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Elezioni, governi tecnici, gigli magici: cosa sta succedendo dopo il referendum?

I partiti per il No chiedono elezioni subito, nonostante la legge elettorale, e ora pare che anche Matteo Renzi le voglia, ma non è detto che chi ha votato "sì" voti PD alle prossime elezioni. Mai come oggi, in politica, 2+2 non fa 4
Matteo Renzi, foto via Facebook

Matteo Renzi, foto via Facebook

Rispetto ai primi scenari delineati lunedì, la situazione politica dopo il voto referendario di domenica 4 dicembre sta evolvendo di giorno in giorno, per non dire di ora in ora. Prima di tutto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha congelato le dimissioni di Matteo Renzi, rimandandole all’approvazione della legge di stabilità (che il Senato potrebbe votare già alla fine di questa settimana). Sul piano più strettamente politico, invece, sembra che nessuna delle forze politiche in campo abbia interesse a sostenere un governo di scopo (retto dall’attuale ministro dell’economia Padoan o dal presidente del Senato Grasso). Le opposizioni hanno chiesto subito di andare al voto – incuranti dell’attuale contraddizione sulla legge elettorale (diversa per camera e senato) – e anche il Pd, nella giornata di ieri, ha fatto trapelare l’intenzione di chiedere elezioni anticipate.

Nel Partito Democratico pare si stiano scaldando i motori in vista di varie rese dei conti interne. Se la minoranza che ha sostenuto il No (quella, insomma, che fa quadrato attorno all’asse D’Alema, Bersani, Speranza) da tempo aspetta il risultato del referendum per tornare a fare battaglia, tra ieri e oggi pure vari pezzi che sostengono l’attuale segretario hanno fatto capire che il passo deve cambiare: dai ministri Dario Franceschini e Andrea Orlando arrivano moniti contro la strategia di attacco permanente e all in costante che ha portato Matteo Renzi – e il Pd – alle recenti debacle elettorali (non dimentichiamo che anche le recenti amministrative non sono andate proprio benissimo). Nella giornata di ieri, riporta infatti Repubblica, Matteo Renzi, il presidente del partito Matteo Orfini e i ministri Maurizio Martina e Maria Elena Boschi si sono incontrati per decidere cosa fare e sembra si sia scelta la linea delle elezioni anticipate perché non si vuole lasciare il tema a Lega e Movimento 5 Stelle. Inoltre stanno filtrando sempre più conferme su un Giglio Magico – il cerchio di consiglieri stretti del presidente del consiglio – convinto che il 40% ottenuto dal fronte del “Sì” sia una base di partenza tutta personale che garantirebbe a Renzi una “serena” rielezione (del resto, dentro il fronte del “No” si possono contare almeno altre cinque formazioni politiche strutturate e con diversi elettorati) trovando quella legittimazione popolare che gli è sempre mancata.

È prevista per oggi la direzione nazionale del Pd, ma potrebbe non esserci spazio per il dibattito interno. C’è molta curiosità, anche alla luce di alcune indiscrezioni raccolte questa notte da Radio Popolare, su quello che potrebbe dire Matteo Renzi. Sta di fatto che, dagli analisti ad alcuni esponenti della minoranza dem, tutti fanno notare al segretario che quel 40% non è di sua proprietà e se si andasse al voto subito, quei 13 milioni di voti non sarebbero automaticamente confermati. Prima di tutto perché i primi dati sembrano confermare che 3/4 di quei voti siano di elettori potenziali del Partito Democratico; in seconda battuta, perché nell’attuale configurazione dello scenario politico, oltre alle categorie tradizionali, sono evaporate anche le “basi di consenso” e ogni voto riparte da zero, o quasi. Mai come oggi, in politica, 2+2 non fa 4. Inoltre, bisogna considerare come un Pd che si presenta al voto senza aver prima discusso il suo programma politico (a cominciare dallo schema delle alleanze, perché nessun partito di sinistra sopravvive facilmente a cinque anni di larghe intese con la destra) e sciolto i nodi interni rischia di essere ulteriormente indebolito davanti a un Movimento 5 Stelle che appare invece più forte e organizzato e in grado di dettare l’agenda politica e il vocabolario da applicare nel dibattito. Come ha scritto in varie occasioni l’analista politico Dino Amenduni (qui e qui), tra una sinistra che smette di fare la sinistra, e una destra che continua a fare la destra, gli elettori scelgono la destra (si pensi anche ai recenti crolli di consenso di partiti “socialisti” come il Pasok il Grecia, lo PSOE in Spagna e i rischi attorno al Partito Socialista francese alle prossime presidenziali di maggio). Insomma, la situazione è in continua evoluzione.

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