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Come la Fridamania ha contagiato tutti quanti

Dai numeri record della mostra al Mudec di Milano alle spillette con il suo volto, dalle citazioni sul palco di Sanremo a quelle dei super stilisti: Frida Kahlo è ovunque. «Non so chi possa dire di averla capita», commenta lo scrittore Pino Cacucci
Frida Kahlo, Diego Rivera, Leo Matiz, Foto, mostra fotografie, ritratti, Ono Arte contemporanea, Fondazione Leo Matiz, Alejandra Matiz, Bologna

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«La scoperta di Frida è un po’ come la scoperta dell’America: una conquista. Lei c’è sempre stata, con la sua storia e la sua arte, e a un certo punto se ne sono accorti anche all’esterno». Per Pino Cacucci parlare di Frida Kahlo è quasi come parlare del proprio privato. Scrittore, sceneggiatore e traduttore, vive da anni tra l’Italia e il Messico, che, come buona parte del continente latino-americano, ha viaggiato da Nord a Sud. Tra le sue opere Puerto Escondido e San Isidro Futbòl, da cui sono stati tratti i film con Diego Abatantuono – di cui Cacucci, come per Nirvana, figura tra gli sceneggiatori -, La polvere del Messico e tanti altri.

Nel 2000 ha pubblicato Viva la Vida!, fulminante monologo che ripercorre l’esistenza unica dell’artista messicana, a cui ora dedica un capitolo di Mujeres, libro illustrato da Stefano Delli Veneri, che racconta le storie delle donne messicane protagoniste, con il loro impegno e i loro sacrifici, tra gli anni ’20 e ’30 «di una rivoluzione che anticipò di mezzo secolo le conquiste civili degli anni 70».

Il volume è in uscita, non a caso, l’8 marzo per Feltinelli Comics, e, c’è da scommetterci, finirà subito in bella mostra nelle vetrine delle principali librerie, come in queste settimane è capitato a tutte le opere dedicate alla Kahlo. Perché quella che “affligge” il Paese è una nuova epidemia di Fridamania, e il contagio è partito da Milano. Al Mudec il primo febbraio, attesissima, ha inaugurato la mostra “FRIDA KAHLO. Oltre il mito”, curata da Diego Sileo, che porta in Italia più di cento dipinti, disegni e fotografie della pittrice.

Il successo della rassegna è stato travolgente: le code in via Tortona, dove si trova il museo, sono spesso interminabili, come testimoniano le oltre 33mila presenze in 14 giorni, con una media di quasi 2400 al giorno e picchi di 4mila nei fine settimana. «La mostra contribuirà a fare conoscere la Frida artista, al di là dell’icona», afferma Cacucci. «Sinceramente da noi non so quanti sappiano esattamente a chi appartenne quel volto, quanti abbiano realmente approfondito la storia della sua vita. Le sue opere, di certo, hanno sin qui contato meno del simbolo che di lei è stato fatto».

Cacucci ripercorre le tappe della Fridamania, un termine entrato da anni nei dizionari in Messico. «Il fenomeno è stato graduale, e, soprattutto nel paese centroamericano, ha radici profonde. Quando Frida era in vita, non tutti la ammiravano, al contrario del marito Diego Rivera, eroe nazionale, almeno per il popolo. I messicani si sentivano rappresentati da lui, che incarnava l’anelito rivoluzionario e la fierezza delle radici maya e azteche». Negli anni i ruoli si sono invertiti, con il passaggio di Frida dalla storia alla mitologia. «Diego Rivera è ancora ammirato per la sua arte muralista e per il suo impegno politico, ma l’aura di Frida è cresciuta a dismisura, e lei è diventata il simbolo di un Messico dolente, lacerato da violenza, contraddizioni e poteri corrotti. Come lei, che ha trasformato la sua sofferenza in un’opera d’arte».

Il superamento dei confini nazionali non è stato automatico. Nel 1978 la biografa Hayden Herrera organizzò una retrospettiva su di lei al Chicago’s Museum of Contemporary Art, ma l’iniziativa era ancora circoscritta ai circuiti dell’arte. Negli Stati Uniti tutti si accorsero di lei nel 1990, quando Madonna acquistò all’asta due sue opere, La mia nascita e Autoritratto con scimmia. Da lì fu un crescendo. «La gente veniva a conoscenza dei dettagli della sua vita, e se ne innamorava. Il suo dolore e i suoi difetti furono la sua forza».

La pittrice messicana Frida Kahlo, all’anagrafe Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón

Le gallerie di Soho iniziarono ad andare a caccia del suo tratto: la stessa opera che nel 1985 andò invenduta, dieci anni dopo era in copertina del catalogo di Sotheby, la prima casa d’aste al mondo, e fu acquistata per 3 milioni di dollari. Lo U.S. Postal Service mise la sua effige su un francobollo, prima donna ispanica a ricevere una simile onorificenza, nel 2002 arrivò il film sulla sua vita con Salma Hayek. Fino, fatte le proporzioni, al brano portato sul palco di Sanremo dai Kolors, che hanno motivato la loro scelta artista con il fatto che “Frida Kahlo aveva un messaggio positivo dell’amore ed era quello che volevamo trasmettere con questa canzone”.«Dopo gli Stati Uniti, la Fridamania è presto approdata in Europa, conquistata dalla sua esistenza travagliata e irriducibile, del suo Viva la Vida nonostante tutto», dice Cacucci.

La figura di Frida ha avuto un’influenza forte anche sul mondo della moda, con l’amore espresso nei suoi confronti da stilisti come Riccardo Tisci, Jean Paul Gaultier e tanti altri. «Ancora oggi grandi nomi del settore la imitano e citano. Ma, come tutto nella sua vita, il look per lei era una questione anzitutto politica. Frida indossò le radici indigene rivendicate dai muralisti. Quando andava a un vernissage nei panni di una tehuana, le abitanti di Tehuantepec nella zona di Oaxaca, era una sfida all’establishment: andava in mezzo ai vertici della società vestita come le balie dei loro figli, come le donne di una delle poche comunità indigene matriarcali, dove chi ha la gonna amministra il villaggio».

Frida Kahlo oggi è una delle industrie più fiorenti del Messico. La Casa Azul, abitazione in cui ha trascorso parte della sua vita con Diego Rivera, è uno dei musei più visitati della capitale, nel quartiere residenziale di Coyoacan. Ogni giorno centinaia e centinaia di persone, molte delle quali straniere, prendono mezzi pubblici, bus turistici o taxi per arrivare lì, e mettersi in fila lungo il marciapiede. «A ogni angolo della strada trovi del ciarpame a lei dedicato, dagli accendini alle t-shirt. Secondo me lei sarebbe contenta perché molte donne campano grazie alla sua immagine, gli altri risvolti pop, considerando la sua pochissima smania di protagonismo, le piacerebbe un po’ meno».

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Ma cosa ne pensa Pino Cacucci, che, postuma, la frequenta da sempre, di cosa sia diventata Frida a queste latitudini, secondo un processo che è toccato a altri giganti della storia latinoamericana prima di lei? «In fondo sono contento di quanto è successo, perché oggi la sua immagine è diventata una manifestazione di ricerca della libertà femminile, dell’orgoglio di essere donna. Inoltre se può contribuire a diffondere la conoscenza di un’epoca straordinario e di un Paese che amo, non posso che compiacermene. Da punto di vista culturale l’Europa e ancora di più gli Stati Uniti vivono una fase di piena involuzione, decadimento. L’America Latina, invece, rimane un polo culturale ricco di linfa vitale, in cui gli intellettuali non vivono su una torre d’avorio e le passioni popolari sono accese. Il mai abbastanza compianto Harold Pinter diceva: “Ma quale New York o Parigi, se voglio respirare cultura faccio un giro a Città del Messico».

Ma, nella semplificazione che il mito sistematicamente opera, non si può dimenticare la natura più profonda di quella donna ora diventata gadget. «Frida fu una donna tutta politica: ogni gesto della sua vita è stato improntata a una militanza istintiva, una inclinazione alla ribellione. Fu dirompente ogni giorno della sua vita, con la sua arte e le sue azioni». Il paragone con Che Guevara viene inevitabile. «Ma è azzardato», dice Cacucci. «In comune hanno l’uso che della loro figura è stato fatto, la mercificazione subita. Oggi si può mantenere un accorato ricordo di ciò che ha fatto Ernesto Guevara, ma sappiamo che la nostra è un’epoca in cui le rivoluzioni non si possono nemmeno più pensare. Invece si possono cambiare le cose come faceva Frida, mettendosi in gioco in ogni istante e dando sfogo alla propria creatività».

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