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Intervista a Laurina Paperina: «Amo la libertà e le imprecisioni»

L'artista trentina ci ospita nella sua stanza all'Outdoor Urban Art Festival di Roma: «Mi annoio subito. Disegno sui muri così non posso cestinare il lavoro»
La stanza di Laurina Paperina all'Outdoor Urban Art Festival di Roma

La stanza di Laurina Paperina all'Outdoor Urban Art Festival di Roma

Perché Paperina? Baglioni direbbe per quella camminata strana. Laura deve questa sua andatura a un incidente automobilistico subìto da bambina, eppure la cosa non la porta affatto a raccogliere compassione. Come fa? È un’attitudine naturale. È come se l’autenticità del suo approccio alla vita, prima ancora che all’arte, la rendesse parte di un unico disegno nel quale lei è protagonista, autrice, comparsa, persona e personaggio.

Mentre finisce di realizzare la sua opera per il festival romano Outdoor, seduta su un pavimento grezzo, risponde alle nostre domande. Poi prende la bici e fa un giretto dentro le stanze della dogana, per raggiungere prima la toilette. Lo fa con una naturalezza cartooniana e spontanea che rende difficile distinguere lei dal pezzo che ha realizzato. Ed anche quando poi lava i pennelli e saluta tutti per prendere il treno, infatti, il colore non le viene via da dosso e l’accompagna fino a casa sua, nella provincia trentina.

Fuori dalla stanza hai realizzato un gatto che confessa di essere fallito, e lo hai preso dal tuo autore preferito, ovvero Matt Groening, e dentro la cameretta ci sono una mare di topastri.
È vero, è Grattachecca, ma l’ho rivisitato alla mia maniera, il topo non è Fichetto però: è mio; sono ossessionata dai roditori, ma in senso positivo: li adotterei come animali domestici, mi piacciono così tanto che non riesco a capire le persone che ne hanno paura, io, addirittura, quando sono in Trentino, spesso di domenica, faccio delle scampagnate appositamente per incontrare le marmotte. Il mio problema è Banksy: lui ne ha realizzati di famosissimi, difatti ogni tanto disegno i suoi topi che reggono un cartello con scritto sopra “kill Banksy”.

La mania di voler uccidere gli altri artisti è ormai quasi una tua caratteristica.
Quelli che voglio uccidere sono artisti che ammiro, come Marina Abramovic, ad esempio. Faccio in modo che vengano fatti fuori dalle loro stesse opere, come se fosse una vendetta dell’arte. In realtà, però, ad armare questa vendetta è la mia invidia, invidia buona però, in senso emulativo, dovuta al fatto che sono riusciti a vivere agiatamente grazie ad un mercato difficile come quello all’interno del quale sopravvivo anche io.

La tua non sembra una rivendicazione politica. 
Odio il significato politico, amo la libertà, ognuno deve fare quello che vuole, senza doppi sensi o doppi fini. Non mi piacciono, in generale, le convenzioni. Non mi interessa neppure disegnare bene, non ho mai voluto fare cose tecniche: preferisco le sbavature, la mancanza di proporzioni esatte, le imprecisioni, i miei personaggi insomma. Quando fai arte per te stesso, te ne freghi del riscontro o del resto, è puramente un’esigenza personale. Mi annoio spesso, mi annoio subito, quindi non faccio schizzi, le mie opere sono immediate e spontanee, difatti le faccio sui muri perché sono più grandi e non mi permettono di cestinare il lavoro, così resto istintiva. Le cose le devo fare all’istante oppure non mi sfogo.

Questo tuo modo di fare non attira parecchie critiche?
All’inizio ne ho ricevute parecchie. Una volta, su un sito tematico italiano, chi mi contestava lo ha fatto in modo feroce, con frasi tipo “braccia tolte all’agricoltura”, ma, dopo l’impatto immediato ho reagito: per una mia mostra a Padova e per un’altra a Shangai ho usato i commenti dispregiativi con i quali mi avevano insultato su quel portale web per descrivere le mie opere, come testo critico di presentazione, invece di mettere le didascalie che in genere scrivono i curatori. Sono andate benissimo entrambe le esposizioni, per uno strano caso del destino.

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