Michiko Kakutani: «Trump ha dichiarato guerra al concetto di verità» | Rolling Stone Italia
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Michiko Kakutani: «Trump ha dichiarato guerra al concetto di verità»

Dopo una lunga serie di saggi geniali, la critica letteraria più temuta d'america ha scritto il primo grande volume dedicato al tycoon, intitolato 'La morte della verità'

Michiko Kakutani: «Trump ha dichiarato guerra al concetto di verità»

Dimenticate Michael Wolff e Fire and Fury, dimenticate Hillary Clinton e James Comey con le loro ridicole biografie. Michiko Kakutani, leggendaria critica letteraria del New York Times, ha scritto il primo grande volume dedicato all’amministrazione Trump. The Death of Truth: Notes on Falsehood in the Age of Trump è un capolavoro polemico sul nuovo presidente, e dovrebbe essere una lettura obbligata per tutti.

In nove saggi squisitamente confezionati, la 63enne vincitrice del Pulitzer attinge a tutta la sua enorme cultura letteraria, filosofica e politica per tracciare un impietoso stato della nostra società. Cita tutti gli autori del canone autoritario – George Orwell, Aldous Huxley, Hannah Arendt – ma dopo poche righe vira verso David Foster Wallace, Spike Jonze e Tom Wolfe. Prima traccia la storia del relativismo postmoderno di sinistra, e di come ci ha allontanato da ogni verità oggettiva, poi si scaglia contro i media conservatori (FOX News, Brietbart e gli altri), colpevoli di aver preparato il terreno per l’arrivo di un pericoloso demagogo come Trump.

È la fluidità e la grazia della sua prosa, comunque, che lascia il lettore stupefatto. The Death of Truth è un ritratto lucido di come siamo arrivati a questo punto, e di come la società sia arrivata al limite. Rolling Stone ha contattato l’autrice via mail per farle alcune domande.

Qual è stata la genesi del libro?
Come è successo a molti altri, la campagna elettorale del 2016 mi ha allarmato sempre di più. Poi, nel primo anno di presidenza, Trump ha dichiarato guerra al puro concetto di verità. Il Washington Post stima che il presidente dica almeno sei bugie al giorno. E non è solo lui, il bugiardo-in-capo; ci sono i suoi alleati politici, i media consenzienti, aiutati e supportati dai troll russi. Le conseguenze per la nostra democrazia sono gravi: le menzogne diffuse da Trump e compagnia alimentano le divisioni e la discordia, infiammano odio e bigottismo ed elevano la politica tribale a discapito dei valori democratici della nostra Costituzione. Con l’erosione della verità, siamo suscettibili alla propaganda: dei russi, della Casa Bianca e di gente come l’NRA. Le nostre istituzioni sono in pericolo, e un discorso pubblico razionale è impossibile.

Uno degli obiettivi che mi sono posta con The Death of Truth era esplorare alcune delle dinamiche sociopolitiche che hanno alimentato l’ascesa di Trump e portato l’America al punto in cui un terzo del paese ignora fatti fondamentali, dal numero di partecipanti a una manifestazione fino al tasso criminale dei migranti. Tra queste dinamiche è necessario includere la partigianeria tossica che affligge la nostra politica; l’ibridazione delle notizie con politica e intrattenimento; lo sdegno populista per gli esperti; l’esaltazione della soggettività e del relativismo, sia di destra che di sinistra; la crescita di bolle online che ci segregano in silos di gente tutta uguale; e la diffusione virale sul web di disinformazione e teorie cospiratorie. Trump è sia l’apoteosi bizzarra di questi processi che stanno distruggendo la verità, che un lanciafiamme che accelera queste attitudini allarmanti.

In uno dei suoi ultimi pezzi per il Times ha paragonato Trump a Hitler. Il libro va ancora oltre: ha esitato prima di scrivere quella parte?
I due hanno molti tratti della personalità in comune – narcisismo tossico, eccesso nell’uso dei superlativi, tendenza alle menzogne, al bullismo e alla manipolazione. E si può tracciare un parallelo anche tra le due carriere politiche, considerando la trasformazione del successo personale di Trump in una macchina da propaganda fino allo sfruttamento machiavellico delle debolezze dell’opinione pubblica e dei fallimenti degli altri politici. L’intenzione non è mai stata proporre un’analogia diretta tra il mondo di oggi e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, ma piuttosto guardare alle condizioni – quelle che Margaret Atwood chiamava “danger flags” – che rendono il pubblico suscettibile alla demagogia, e le nazioni prede delle autocrazie. E per ricordare ai lettori la fragilità della democrazia – per ricordargli quanto velocemente la legge e le libertà civili possano sparire.

L’America è bombardata dalla disinformazione, sia dalla Casa Bianca che dai suoi alleati. L’idea, ha scritto nel suo libro, è di far sentire la popolazione costantemente in bilico, in ansia. Quali sono le possibili soluzioni a questa crisi?
Una stampa libera e indipendente non è mai stata così importante come ora, e i giornalisti d’inchiesta – che lavorano per quotidiani, magazine, testate online, radio e televisione – stanno svolgendo un lavoro vitale, necessario. Cercano di svelare i segreti di Trump e della sua relazione con la Russia, smascherare questa cultura della menzogna e la corruzione che fiorisce sotto la sua amministrazione. Il problema è che i loro articoli non raggiungono i supporter del presidente: i suoi elettori vivono nella bolla di Fox News e se ne fregano di tutte le notizie contrarie a quello che pensano sia vero. Allo stesso tempo, il volume e la rapidità di diffusione delle menzogne di Trump, i suoi continui scandali e violazione di norme di legge rischiano di sopraffare il pubblico, così da renderlo offuscato e cinico – cioè quelle cose su cui contano le autocrazie per sabotare il dissenso e rafforzare la propria morsa sul potere. Poi, considerando il ruolo di Facebook e Cambridge Analytica nelle elezioni presidenziali del 2016, è imperativo che i leader della Silicon Valley si occupino di come i social media stiano diffondendo la disinformazione, le teorie cospiratorie e la propaganda bella e buona, distruggendo contemporaneamente la trasparenza e l’affidabilità dei media. È importante che le comunità supportino il giornalismo indipendente e, allo stesso tempo, che le scuole implementino corsi di “letteratura dei media” (cioè insegnare ai bambini la differenza tra fatti e opinioni) ed educazione civica, enfatizzando il ruolo della Costituzione e gli sforzi dei padri fondatori per proteggere il paese.

Pensa che i media abbiano fallito durante la campagna elettorale del 2016?
L’inseguimento dei click generati da Trump ha generato una campagna elettorale gratuita dal valore stimato attorno ai 5 miliardi di dollari. Molte testate hanno preferito dedicarsi agli scandali e alla sua personalità piuttosto che alle riforme del suo programma (per fare un esempio, le possibili conseguenze sulla sicurezza nazionale e sulla sanità pubblica, o sull’immigrazione). La maggior parte della stampa era convinta che Hillary Clinton avrebbe vinto, e questa convinzione ha minato la qualità del coverage.

Mencken ha scritto: “La democrazia è il principio per cui il popolo sa cosa vuole e merita di ottenerlo a pieno”. Non è esattamente quello che sta succedendo con Trump? Non è forse il prezzo da pagare dopo 50 anni di politica partigiana fatta da una classe dirigente partigiana?
Trump ha approfittato della disillusione verso l’establishment dei lavoratori e della classe media, delle preoccupazioni economiche e del risentimento che è cresciuto dopo il crack finanziario del 2008. La sua promessa di “prosciugare la palude”, però, si è rivelata una menzogna: da quando si è insediato l’ha resa più profonda che mai, guidando un’amministrazione che ha tagliato le tasse alle corporation e ai miliardari. La sua elezione a sorpresa ha messo da parte l’establishment politico e dei media. Tutti avevano sottovalutato il sentimento antipolitico che si diffondeva nel paese, e l’efficacia tossica dei suoi discorsi. E, infine, sono stati lenti a rendersi conto del pericolo disinformazione rappresentato su internet dall’alt-right e dai russi.

Nel libro paragona questo momento storico a 1984 di Orwell e al Mondo Nuovo di Huxley – ci sono altre opere che hanno influenzato il suo lavoro?
Hannah Arendt è stata fondamentale. Le origini del totalitarismo è più di uno studio sul nazismo e sullo stalinismo, è un avvertimento su quello che può contribuire all’ascesa del totalitarismo. Per esempio, l’alienazione sociale e l’esplosione della politica tribale; l’uso della propaganda per sfruttare i pregiudizi della popolazione; un diffuso disprezzo per la verità che rende gli individui suscettibili agli sforzi dei leader di controlla la realtà. The Image, scritto da Boorstin nel 1962, racconta di un’America in cui “pseudo-eventi” sostituiscono la realtà, le celebrità gli eroi e la verosimiglianza la verità. The Paranoid Style in American Politics, un saggio di Hofstadter, prevedeva già nel 1964 l’ascesa dell’irrazionalismo, che Trump incarna e fomenta, un’attitudine tipica della storia americana e caratterizzata da “esagerazioni, sospetti e fantasie cospiratorie”.

Ha accusato decostruzionisti come Jacques Derrida di aver contribuito alla fine della verità oggettiva, soprattutto a sinistra. Trump non è un lettore, come mai questi pensatori hanno raggiunto la destra, e come mai la destra è riuscito a sfruttare le loro parole?
Il decostruzionismo e il postmodernismo erano parte di un relativismo più ampio che ha attraversato la cultura occidentale all’inizio degli anni ’60, mentre la società si frammentava e il soggettivismo cresceva a vista d’occhio. Le grandi narrazioni sono sparite in favore di verità piccole, personali, una visione del mondo in stile Rashomon che ha trainato tutta la cultura. Fox News e i siti di estrema destra come Breitbart sono stati particolarmente bravi a trasformare in armi politiche queste teorie, sfruttando il fervore partigiano che animava la base repubblicana. Hanno accusato i media di essere parziali e liberali, mentre la loro visione destrorsa diventava la verità giusta e bilanciata. Un’inversione di significato che ha permesso a Trump di dirottare il concetto di “fake news”, utilizzato non per le cospirazioni e i troll russi, ma per vere notizie che gli sembravano sconvenienti o una minaccia al suo potere.

Orwell, 75 anni fa, diceva che la lingua inglese era in pessima forma. Cosa direbbe oggi?
George Orwell è stato un visionario in molti modi diversi. Credo che sarebbe colpito, ma non sorpreso, dalle condizioni in cui versa oggi la lingua inglese. 1984 e la Fattoria degli animali anticipano molti dei peccati politici e linguistici commessi da Trump: le sue menzogne, il modo in cui cambia significato alle parole, come dice una cosa mentre intende il suo contrario (“Fake news”, “witch hunt”, per esempio), i suoi sforzi per negare realtà oggettive. I suoi insulti esagerati e infantili diminuiscono il valore della presidenza, per non parlare del buonsenso. E le sue invettive razziste hanno reso mainstream un linguaggio scurrile e bigotto, fino a pochi anni fa confinato ai bordi del dibattito pubblico.

Leggendo il suo libro ho pensato che il nostro paese fosse irrimediabilmente rovinato. Lei ha ancora speranza, è ancora ottimista?
I ragazzi di Parkland e il movimento contro le armi che stanno guidando sono di grande ispirazione – e un testamento sull’impatto che i giovani stanno avendo sulla discussione nazionale, e sul potere che una manciata di individui determinati possono conquistare solo organizzandosi e agendo nello spazio pubblico. La marcia delle donne, il record di donne candidate a cariche pubbliche, sono tutti segni di una Resistenza viva e in salute. E alcuni insider della Silicon Valley come Jaron Lanier, Pierre Omidyar e Roger McNamee si stanno muovendo per rimediare ai pericoli dei social media e degli algoritmi pensati per massimizzare click e introiti pubblicitari.

Membri importanti del potere giudiziario e delle forze dell’ordine si sono rifiutati di cedere, e stanno combattendo contro Trump e i suoi tentativi di piegare la legge al suo volere. Privati cittadini stanno alzando la voce contro quest’assalto alle istituzioni che proteggono la nostra democrazia. E mentre Robert Mueller e il suo team continuano in silenzio a lavorare, alcuni giornalisti dedicano ogni ora del loro tempo per mettere Trump di fronte alle conseguenze delle sue azioni. Il giornalismo non è mai stato così essenziale.

Pensa che la verità possa resuscitare?
Poco sopra ho elencato alcuni segnali di speranza. Gli ultimi due anni ci hanno fatto capire che le libertà della democrazia non sono affatto scontate. In quanto cittadini dobbiamo insistere sui fatti, sulla necessità di una politica razionale e su un discorso pubblico informato. Dobbiamo rigettare il cinismo che l’amministrazione Trump promuove ogni giorno, e rifiutarci di normalizzare le falsità che il presidente ci propina ogni giorno. Sta a noi far sì che la verità prevalga ancora.

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