Bernardo Provenzano, definito il boss dei boss per il suo ruolo ai vertici di Cosa Nostra, è morto all’Ospedale San Paolo di Milano dove era detenuto con il 41-bis.
Nato a Corleone nel 1933, comincia a collaborare con la cosca locale, e dopo diversi omicidi e accuse di associazione a delinquere a partire dal 1963 si è reso latitante. Nei primi anni ’80 ha iniziato la cosiddetta «seconda guerra di mafia» insieme a Totò Riina per il controllo di Cosa Nostra. Dopo gli attentati contro lo Stato, tra le quali la strage di Capaci e quella di Via d’Amelio in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e l’arresto di Totò Riina in qualità di mandante di queste stragi, Provenzano si occupò di gestire le fazioni di Cosa Nostra che volevano continuare con questo tipo di attentati e quella contraria, decidendo di andare avanti con gli attentati al di fuori della Sicilia.
Le indagini per trovare il luogo in cui Provenzano era latitante si sono basate sull’intercettazione dei “pizzini”, i biglietti con cui comunicava con i familiari e col clan. È stato arrestato l’11 aprile 2006 nella masseria di un allevatore a Corleone. Condannato a 20 ergastoli da scontare con il regime del 41-bis, è passato da supercarcere di Terni a quello di Novara, dove aveva tentato di comunicare nuovamente tramite pizzini al clan, così gli venne applicato il regime di 14-bis per 6 mesi (che prevede l’isolamento in una cella senza radio e tv). In seguito è stato trasferito al carcere di Parma, dove le sue condizioni di salute si sono aggravate a causa di un cancro alla vescica e dove tenta il suicidio per soffocamento. Gli viene revocato il 41-bis per le condizioni di salute, ma una volta sospettate delle comunicazioni col clan viene nuovamente applicato il carcere duro.
Il questore di Palermo Guido Longo ha vietato i funerali pubblici.