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Instagram contro gattini e finti influencer

Se sognavate di diventare la nuova Chiara Ferragni per voi "è finita la pacchia" dopo che il social ha dichiarato guerra ai profili che comprano follower, ma #InstagramDown di ieri potrebbe essere un contrattacco

Instagram contro gattini e finti influencer

Carlos Alvarez / Stringer

Cari aspiranti influencer o presunti tali, citando uno dei claim più abusati dal nostro ministro dell’interno, per voi “è finita la pacchia”; il castello di carte della post-verità inizia a tremare e la manina, questa volta, è di chi quel castello lo ha costruito dalle fondamenta. Infatti, se fino a qualche giorno fa poteva essere una prospettiva allettante mollare un master in fashion branding communication management per una scintillante carriera su Instagram, da oggi purtroppo le cose non stanno più così. Niente più cascate di like per un tramonto speciale, men che meno per un ritratto del gattino, d’ora in poi abbandonato ad un’anonima pallina e conseguentemente degradato a crocchette sottomarca. È stata sganciata ieri, infatti, la bomba che ha gettato il popolo di Instagram in una crisi di panico apocalittica: d’ora in poi sarà la stessa piattaforma social a scovare i profili fake e i bot annidati al suo interno, eliminando esistenze fittizie definite da decine di migliaia di cuoricini o commenti imprescindibili del tipo “Such a lovely picture“.

Gli sviluppatori della piattaforma avrebbero infatti scatenato un nuovo strumento d’intelligenza artificiale capace di individuare quegli account che utilizzano applicazioni automatizzate per generare follower, responsabili del doping digitale da cui è sorta una larga parte di quei moderni narcisi dal fatturato leggendario, comunemente detti influencer. In soldoni, se volevi ricevere le nuove ambitissime Balenciaga in cambio di una stories ben retribuita, esistevano due strade: la prima consisteva nell’investire anni in hashtag onnicomprensivi, passando notti insonni nell’altalena del “like for like” e “follow for follow”. La seconda, al contrario, permetteva di acquistare migliaia di seguaci in pochi click, versando cifre anche cospicue – ma fortunatamente rateizzabili – ad applicazioni come Instagress, Social Growth e gli innumerevoli epigoni che in cambio garantivano eserciti di follower, tra ‘robot’ dispensatori di “mi piace” o ragazzini pakistani che per qualche dollaro si trasformavano improvvisamente in un vostro adepto.

Per cui, se l’obbiettivo era quello di guadagnare grazie a qualche selfie, si presume che un rapido calcolo costi guadagni vi avrebbe indirizzato sulla seconda via, ovvero quella dei bot, mettendo da parte annate di sgradevoli occhiaia e tic ossessivo compulsivi, in favore di numeri falsati e una bella dose di vanità figlia di un successo altrettanto falsato. Ma come in tutte le fiabe ecco comparire l’antagonista, tool in grado di smascherare migliaia di imbroglioni in costume da bagno, rivelando “Il mercato nero dei like” che si nasconde dietro le stelle più fulgide di Instagram. Anche noi, con l’inchiesta pubblicata lo scorso agosto – con tanto di fashion blogger realizzata ad hoc, la nostra Chiara Stone –, avevamo contribuito a bucare la parete di cartapesta che nasconde le cifre reali degli influencer: analizzando infatti i profili più seguiti, avevamo scoperto come una discreta fetta dell’idolatria che ha reso Chiara Ferragni la divinità che oggi conosciamo potrebbe appartenere proprio al meccanismo di cui sopra.

Per cui, se la signora Fedez può vantare oltre quindici milioni di follower, risulterebbe che una considerevole percentuale di questi potrebbe essere formata da automi o adolescenti brasiliani il cui ultimo pensiero per la testa è il nuovo modello di Louboutin pubblicizzato dall’influencer di turno con un post ottimamente retribuito. Immaginate dunque di essere un brand disposto a sganciare cachet a quattro zeri per una foto in cui viene sponsorizzato il vostro nuovo prodotto, sareste contenti nel constatare che il 30% dei destinatari di quel post è dubbio? Direi di no. Tuttavia, il difensore più battagliero di questo meccanismo fragile era proprio Instagram, ben conscio che quella stessa maschera proteggeva i business milionari che orbitano attorno alla piattaforma grazie ai suoi figli più incensati.

Ma si sa, un bel gioco dura poco, ed è così che i termini “troll”, “fake news” o “bot” entrano di prepotenza anche nel vocabolario della cara casalinga di Voghera. Partono battaglie per contrastare gli utenti e le pagine fasulle, Facebook annuncia la chiusura di oltre 1,5 miliardi di account, lo stesso fa Twitter, complice anche la patata bollente del Russia Gate. Instagram non poteva di certo tirarsi indietro – data la valanga di sterco piombata negli ultimi mesi sul suo proprietario Mark Zuckerberg –, inaugurando ieri la battaglia ai profili che usufruiscono dei bot, improvvisamente diventati nemici virtuali di cui liberarsi alla radice, spazzando via uno storico invidiabile costruito su piogge di like. Di conseguenza saranno considerevolmente ridotte le chance di trasformarsi dal giorno alla notte in una celebrità, e tanti saluti alle cifre pompate con mezzucci proibiti dai termini di utilizzo di Instagram, ma tanto appetibili ai brand, golosi di numeri.

Ma ecco che, come qualsiasi guerra che si possa definire tale, arriva il contropiede con l’hashtag #InstagramDown schizzato in trend topic ieri pomeriggio. Sembra infatti che dietro il malfunzionamento che ha interrotto lo scrolling per qualche ora ci siano proprio loro, i nostri amati servizi bot, colpevoli di aver risposto a tono al fuoco di Instagram – un tempo amico – intasando i server del social network con raffiche di nuovi profili fake, mandando quindi in fuorigioco il grande ripulisti. Questa, almeno per ora, è solamente una teoria dietro il crash che ha bloccato la nostra razione quotidiana di stories, ed è ancora presto per annunciare l’inizio della guerra più vanitosa di sempre, a cui solo il compianto Maurizio Mosca potrebbe rispondere con un pronostico al pendolino. Meglio limitarsi a osservare quindi, dall’alto della nostra manciata di follower sudati dopo centimetri di occhiaie, e se la palpebra inizia a muoversi convulsamente che importa? I centocinquanta like del giorno sono in saccoccia.

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