesso tende a marcare anche una differenza estetica con le donne occidentali.

Cosa c’entra Nike in tutto ciò? Il giorno della festa della donna, il colosso dell’abbigliamento sportivo ha lanciato la prima linea di ḥijāb pensata appositamente per le atlete musulmane, con tanto di swoosh. Dopo più di dodici mesi di ricerche – portate avanti con la collaborazione della pesista Amna Al Haddad e della pattinatrice Zahra Lari, entrambe atlete degli Emirati Arabi Uniti – la collezione è arrivata, come annunciato dalla stessa Lari con questo post su Instagram:

ḥijāb di Nike ovviamente non sono esattamente come quelli che trovereste in un suq qualsiasi, ma sono confezionati in una fibra tecnica leggera con appositi fori per la traspirazione e hanno il retro più lungo, così da impedire ai capelli di fuoriuscire durante eventuali acrobazie tecniche. Il prodotto sarà effettivamente disponibile nei negozi solo nel 2018 in nero, grigio e color “ossidania”.

«Il Pro-Hijab è nato da una richiesta delle atlete di ideare un capo che permettesse loro di lavorare in condizioni migliori», ha spiegato alla stampa Al Arabiya Megan Saalfeld, portavoce di Nike. Mentre Lari ed altre atlete hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa, dicendosi orgogliosa di aver collaborato al progetto, altri utenti dei social hanno ricordano che, prima di Nike, già altre case di abbigliamento avevano offerto una versione sportiva del ḥijāb.

Ovviamente, come sempre quando si tratta di grandi multinazionali, spesso gli interessi in ballo sono più vicini a scelte di tipo economico che culturale. Il mondo musulmano, da oltre un decennio, detta legge nella moda considerata “alta” e sicuramente non per questioni legate alla cultura o alla religione. In questo caso però, più che di un prodotto, si tratta di uno statement, proprio perché l’usanza di coprirsi il capo ultimamente è spesso criticata e contrastata in Occidente mentre, come tutti i retaggi culturali – giusti o sbagliati che siano, secondo chi poi? – dovrebbe semplicemente essere accettata e rispettata. Quindi, per oggi, viva Nike.

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