In vasca con la Pro Recco, la squadra di pallanuoto più titolata al mondo | Rolling Stone Italia
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In vasca con la Pro Recco, la squadra di pallanuoto più titolata al mondo

La magia dell’acqua e il profumo della focaccia: 6 giocatori ci mostrano i loro armadietti zeppi di ricordi. E i loro corpi pieni di cicatrici.

Le saracinesche dei negozi sono ancora abbassate. Qualcuno, per le vie di Recco, comincia timidamente a far capolino dalla finestra. Allunga il naso, a caccia dell’inconfondibile odore della focaccia, che si mescola a quello del mare: sono come cuciti insieme, annodati. D’altronde, da queste parti i legami hanno un valore particolare, quasi magico: da un lato un paesino di 10mila abitanti, con case aggrovigliate l’una all’altra, dall’altro il mare sconfinato, saldati insieme da una striscia di spiaggia, che vista dall’alto somiglia a una cicatrice. Stretta, irregolare. Ricorda quelle che portano sul corpo i giocatori di pallanuoto, un’altra eccellenza locale: «Le botte in piscina si prendono e si danno», è il mantra che risuona all’interno degli spogliatoi della Pro Recco, la squadra più titolata al mondo in questo sport.

«È una lotta senza esclusione di colpi, pure in allenamento», ci racconta il difensore Niccolò Gitto, in Liguria dal 2010. «Durante la partitella mettiamo in palio l’aperitivo o una cena, e nessuno si risparmia». All’altezza dello zigomo, pochi centimetri sotto l’occhio, porta i segni della battaglia: «Colpa di un ungherese nella semifinale delle Universiadi, 10 anni fa: sembrava avessi fatto a cazzotti in mezzo alla strada. Ma tutto finisce in vasca, sono normali scontri di gioco». Romanista, ma cresciuto nella piscina della Lazio, con una moglie psicologa che gli fa da «mental coach» e un figlio che già vorrebbe «lavorare in piscina come papà». «Quando ho iniziato a giocare, le regole in gruppo erano più rigide, volavano le ciabatte. Ma ho sempre adorato l’atmosfera: quest’anno ho portato un canestro nello spogliatoio, ci sfidiamo anche lì». «E poi facciamo il fantacalcio», rivela il giovane Lorenzo Bruni, uno degli ultimi arrivati in casa biancoceleste.
«Il primo giorno che ho messo piede qui, sono rimasto colpito dalla professionalità. Serietà, ma anche divertimento: Ivovic, per esempio, ha sempre la battuta pronta». Ex ginnasta, costretto alla piscina da alcuni problemi all’inguine, dopo una settimana si stufa di fare avanti e indietro nella sua corsia, e prende in mano la palla: «Fu amore a prima vista. Ma non è stato tutto rose e fiori».

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Video realizzato da Videogang Production, powered by Land Rover. Foto Giampaolo Vimercati, Styling Federica Meacci

Uscito di casa a 14 anni, nel 2015 a Brescia lo mettono alla porta: «Due settimane di sbandamento, è stato il mio momento più basso. Per fortuna è arrivata la Pro Recco». Che lo manda in prestito a Firenze, dove vive l’esperienza più dolorosa: «Lesione alla spalla durante i playout. Ho giocato lo stesso, anche se facevo fatica persino a nuotare». «In questo sport non puoi avere paura», incalza l’estremo difensore Stefano Tempesti, ex colonna del Settebello. «Due anni fa, per colpa di una pallonata nell’occhio, ho subito il distacco parziale della retina. Mi sono spaventato ma, una volta guarito, sono tornato in vasca e ci ho subito rimesso la faccia». In barba a chi pensa che il portiere nella pallanuoto non rischi nulla: «Ai miei compagni ricordo sempre che loro sono il braccio, e io la mente».

Ho subìto il distacco della retina, ma ci ho rimesso subito la faccia. Non puoi avere paura, qui

A dire il vero le braccia le mette spesso pure lui, come sui due rigori nella finale mondiale vinta nel 2011 a Shanghai con l’Italia: «Le parate della mia vita. Ma anche a Recco, in 15 anni, ne ho fatte tante importanti». Una valanga di successi, seppur l’inizio non sia stato semplice: «Dopo la seconda stagione non esaltante mi hanno dato un ultimatum, non potevo più sbagliare. La sfida è cominciata lì». Il resto è storia: 12 scudetti consecutivi, 11 Coppe Italia e 5 Champions League, il trofeo più importante. Che tre anni fa ha alzato anche Francesco Di Fulvio, proprio come fece suo papà Franco a Pescara nel 1988: «Lui, però, ha lasciato presto lo sport per andare a lavorare, io invece l’ho fatto diventare la mia professione».
Un passaggio di testimone, dove i figli hanno ripreso e portato in fondo il percorso iniziato dal genitore: «A me e a miei fratelli la passione l’ha trasmessa lui, ogni volta che andavamo al mare mettevamo la porta e giocavamo».

Abbiamo tutti fame. Lo dimostra la cicatrice che ho sul sopracciglio, regalo di un compagno di squadra

Anima e cuore per la pallanuoto, lascia l’Abruzzo giovanissimo e si trasferisce a Roma, poi Firenze, Brescia e infine Recco: «Qui nessuno viene in piscina per timbrare il cartellino, tutti hanno fame. Lo dimostra la cicatrice che ho sul sopracciglio, cinque punti per una gomitata di un mio compagno». Affamati come i protagonisti del derby della baia di Boka, in Montenegro, tra Primorac e Jadran: «Assistere a quelle battaglie in piscina mi ha fatto innamorare della pallanuoto», dice l’attaccante serbo Dusan Mandic. «Avevo già provato judo, vela, karate, tennis e a 8 anni ho trovato la mia strada». Con infortuni e guai fisici annessi.

«Ho avuto problemi a una spalla, mi sono fratturato uno zigomo, ma il mio incubo sono state le orecchie: durante l’Europeo vinto in Ungheria nel 2014 ho passato una settimana infernale a causa di un’infiammazione».
Campione olimpico in carica con la sua nazionale, bestia nera del Settebello, proprio in Italia ha trovato la sua dimensione: «Pro Recco significa responsabilità, è una società che punta a vincere sempre, in ogni torneo. La stessa mentalità del Real Madrid nel calcio».
Però manca un Cristiano Ronaldo. «Non alla Pro Recco, ma al movimento in generale», è la riflessione del centroboa Michaël Bodegas. «La pallanuoto, per guadagnare popolarità, avrebbe bisogno di un personaggio che ci metta la faccia».

Non è certo una questione di talento, bensì di attrazione mediatica: «La verità è che nel nostro sport il gruppo viene prima del singolo». Spirito di squadra e sacrificio: lui che per anni si è diviso tra il suo locale a Marsiglia, dove scopriva talenti musicali, e la carriera in vasca. «Andavo a letto molto tardi, poi la mattina alle nove volavo agli allenamenti.
A 25 anni sono arrivato a un bivio e ho deciso di investire tutto me stesso nello sport». L’arrivo in Italia, poi nel 2015 il trasferimento in Liguria: «Lontano da casa, dagli amici, dalla musica. Non è stata una scelta semplice».
Ancor più complicata la decisione di lasciare la nazionale francese per quella italiana. «Nel 2016, al torneo Preolimpico di Trieste, i miei ex compagni avevano appena staccato il pass per Rio. Noi invece soffrimmo fino alla fine contro la Romania: ricordo che in quell’ultimo minuto mi è passato in
mente di tutto, ho pensato a cosa ci facessi io lì». Per fortuna Pietro Figlioli ha deciso l’incontro a 7 secondi dalla fine e in Brasile è arrivato il bronzo azzurro: «Ma il mio gol più importante lo sto ancora aspettando», conclude Bodegas, che porta sul volto 32 punti di sutura. «Il colpo più doloroso? Una terribile ginocchiata durante un Francia-Croazia».
D’altronde la pallanuoto è come se si svolgesse su due livelli, tenuti insieme dal pelo dell’acqua: uno visibile a tutti; l’altro nascosto, quasi intimo. Ma certamente uniti, anche loro.

Ogni allenamento è una lotta, ma tutto finisce in vasca. Adoro l’atmosfera dello spogliatoio

POTENZA HI-TECH AL SERVIZIO DELLO SPORT
Spirito d’avventura, tecnologia e potenza assicurata dai propulsori Jaguar Land Rover: sono le doti della Discovery, che ci ha accompagnato sul lago di Como assieme a Nicolò Caimi. La capacità di carico del modello, giunto alla quinta generazione, è l’ideale per portare l’attrezzatura che non può mancare per le nostre evoluzioni sull’acqua. Dopo essere usciti dall’auto già stracarichi di materiale, ci viene incontro la tecnologia della Activity Key (che si va ad aggiungere alle 9 porte USB e all’hot spot Wi-Fi con 8 dispositivi collegabili), con il bracciale elettronico impermeabile: basta accostare il polso alla “D” del distintivo Discovery sul portellone per bloccare il veicolo, dimenticando tranquillamente il telecomando all’interno. E nulla potrà più mettersi in mezzo tra noi e una spettacolare giornata di sport all’aria aperta.

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