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Il Revenge Porn è un pranzo di lunedì

Dove la tua migliore amica ha l'ingrato dovere di avvisarti che un tuo rapporto sessuale ora è un video che dilaga tra i WhatsApp dei pischelletti della tua cittadina di provincia.

Il Revenge Porn è un pranzo di lunedì

Ci sono svariate tipologie di uomini meschini. Per scelta personale, il podio degli infami è guidato da coloro che praticano il revenge porn che, messa giù così, sembra più una categoria dell’oramai hypercool Pornhub piuttosto che una pratica meschina.

Non nascondiamoci; ogni uomo cisgender (mi attengo alla mia categoria) ha, quantomeno, il sogno di collezionare estratti della propria carriera sessuale in una cartella nascosta all’interno del proprio computer, per poterci tornare quando la solitudine sentimentale sovrasta l’essere umano. Il legame tra ego e tristezza è un filo sottile che unisce subconscio ed erezione. Tra le fila degli ometti c’è chi ha rapporti di rispetto adeguati per chiedere alla propria partner tale condivisione e chi lascia questa fantasia nel cassetto dei sogni della propria sessualità. Proporre qualcosa al proprio partner è un gesto di sharing, apertura, dialogo e, di per sé, qualunque sia la risposta ricevuta, è un’azione sana. Il problema nasce quando il rispetto viene meno e non c’è lo stato di fiducia per avanzare la richiesta o, peggio ancora, c’è una forzatura o un’imposizione affinché accada. È qui che il gioco erotico crolla e diventa vendetta, o meglio, meschinità.

Il revenge porn è un pranzo, di lunedì pomeriggio, dove la tua migliore amica ha l’ingrato dovere di avvisarti che un tuo rapporto sessuale ora è un video che dilaga tra i WhatsApp dei pischelletti della tua cittadina di provincia. È l’ondata di sguardi dei clienti incuriositi che vengono a vederti lavorare dietro il bancone di un pub di quella tua strettissima cittadina di provincia. È quattro anni di umiliante trafila burocratica da sopportare per giungere al primo processo al quale lui non si presenta perché, da quella tua strettissima cittadina di provincia che è la tua vita, se ne è fuggito, rifugiandosi in una carriera accademica da fuoricorso in Bocconi.

Una storia come tante. Il ragazzo le chiede di poter filmare il rapporto sessuale. Lei declina la proposta, lui la accusa. La relazione si incrina, subentra la distanza tra provincia e città e pian piano lei cede: infondo sarebbe un modo per essere vicina al suo partner, nonostante la geografia, nonostante la crisi. Non c’é nulla di male, lo vedrà solo lui no? Solo che quella crisi ha la meglio, e quando lei decide di dar fine la relazione, lui, di reazione, invia il filmato ad un gruppo WhatsApp di amici. Da qui il leak, il contagio from smartphone to smartphone, il gossip infinito.

Il revenge porn non finisce mai. Sono centomila visualizzazioni su YouPorn per un video uplodato da un utentesenzanome a cui la polizia postale non sta facendo caso. Sono i titoli dei giornali con il tuo nome in grassetto che ti aspettano quando arriverà la sentenza. Sono i messaggi che ricevi dai mitomani su Facebook, ancora oggi, quattro anni dopo.

Non c’é una grande varietà di soluzioni quando un meschino decide che l’intimità e la privacy della relazione è materiale di masturbazione collettiva. Le ragazze più forti (spesso coloro che hanno una rete di sicurezza solida tra amici e famiglia) reagiscono rimanendo a lavorare in quel pub ogni sera, sfidando ogni sguardo, vivendo come se nulla fosse. Perché non c’é nulla di cui vergognarsi nella propria sessualità. Solo i meschini pensano che l’atto sessuale sia degradante e condividono i propri video amatoriali, in cui anche loro stessi compaiono, come gesto di offesa verso una donna sfruttando il giochino codardo per cui l’uomo è playboy e la donna puttana. Le ragazze più deboli, invece, le piangiamo, o meglio, vengono piante dalla famiglia e dimenticate – da noi – in qualche emoji lacrimante sui social.

L’unico pensiero da trarre dal revenge porn è che non c’é vergogna nel sesso, ma c’é nella stupidità e nell’arroganza di una generazione che sta perdendo l’occasione di utilizzare smartphone e social per rivendicare una sessualità libera e sana. Bravi babbi meschini, non avete capito davvero nulla della sessualità, vero?

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