Ci siamo fatti un giro nel primo negozio che venderà piante di erba in Italia | Rolling Stone Italia
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Ci siamo fatti un giro nel primo negozio che venderà piante di erba in Italia

L'Hemp Shop aprirà il 15 giugno in Viale Tibaldi a Milano. Come è possibile? C'è sempre un cavillo legale da raggirare

Piante di Cannabis al Biodiversity Park dell'Expo 2015. Foto: Furlan / Newpress

Foto: Furlan / Newpress

«Questa zona, questa via in particolare, era conosciuta come “la clinica”, una piazza di spaccio a livello serio» mi racconta Fabio Panariello spostando alcuni teli che coprono l’entrata del suo futuro negozio. Siamo in Viale Tibaldi a Milano, praticamente sul Naviglio Pavese. Qui, rimossi i calcinacci e innalzati i muri di cartongesso, il 15 giugno aprirà l’Hemp Embassy. In parole povere, il primo negozio che venderà piante di cannabis in Italia. Un po’ come le talee che trovate al vivaio ma con l’erba al posto dei gerani da mettere nella fioriera.

A Fabio sicuramente piace rischiare—il suo passato nel commercio delle smart drugs non fa che dimostrarlo—ma dalla sua ha una legislazione sempre più permissiva e un piccolo cavillo legale che mi spiegherà più sotto, oltre che il favore di tutto il vicinato. «Al posto del mio negozio una volta c’era uno di quei centri di massaggi cinesi» dice Fabio. «Praticamente un bordello. Nel palazzo si sentivano solo schiamazzi e gemiti. Gli inquilini saranno solo contenti della mia apertura!» 

Di che licenza ha bisogno il tuo esercizio commerciale?
È un contratto di franchising. Sarà come gestire una via di mezzo fra un’erboristeria e un fiorista. Quando costituisci la società devi specificare bene l’oggetto sociale.

Quindi io entro qui, compro una pianta e me la dai così? C’è un modo per fare un pacchetto un po’ più discreto?
Offriamo packaging specifici, soprattutto per il trasporto. Plastica fatta ad hoc che segue la forma della pianta. Ma sto già pensando di fare la versione gigante del bicchiere da caffè di Starbucks. Quell’oggetto è trasparente, fa passare la luce e l’aria attraverso il tappo. Sarebbe perfetto per trasportarci piante.

Sei in società con un avvocato?
No, non siamo in società. C’è un avvocato in Italia molto ferrato sulla materia e ci sta seguendo.

Mi descrivi un po’ come sarà il negozio?
[Indica il muro] Qui ci sarà un frigo incassato con dentro prodotti che contengono CBD, l’altro principio attivo oltre al THC. Li fanno in Danimarca e la sostanza che contengono è legale in tutto il mondo. Ma il Ministero della Salute ha fatto una specie di sgambetto agli italiani: non ti permette di etichettare questi prodotti come alimentari ma come cosmetici. Da un certo punto di vista è un favore, ma declassa una cosa che dovrebbe avere il suo posto giusto, come ce l’ha altrove. Quindi ci sono liquidi per le sigarette elettroniche, capsule, cristalli per i vaporizzatori, supposte, olio sublinguale, chewing gum. Arrivano prodotti di tutti i tipi. A Barcellona per esempio abbiamo incontrato dei ragazzi che stanno facendo i liquidi con i vari taste, seguendo Canavape, la prima azienda al mondo che ha fatto i liquidi per vapo con il CBD.

E che mi dici delle piante che venderete?
Durante il secondo semestre dell’anno scorso hanno smesso di punire l’auto-coltivazione. I giudici hanno ragionato così: la legge ti dice di punire per tutelare la salute pubblica, ma nel momento in cui la marijuana è una sostanza che non fa male alla salute, per lo meno chi se la coltiva a casa al massimo fa male a se stesso. Quindi la legge non ti dovrebbe punire. I nei casi più famosi, hanno beccato gente che coltivava in casa 10, 12, 16 e 52 piante. Fiorite o meno le piante, sono stati tutti assolti tranne l’ultimo caso, dove gli hanno tolto solo un anno di condizionale. Siccome non c’è una legge specifica, quindi si va un po’ random, caso per caso.

Una foto del cantiere

Una foto del cantiere

Un bel groviglio legislativo, insomma.
A gennaio hanno finalmente regolarizzato anche la canapa industriale, accettando il fatto che ci sarà sempre un minimo di quella pianta negli alimenti, nel tessile, nelle bevande. Per logica e per scienza, quindi, la pianta in fase vegetativa non ha THC. Io la importo da un paese membro, l’Austria, dove puoi vendere talee, hai un numero massimo di piante ornamentali che puoi tenere in casa e dove hanno innalzato a 20 grammi il principio attivo che puoi avere per uso personale addosso. Noi da questa azienda austriaca importiamo 50 varietà genetiche diverse di piante. Loro che sono i leader del mercato ne coltivano circa 300 varietà: dalla mega-sativa all’ibrida, eccetera. Recentemente hanno iniziato a produrre delle genetiche californiane, sono un’azienda agricola storica che rifornisce i grandi marchi dei supermercati austriaci. È certificata BIO. Io con loro ho questo accordo: tra sei mesi, se tutto va bene, sposteremo la coltivazione in un capannone qui, in zona EXPO. Senza bisogno di importare.

Quindi con loro hai una specie di partnership?
Noi abbiamo un accordo di distribuzione e importazione in esclusiva. Più avanti fonderemo una società e diventeremo soci, ma solo se gli affari andranno come spero.

Non hai paura che in qualche modo qualcuno possa ostacolarti?
Se agiscono contro di me lo fanno contro tutto ciò che riguarda la canapa industriale. Con la differenza che le mie piante contengono zero THC, mentre quella industriale può arrivare anche a 0,6 %. Quello che vendo io non sforerà mai la nuova normativa italiana. Io sono tenuto a dirti di tenere le piantine alla luce per 18 ore al giorno per mantenere lo stato vegetativo, altrimenti vanno in fioritura e allora non sono più tanto ornamentali. In quel caso si genera THC.

OK, quanto la pago una piantina?
Inizieremo a venderle a 25€, un prezzo accessibile.

Bene, ma ora che la porto a casa ho bisogno di tutto il kit.
Io di quella roba non vendo niente, non voglio fare concorrenza a tutti quei negozi che si specializzano nella coltivazione. Anzi, mi piacerebbe collaborare con loro.

Come hai iniziato?
Facevo delle ricerche, studiavo marketing e comunicazione. Sono rimasto attratto da quel tipo di prodotti, li ho testati e ho deciso di investirci. Poi, dopo aver aperto 25 negozi, ho deciso di interrompere l’attività dello smartshop. Non volevo prendere la strada della chimica legale. È stata esclusivamente una scelta etica. Io dicevo sempre: faccio questa cosa non per le potenzialità economiche ma portare qui in Italia un po’ della mentalità europea

Saresti il primo in Italia a fare una cosa del genere?
Sì e a tre mesi dall’apertura del primo negozio avremo diritto di fare il franchising. Abbiamo studiato tutto con i fornitori per replicare l’idea di questo shop. Vogliamo aprire in tutte le piazze più importanti d’Italia e ovunque ce lo richiedano. Con gli smartshop ho l’esperienza di un network di 25 punti vendita. So come funzionano queste cose e so come risponderanno gli italiani.

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