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Francesco Cinti Piredda, storie di un tatuatore notturno

Ha disegnato sul corpo di Totti, Ilary Blasi, Roberto Saviano e un sacco di volti noti, fuori e dentro la televisione, ma alla sue condizioni
Francesco Cinti Piredda - Foto Stampa

Francesco Cinti Piredda - Foto Stampa

Francesco tira su la saracinesca del suo studio romano solo la notte, si sveglia rigorosamente al calare del sole e tratta con la massima riservatezza ognuno dei suoi clienti, non fa differenza se sotto ai ferri c’è Roberto Saviano, Francesco Totti o uno qualsiasi. Possiamo tranquillamente riferisci a lui come al vampiro dei tattoo, senza riferimento alcuno al denaro, anche se un lavoro pensato appositamente per chi deve indossarlo per tutta la vita ha il suo prezzo, si sa. Nel suo caso è un po’ come cedergli un pezzo della propria anima per poi vedersela restituita addosso, attraverso l’inchiostro.

Il suo stile è una combinazione tra gli studi calligrafici e la solida tradizione del tattoo tribale, ma diciamo che le condizioni per i suoi pezzi le fa lui perché «ogni tatuatore ha il cliente che si merita e viceversa. I clienti vanno educati», dice.
La brush calligraphy, tecnica che ha inventato dopo una carriera da assistente di volo e una decina d’anni in un’equipe di chirurgia plastica ricostruttiva di Verona (praticamente altre due vite), consiste nello sporcare una tradizione ma con molto, molto rispetto. «Negli anni Novanta ho capito lo squallore delle scritte in gotico, quelle erroneamente dette “tribali”. Io cercavo un’alternativa o ho trovato la mia trasgressione nell’ideogramma giapponese. Poi ho scoperto lo shodō, la scrittura d’arte. Gli esperti di calligrafia la praticano ogni giorno, continuamente. Questa tecnica ti permette – con regole molto rigide – di trasformare l’ideogramma in milioni di modi, diventano quasi quadri. Sono segni che diventano altro rispetto all’ideogramma. È una tecnica di alterazione del segno classico per esprimere quello che vuole il cliente. Immagina la calligrafia che ti hanno insegnato a scuola, la bella calligrafia, e poi come tu scrivi realmente. Quello è una sorta di “shodō spontaneo”. Con questa tecnica non stacchi mai o quasi mai il pennello, è tutto in un solo respiro. È un respiro sulla carta».

Ma Francesco Cinti Piredda si considera più un creativo che un tattoo artist, uno che tratta il tatuaggio come una tecnica pittorica e non come uno stile di vita. «La macchinetta, originariamente, era la campanella della scuola, quella che suona quando c’è la ricreazione. Questa ha un meccanismo che riadattato diventa adatta per i tatuaggi. Io non sapevo neanche disegnare, sono diventato tatuatore proprio per usare quella macchina» racconta del suo esordio all’inizio degli anni Novanta, prima di aprire il suo studio, Unopercento, nel ’97. «All’inizio era proprio un attrezzo, un aggeggio da usare. Un po’ come comprarsi la moto perché sei appassionato di motori, un utensile ecco», una valvola di sfogo per incanalare una passione dunque.

Le sue sedute sono un vero e proprio match tra temperamento e tecnica, delle esperienze empatiche che abbiamo chiesto di descrivere attraverso un dettaglio, un ricordo. Ma come fa Francesco a raggiungere questo grado di confidenza con personalità di questo calibro? «Qualunque personaggio la notte si spoglia, scopre la sua anima e neanche se ne accorge», forse il segreto sta proprio nelle abitudini notturne. 

Francesco Cinti Piredda – Foto Stampa

Cosa vuol dire “tatuare a casa negli anni ’90 non era com’è adesso”?
Quando sono entrato in questo mondo non c’era nessuna normativa sui tatuaggi, non c’erano autorizzazioni per aprire o regole. E non c’erano neanche tanti clienti. Erano quattro i principali studi in Italia con le autorizzazioni più o meno ufficiali o addirittura clandestini. Adesso non è più così, a Roma ho fatto delle belle lotte per la legge sui tatuaggi. E alla fine il ministero della sanità ha riconosciuto questa figura e ha emanato delle linee guida che dovranno essere recepite dalle regioni. Alcune le recepiscono altre no.

Partendo dalla tua nascita come tatuatore, il tuo cambio di stile di vita. Mi è stato detto che tatui solo di sera: quando hai iniziato a vivere solo di notte e perché?
Non sono un “dark” o un appassionato della notte. La notte, però, ti rilassi, non hai altre distrazioni e tutto diventa possibile. È un momento in cui tutto è possibile, puoi fare qualsiasi cosa. È uno spazio, una bolla di sapone dentro alla quale può succedere qualsiasi cosa. E, soprattutto, sei da solo. Per me è molto fico: di notte la gente è più rilassata. Di giorni invece è tutto scandito, pieno di interruzioni, di casini. Se vieni di notte, invece, c’è un rapporto più intimo, mi permetti di portarti per mano al miglior lavoro possibile. Si è più rilassati di notte, più disposti al dialogo.

È questo che ti permette di creare un rapporto più stretto con i clienti? Di offrire un’esperienza empatica?
Lo facevo anche di pomeriggio, poi ho capito che di notte era meglio. Inizio alle 8,30 di sera e finisco alle 10 di mattina. Il cliente si sente diversamente. Non sono un vampiro o un dark, semplicemente mi piace lavorare così.

A proposito di vampiri: come fai il tuo prezzo? Quanto costano i tuoi lavori?
Al momento è forfettario: ho delle fasce di prezzo. Ho tre tipi di tatuaggi: piccolo, medio e grande (che dura tutta la notte). Più ci si diverte di notte meglio è, tutto quello che esce fuori è tuo. Vengono fuori dei lavori fantastici, una soddisfazione incredibile. Anzi, facendo così riesco anche a chiudere in due sedute tatuaggi che di solito facevo in sei.
Nel prezzo è compreso anche tutto il trattamento da fare dopo: ti do una crema bio che faccio preparare appositamente, ti spiego perfettamente come curare il tatuaggio nei dieci giorni successivi e come prepararti a riceverlo. Insomma, se devo giustiziare un pezzo del tuo corpo lo voglio fare perfettamente, non “a cazzo”. Dopo un tatuaggio devi curare alimentazione e igiene, altrimenti viene male.
Niente alcool, niente droghe e soprattutto idratazione particolare per i due giorni precedenti. Se prepari il corpo il tatuaggio viene meglio. Io lavoro sulla pelle, è importantissimo: immagina un pittore con una tela preparata male. Perchè allora io devo lavorare su una pelle trattata male? Sembrerò un bacchettone ma è così che si lavora.

Torniamo alla cultura del tatuaggio: tutti i tattoo artist dovrebbero imporre uno standard. Tu non sei un mercenario no?
Beh, fino a un certo punto. Tu devi comunque accontentare le richieste dei clienti, purtroppo serve.

La gente dovrebbe capire che non funziona esattamente così. Al di là del soggetto non dovresti richiedere altro al tatuatore. Non è deprimente per un artista dover eseguire sulla pelle il disegno della fidanzata o quello fatto dal cliente? L’artista non si occupa solo di eseguire il disegno del cliente, no?
Anche il tattoo artist deve campare, magari nei ritagli di tempo. Magari puoi dire al cliente che non è proprio la cosa che vorresti fare. Ogni tatuatore ha il cliente che si merita e viceversa. I clienti vanno educati.
Io al massimo mi rifiuto di tatuare cose che non sono nel mio stile. Anzi, ti posso consigliare il tatuatore giusto per quello che ti serve. Fuori dallo studio invece mi dicono che sono stronzo perché non tatuo tutti. Non capiscono che in realtà gli sto salvando la pelle, non lo capiscono!

Dunque non c’è ancora questa cultura del tatuaggio.
Non ci sarà mai. Pensa alle trasmissioni televisive: stanno inculcando che il tatuaggio deve avere un significato. Per carità, ci può pure stare, però è più importante che non sia un tatuaggio di merda!

Tu ti consideri tatuatore o tattoo artist?
Io rifuggo la definizione di artista. Oggi mi sento, mi ritrovo nel panorama dei tatuatori di qualità. Quindi si, sono un tatuatore. Non sono e non farò mai l’artista. Chi fa l’artista non è un artista, chi è un artista non si sente tale. Totti non fa il calciatore, è uno a cui piace il calcio. Non si atteggia da calciatore e da lui imparo.
Il più grande tatuatore del mondo, Horiyoshi III, risponde alle mail personalmente. Si siede con te sul tatami e ti dice: “che ti piace? Dimmi chi sei”. Non è un artista, è un uomo davanti a un uomo. Dopo che mi sono tatuato da lui ho capito un sacco di cose: non faccio l’artista, io tatuo le persone.
Io sono un tatuatore ma rispetto il corpo: non voglio fare il disegno su un pezzo di pelle. Spesso i tatuatori pensano solo al pezzo di pelle: io guardo il corpo, il cuore, le emozioni. Sta qui la differenza. Io dico al cliente: “se ti vuoi veramente bene io ti posso dare una mano, ma mi devi dare una mano pure te. Altrimenti vai a farti un tatuaggio da un’altra parte”. E non è per fare lo snob. È che io so fare solo così. Non voglio insegnare a nessuno come tatuarsi, semplicemente diffondere la mia visione delle cose, che sostanzialmente è: dai un valore a quel pezzo di pelle.

Francesco Cinti Piredda – Foto Stampa

Com’è stato tatuare Roberto Saviano?
È stato strano. Si è fatto un tatuaggio grande, non orientale, ma non vuole che si sappia cosa sia. Si è tatuato con la scorta, una cosa che mi ha colpito davvero molto. E sai chi ha mandato Saviano da me? Proprio i carabinieri.

Perchè?
Perché i carabinieri sanno tutto. Conoscono lo spacciatore che ha la roba migliore, la puttana più bella e il tatuatore più bravo (ride).

E Totti? Come ti ha trovato?
Ha visto un tatuaggio fatto da me e gli è piaciuto. 
Una mattina stavo finendo di lavorare e mi arriva un messaggio: “Ciao, sono il marito di Ilary. Ahahahah. Vorrei farmi un tatuaggio quando posso venire?” Ho risposto: “Chi sei?”. E lui “Francesco”. Io: “Francesco chi?”. Lui: “Totti!” Lui ha un’energia eccezionale, fa davvero ridere. È timido, riservato, giuggiolone.

Dopo un po’ mi ha chiamato e ci siamo messi d’accordo per una data segreta, una domenica pomeriggio dopo una partita. Devo dire che non ho sentito il bisogno di dargli particolari indicazioni (sulla preparazione del corpo): ha un fisico diverso dagli altri e lo rispetta molto. Ci siamo incontrati e si è presentato con i figli. È entrato in studio e il tatuaggio è stato scelto da me e dai figli. Una volta scelto gli ho detto: “Francè, va bene?”. E lui: “Se va bene a loro! Lo sto a fa per loro!”, come se non gliene fregasse niente. Pazzesco.

Quindi tu lavori tantissimo grazie al passaparola.
Si, io non ho neanche l’insegna. Tu passi davanti al mio studio e non ti accorgi che esiste. Devi cercarmi, la mia serranda è abbassata quando lavoro. Quando è alzata vedi una porta a quadri e sopra, da tre mesi c’è scritto in carattere tipografico uno per cento.

Francesco Cinti Piredda – Foto Stampa

Raccontaci della storia di Giulio Golia, la iena.
Lui mi ha chiamato perché ha visto il tatuaggio su Ilary. Mi ha raccontato una storia pazzesca sulle sue nozze a sorpresa: ha organizzato tutto il matrimonio e poi ha chiesto alla ragazza di sposarlo una settimana prima della data. È un pazzo! Mi telefona, voleva regalarle un tatuaggio: “le chiedo di sposarmi e scegliamo insieme il tatuaggio. Ti chiamo in giornata!”. È sparito per quattro giorni. Sono morto d’ansia, pensavo che lei gli avesse detto di no. Poi è ricomparso e abbiamo organizzato tutto.

Qualche faccia nota che non hai voluto tatuare? Ti è capitato?
Mi è capitato con Antonio Cassano: l’ho mandato via dallo studio perché era impossibile parlare con lui. Troppo calciatore, spocchioso, irriverente. Anche maleducato.

A questo punto ti chiedo anche la storia di Ilary Blasi e del suo tatuaggio.
Io l’ho tatuata diverse volte, ma l’ultima è stata particolare. Voleva tatuarsi sui polsi, diciamo all’altezza di dove ci si taglia le vene, i nomi dei figli in rosso. Io non ero molto convinto, anzi non volevo proprio farlo. Lei, invece, era molto determinata e alla fine ho deciso di cedere. Non potevo perdere Ilary e Totti come clienti, quindi ho pensato: “facciamo sta marchetta”. Ho deciso, però, di fare una ricerca: ho cercato i tatuaggi sui polsi dei VIP. È venuta fuori una vagonata di “persaggi poco raccomandabili” con il tatuaggio sui polsi. Quindi le ho detto: ”io ti ho sempre detto che sei diversa da come ti descrivono, sei gentile e cordiale, non sei come queste sciaquette”. E lei mi ha risposto “E allora che faccio?”. Abbiamo deciso di fare qualcosa che i figli potessero apprezzare, se l’è disegnato da sola. È stato insolito per me ma molto meglio delle scritte sui polsi.
È sempre una fatica! Un po’ come il primo tatuaggio di Totti. Come non ho voluto fare le scritte a Ilary non le ho volute fare nemmeno a lui: la prima volta l’ho mandato a casa!

Com’è andata esattamente?
Viene in studio Totti con i suoi amici, una settimana dopo Mido, il primo giocatore della Roma che io abbia mai tatuato. All’inizio Totti mi chiede le iniziali. Io non volevo farle, quindi propongo di fargli qualcosa di diverso, sempre per rappresentare l’unione tra uomo e donna. Non gliene piaceva neanche uno! Alla fine rosico e gli dico: io te le faccio le iniziali ma con la brush calligraphy. Faccio uno schizzo su carta e lui dice “Oh, bello!”. Inizio a disegnarglielo addosso e a lui piace, però non era molto entusiasta. Io non ero convinto, mi sembrava di averlo fregato, quindi l’ho mandato via. “Adesso vai a casa, domattina ti scarti il braccio e vedi come ti senti. Se ti piacciono te lo faccio”. Il giorno dopo mi ha chiamato e gliel’ho fatto: è venuto come un cliente qualsiasi, non ha avanzato nessuna richiesta strana. Si è persino scusato perché è arrivato in anticipo.

Tatuare Totti è stata la mia più grande fortuna: grazie a lui ho avuto un successo incredibile in Italia e in Europa. Anche in Giappone! C’è questo ristorante con una cameriera italiana, una mia amica, quando ha detto a tutti che avevo tatuato Totti volevano tutti la foto con me. Erano convinti che avessi tatuato tutti i calciatori più importanti del mondo!
Lui è una persona che emoziona molto, uno vero. Ha sempre pagato, non ha voluto sentire niente.

Ivan Zaytsev, argento olimpico tatuato da Francesco Cinti Piredda – Foto Stampa

Con l’argento olimpico Ivan Zaytsev invece com’è andata?
La prima volta che si è presentato da me mi ha chiesto un tatuaggio fuori dal mio stile e l’ho mandato a casa. Dopo qualche anno è tornato: ho fatto una scritta molto grande sia a lui che alla moglie. È tornato una terza volta, voleva un samurai. Io i samurai li faccio solo come tributo a Horiyoshi III. Riproduco le sue opere fedelmente come tributo. Lui aveva scelto un’opera, poi io gli ho proposto delle alternative e alla fine abbiamo fatto il cavallo, dopo due notti di racconti molto intense. Devo dire che gli sta da Dio. È tornato un’altra volta per farsi una manica, dobbiamo ancora finirla ma ci siamo quasi. Pensa che l’ultima volta che è venuto c’è stato il terremoto: mi stava riprendendo per fare un video e ha cominciato a tremare tutto. Pazzesco. Nonostante il terremoto, però, siamo rimasti in studio a lavorare fino alla mattina successiva.

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