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Blair Wilson è il vostro nuovo eroe

Un 21enne scozzese si è scattato un selfie dopo un’aggressione omofoba, sorridendo e con il volto insanguinato. È il gesto più punk dell'anno

Quando i Vancouver Canucks perdono la finale della Stanley Cup contro i Boston Bruins, in città succede di tutto. I tifosi della squadra di hockey assaltano le strade, la polizia interviene e presto è guerriglia di lacrimogeni, macchine incendiate e scontri. Richard Lam, un fotografo di Getty Images, scatta una delle migliaia di foto dell’evento. La sua, però, farà il giro del mondo: due ragazzi stesi sull’asfalto, un bacio tra gli scontri. Sono tantissimi a condividere l’immagine sui social, come a dire dovremmo essere così, in quella foto ci siamo anche noi e tutto il resto. Qualcuno è più scettico, e per qualche mese il Riot Kiss diventa un caso. Come se dalla storia di quella foto dipendesse qualcosa di importante, tant’è che ancora oggi c’è ancora qualche giornalista che chiama la coppia per chiedere: «Ma state ancora insieme?».

Il “Riot Kiss”, foto di Richard Lam

Oggi il riot kiss in versione iperconnessa è un autoscatto di Blair Wilson, un ragazzo scozzese di 21 anni preso a pugni in faccia da uno sconosciuto mentre camminava nella strada principale della sua città. «Mia madre mi aveva detto di evitare Main Street, ma io ci sono andato comunque. Ho visto un po’ di gente alla fermata dell’autobus e ho attraversato la strada, guardavo il cellulare per non attirare l’attenzione. Poi qualcuno ha gridato», ha detto. Wilson si avvicina, dice di non cercare la rissa ma solo di voler capire «perché si sentissero in diritto di dire una cosa così». Viene colpito, e poco dopo scatta la foto: è un autoscatto, il ragazzo sorride nonostante il volto ricoperto di sangue. I fotografi e le agenzie di stampa non servono più, Wilson scrive subito su Facebook: «Sono stato aggredito da uno che mi ha chiamato frocio. Credo che sia qualcuno insicuro della sua sessualità, qualcuno che cerca di sicurezza in se stesso in questo mondo». In poche ore il suo post fa il giro del mondo, e la sua storia arriva alla BBC.

«Non sapevo con chi parlare, e ho pensato che su Facebook il mio messaggio avrebbe raggiunto più persone. Non voglio lasciare che capitino cose come questa nella città dove ho vissuto per tutti i 21 anni della mia vita».

Città è una parola grossa per un posto come Neilston, un villaggio dell’East Renfrewshire con poco più di 5000 anime, per la maggior parte giovani coppie alla ricerca di una vita tranquilla non troppo lontano da Glasgow. A parte aver dato i natali al comico Gregor Fisher, a quanto pare nel cast in Love Actually, il villaggio non ha molto altro da dire. Forse è per questo che Wilson all’inizio non voleva uscire di casa. «Mi sono sentito così per due giorni, poi ho visto il supporto che stavo ricevendo e ho capito che c’era bisogno della mia storia, […] che quelli che si comportano come il mio aggressore sono la minoranza».

La sua immagine insanguinata arriva persino sul telefono del primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, che ne parla in un comizio. «Blair ha sofferto una orribile e ingiustificata aggressione omofoba, ma invece di nascondersi ha alzato la voce. E fatemi dire una cosa: la dignità, la compassione e il coraggio di quel ragazzo dovrebbero definire questo paese».

Tutte le fotografie sono frutto di una relazione romantica con la realtà, e Susan Sontag diceva che fotografare significa “appropriarsi della cosa che si fotografa”. È per questo che parliamo di questo selfie così insolito: l’autoscatto è l’immagine che vediamo più spesso sui nostri smartphone, è la forma di comunicazione più diffusa della nostra vita quotidiana e ne abusiamo per costruire la nostra identità digitale.

Insieme al meme, il selfie è la forma espressiva più rilevante della generazione Y – la Me, me, me generation, scriveva in copertina Time nel 2013 – che lo usa per definirsi, raccontarsi. Di solito, però, ci si fa un selfie per apparire belli, o immersi in qualche luogo o attività abbastanza interessante da essere raccontata a tutti. Scattare il selfie di un’aggressione omofoba, con in più tutte le caratteristiche dello scatto da festa, è un gesto punk. E in un mondo in cui Kim Kardashian pubblica i suoi (selfie) su un libro titolato Selfish, meglio il ghigno di Blair Wilson.

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