Leopolda 9: Renzi molto onstage ma poco tra i suoi | Rolling Stone Italia
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Leopolda 9: Renzi molto onstage ma poco tra i suoi

Renzi e i renziani sono tornati vivi e agguerriti. Lui onnipresente, ma sempre a dovuta distanza, loro fedelissimi e contenti di esserci, in una tre giorni che sa tanto di "Ritorno al futuro" ma poco dei gloriosi anni passati

Leopolda 9: Renzi molto onstage ma poco tra i suoi

Ho condiviso un momento importante con Matteo Renzi: il weekend in cui ha iniziato a fare il conduttore televisivo, mi sono cimentato nel provare a scrivere qualcosa di (poco) politico su un evento volutamente (poco) politico, nel senso stretto del termine.

È in questa nuova veste, infatti, che l’ex leader del Partito Democratico si è presentato alla Leopolda numero nove. L’evento fiorentino è stato costruito interamente sulla figura di un nuovo Renzi, che dopo il documentario su Firenze in onda su Rete 4, tenta di sfatare il mito di uomo solo al comando. Ora la narrativa è diversa, quella di leader votato all’ascolto.

Si parte il venerdì sera con una conferenza stampa chiusa al pubblico: sul palco Pier Carlo Padoan, il predecessore del malcapitato Giovanni Tria, e Matteo Renzi. Viene presentata una “contromanovra” che si propone prima di tutto di abbassare la percentuale del deficit per “rassicurare l’Europa e i mercati”. Al centro cancellazione dell’Irap, rilancio del progetto Casa Italia, bonus e piccoli tagli alle imposte.

Un giornalista si alza e chiede se non ci fosse già la contromanovra del PD, lui risponde stizzito che la Leopolda non è la sede di un partito. Fatto sta che siamo in un momento in cui ci sono una manovra, due contromanovre e zero decreti firmati dal Consiglio dei Ministri.
Intanto a furia di contromanovre qualcuno ha parcheggiato una DeLorean sul palco, a ricordare il tema centrale dell’edizione: “Ritorno al futuro”, che sembra un po’ quei claim che si usano quando hai un buco importante di fantasia. Gli farebbe comunque comodo una macchina del tempo per tornare al glorioso 2016.

Al termine della conferenza stampa si aprono le porte per la serata dedicata agli under 30, entra un fiume di gente che lavora ai tavoli fino a tarda notte. Di under 30, a dire la verità, se ne vedono pochi. Ma è comunque venerdì sera, c’è da capirlo.

La mattina seguente è il momento degli interventi degli esponenti degli enti locali. Passano a rassegna Dario Nardella – il sindaco di Firenze col difficile compito di difendere la città alle Amministrative del 2019 – Giorgio Gori e altri amministratori locali. I sindaci, tutti, sono il cavallo di battaglia della strategia renziana, e infatti l’ex premier sale nuovamente sul palco per tesserne gli elogi.

Cominciano i tavoli di lavoro. Escono tutti i big, alcuni per svolgere il compito di coordinamento di uno dei 50 tavoli e tornare velocemente nelle zone protette. Tutti tranne uno: Matteo Renzi. L’assenza del leader tra il popolo della Leopolda è uno dei dati più salienti della manifestazione. Perennemente transennato nel backstage, Renzi è sembrato davvero più un padre-moderatore che un politico del popolo. Tuttora non si spiega questa reticenza a stare tra i suoi. Qualcuno si lamenta, tanti altri scelgono di farsi qualche selfie con chi invece ha passato il suo tempo tra i comuni mortali: su tutti Roberto Giachetti, Ettore Rosato e Gennaro Migliore. Sulla voglia degli elettori di farsi selfie coi politici bisognerebbe aprire poi un grande capitolo. Non si capisce perché quando hai davanti un tuo rappresentante invece di chiedergli conto di ciò che fa, gli chiedi una foto.

Ma è al pomeriggio che si compie definitivamente la metamorfosi in salsa renziana, mentre le folle giunte alla Leopolda si moltiplicano e tanti rimangono fuori per motivi di esaurimento capienze. Vige il detto “piazze piene, urne vuote”, è vero, ma il segnale è comunque potentissimo. È qui che Renzi dà sfogo a tutta la sua voglia di televisione, di stand up politician. Lo dirà lui stesso il giorno seguente con un “noi vogliamo cambiare il modo di fare politica”. Sul palco c’è Roberto Burioni, il medico che porta avanti la sacrosanta battaglia a favore dei vaccini, diventato famoso per spiegare la scienza sui social con chiose come “io ho studiato e parlo, tu non hai studiato e taci”. Intervistatore: Matteo Renzi. Arriva il momento dell’annunciatissimo “secret guest”: è Paolo Bonolis. Si, è Paolo Bonolis. Intervistatore: Matteo Renzi. L’intervento più interessante è quello di Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Cingolani è intellettualmente una spanna sopra ai presenti, compreso il suo intervistatore che, indovina chi, è Matteo Renzi. Parla in modo semplice e lascia da parte la politica: è l’unico momento in cui mi sento in un posto che produce cultura e non all’interno di una grande operazione di marketing politico, per quanto riuscita. Sale sul palco Federica Angeli, coraggiosa giornalista minacciata dai clan di Ostia, accompagnata da un lungo applauso. La intervista Matteo Renzi. Chiude il talk-show Rula Jebreal, giornalista palestinese, che apre a una possibile candidatura nel Partito di Renzi.

A proposito del Partito di Renzi, per tre giorni ha aleggiato tra gli spessi muri della Leopolda e in sala stampa la possibilità dell’annuncio di una nuova componente politica. Cosa che non avverrà.

Vengono però lanciati e presentati i Comitati Civici da Ivan Scalfarotto. Lo definirei senza remore un cambiamento dal basso voluto dall’alto. Ufficialmente non serviranno a nient’altro che a radunare alcuni elettori sotto una bandiera civica di lotta alla deriva populista. Il nome è interessante ed evocativo: nel 1948 furono fondati i Comitati Civici da Luigi Gedda, su mandato di Papa Pio XII, per evitare la deriva anti-comunista in vista delle elezioni dello stesso anno. Il sostegno alla Dc dei comitati fu decisiva poiché raggiunse quasi il 50% dei voti.

La giornata di sabato si chiude con altri interventi, tanti dei quali di giovani sostenitori, e l’apatia dentro di me prende il sopravvento. Pensavo di trovarmi in un posto in cui crescesse un grande fermento culturale e politico, ma mi sono trovato davanti a una manifestazione più simile a una convention elettorale che a un’effettiva condivisione di proposte.

L’ultimo atto della Leopolda 9 prende forma in attesa dell’intervento di chiusura del Lider Maximo e alle 9 i posti sono già tutti occupati, a dimostrazione che le affluenze sono state altissime e, a mio parere, anche un po’ inaspettate. A dimostrazione anche del fatto che Renzi è un leader in difficoltà, ma l’unico presente nel panorama del centro(sinistra) italiano, l’unico con la forza di attirare a sé migliaia di persona da tutta Italia per tre giorni di fila.

Dopo una lunga sfilza di interventi, sale sul palco lui. Per l’ennesima volta. Da solo. I suoi ci sono ma stanno a guardare dal pubblico, è da solo di fronte a migliaia di persone.
Quello che dice è poco interessante, sentito e risentito, ma il modo in cui lo fa è totalmente rivoluzionario per la politica nostrana. Renzi è diventato un politico anglosassone. La fama lo precede, il contenuto di ciò che dice passa in secondo piano, la costruzione del contenitore in cui si esprime è perfetta, maniacale, curata in tutti i dettagli. Solo chi è affetto da un grande livore può non ammettere la capacità del suo team di costruire una macchina così precisa.

Si avverte una potenza comunicativa rara nel panorama contemporaneo, quasi da pelle d’oca. L’organizzazione dell’evento non è per niente politica, ma molto simile a quella di un maestro dell’intrattenimento, tra biliardini, catering e acqua gratis.

Non è più il Renzi stanco e avvilito pre e post 4 marzo, è un Renzi che ribolle di voglia di riscattare prima tutto la sua immagine di chi in pochi anni ha monopolizzato la politica italiana a tutti i livelli e ha perso tutto in una fredda domenica del dicembre di due anni fa. Ed è un Renzi che ha sincera paura di quello che sta accadendo nel Paese, che non si dà pace, che scalpita. Alla fine dell’intervento conclusivo della Leopolda 9 scrosciano gli applausi dei suoi, ringalluzziti da una manifestazione che è stata sicuramente una prova di forza.

Esco da questa tre giorni convinto che il PD, specie in questo momento di spinta comunicativa estenuante di chi governa, ha bisogno di Matteo Renzi e delle persone che si porta a dietro. È ancora lui il Maradona comunicativo del partito. Ma, si sa, le stelle vanno gestite da buoni allenatori. La domanda sorge quindi spontanea: chi vuol fare l’allenatore del PD sarà in grado di gestire i suoi campioni? Senza un buon segretario che sappia dare il giusto valore e adeguati limiti a uno che tuttora è tra i più giovani e conosciuti leader mondiali, anche un predestinato come Renzi può diventare nocivo. Lui si dovrà preoccupare di fermare spiritosaggini e battute e di passare all’azione. Una volta per tutte.

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