«È come se tutto fosse troppo piccolo per me. Non c’è più niente che colpisca il mio sguardo. Niente che possa giustificare la pena di quel mio stesso sguardo». Così scriveva Pier Vittorio Tondelli dentro Rimini, il diario immaginario di un giornalista milanese trapiantata sulla riviera della Romagna per un’estate. Era il 1985, usciva per Bompiani. Oggi, arriva un pezzo di antidoto per quella solitudine, che batte proprio lì: dove si vuole scoprire, e insomma rinnovare lo sguardo su cose già sapute, o di nuova memoria.
Ci pensa Crimini a Rimini, che è un podcast, ed è ideato e condotto da Davide Cardone e Davide Grassi, e che narra i misfatti della provincia (nel senso, proprio di quella nello specifico). Grassi è avvocato penalista, blogger per Il Fatto Quotidiano, e autore di diversi libri. Cardone è social media manager, scrittore, fotografo e podcaster. Crimini a Rimini è stato inaugurato nel febbraio di quest’anno, e al momento conta all’attivo sei puntate. E a chi pensi, “sì, vabbè, ma che mi interessa a me di Rimini”, risponde: ma come, non lo sai mica che sotto quegli ombrelloni, con il solleone, passa l’Italia?
Riassumendo all’osso, con le parole di Grassi e Cardone: «Rimini è un posto dove passa tanta gente e, dove passano molte persone, succedono tante cose. I nostri casi si incrociano spesso con realtà di altre regioni, quando non con questioni nazionali. Come ne “il caso delle valigette nucleari”, serie di puntate in cui raccontiamo di una vicenda che coinvolge politica italiana, sanmarinese, e traffici di informazioni internazionali, fino ad arrivare all’avvelenamento di Aleksandr Val’terovič Litvinenko con il polonio». C’era da non aspettarsela, questa correlazione.
Ma dato che i true crime, nel giro podcast, effettivamente non mancano, meglio specificare appena di più l’ethos del progetto. Crimini a Rimini si propone di seguire la verità documentale (leggasi: no alle speculazioni), di portare rispetto alle vittime e di includere, ogniqualvolta possibile, testimonianze dirette delle vittime stesse o di altre persone che hanno vissuto i casi raccontati in prima persona. In altre parole, niente pornografia del dolore. Che non è esattamente poco, nell’era degli influencer-podcaster-investigatori, se ci spieghiamo.
«Il resto è rigorosa ricerca nei documenti d’indagine e nelle sentenze. Questo è un aspetto a cui teniamo molto perché pensiamo che ci differenzi da molti altri prodotti del settore. Svolgiamo personali ricerche legali sulle storie che raccontiamo, un metodo che costa tempo e impegno, ma che produce un podcast di cui siamo orgogliosi».
La porta è aperta, insomma, e l’invito è ad accomodarsi. Per ricredersi ancora una volta sulla tranquillità della provincia. E convincere di nuovo gli scettici.








