Giuseppe Colombo, detto Bepi, è stato un illustre matematico, fisico e astronomo padovano che nella vita è stato insignito della medaglia d’oro della NASA. Viene ricordato soprattutto per i suoi studi sul pianeta Mercurio, del quale scoprì per primo l’accoppiamento fra rotazione sul suo asse e rivoluzione intorno al Sole.
A 34 anni dalla sua morte, circa 10 giorni fa, un razzo con a bordo due satelliti è stato lanciato dalla base di Kourou, nella Guiana Francese. È stato il culmine di 20 anni di progettazione, preparazione e messa in atto della missione spaziale BepiColombo da parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e di quella giapponese. Ma come mi ha raccontato per telefono Luigi Colangeli, Capo del coordinamento scientifico dell’ESA, il lancio alla fine non è che l’inizio del vero viaggio, che porterà finalmente fra 6-7 anni le sonde sul pianeta più vicino al Sole.
In cosa consiste il suo lavoro?
Bella domanda. Il nostro direttorato scientifico è organizzato in settori. C’è un settore che si occupa delle missioni che devono essere studiate, una parte che si occupa delle missioni da lanciare e una parte che si occupa delle missioni quando sono in volo. Dopodiché c’è un ufficio di coordinamento, di cui faccio parte io, che si occupa di tutta la parte programmatica e di coordinamento manageriale con tutti gli addetti coinvolti nei paesi membri. Io mi occupo del coordinamento delle relazioni con i team scientifici, in particolare nella fase di preparazione delle varie missioni. Per farla breve, io coordino l’attività degli ingegneri con quella degli scienziati.
Chi è che di fatto sceglie le missioni da realizzare?
La scelta è basata sempre su una specie di competizione fra proposte. A vagliare queste proposte è un pool di scienziati, è un processo che va avanti da sempre. Sulla base delle raccomandazioni di questi scienziati, poi lo Science Program Committee, cioè la struttura di governance con al suo interno tutti i paesi membri dell’ESA, prende poi le sue decisioni e nel caso dà poi il via alla realizzazione.
Chi ha proposto la missione Bepi Colombo su Mercurio?
Beh, stiamo parlando di una missione che è partita circa 20 anni fa. Io lavoro in ESA da 10 anni ma 15/18 anni fa ero in Italia e ho partecipato alle fasi iniziali della missione Bepi Colombo, solo che ero in veste di ricercatore. All’epoca, lo studio di Mercurio è stato ritenuto fondamentale, quindi da lì è partito tutto. Nel caso specifico della Bepi Colombo è stato un processo un po’ più complesso perché è stata portata avanti in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Giapponese. Bisognava coordinare le esigenze di entrambe le agenzie, perché una volta arrivati a destinazione i satelliti a orbitare attorno al Sole saranno due, uno europeo e uno giapponese.
Ah quindi sono due i satelliti.
Sì e c’è anche un terzo modulo di trasferimento che serve a spingere e mantenere in vita gli altri due durante la fase di volo. Questo modulo all’arrivo verrà rilasciato e si separerà dai due satelliti. Quello prodotto dall’ESA entrerà in un’orbita molto prossima al pianeta e dovrà studiare il pianeta in quanto tale: caratteristiche della superficie e quelle interne. Quanto all’altro, prodotto dagli amici giapponesi, è un orbiter magnetosferico. Studierà tutti i processi di interazione della piccola e tenue atmosfera e della magnetosfera con il flusso di particelle che viene dal Sole. Sono satelliti complementari e ben integrati.
Come mai Mercurio è così interessante dal punto di vista scientifico?
Come lei ben sa, il Sistema Solare è formato da pianeti di varia natura. Ci sono i cosiddetti pianeti terrestri, cioè quelli più vicini al Sole come il nostro e Marte. Poi ci sono i pianeti gassosi, giganti come Giove e Saturno. E poi c’è Mercurio, che fa parte dei terrestri ma è molto interessante dal punto di vista scientifico perché è il pianeta più prossimo al Sole. Ha subito alterazioni significative proprio per via di questa vicinanza. Studiare Mercurio è un po’ come studiare i pianeti a livello primordiale, serve soprattutto per comprendere le dinamiche della formazione e dell’evoluzione del Sistema Solare. Tenga anche conto che oggi, in più, c’è anche interesse nello studio degli esopianeti, cioè quelli degli altri sistemi. E molti di questi sono a distanze dai loro soli simili a quella fra Mercurio e il Sole.
Quanto è complicato dal punto di vista dei materiali inviare una sonda così vicino al Sole?
La sfida scientifica è accompagnata da una grande sfida tecnologica. È vero, abbiamo dovuto affrontare una serie di problematiche tecnologiche particolari, che si sono aggiunte a quelle già iniziali. I due satelliti che orbiteranno attorno al pianeta non solo saranno esposti alla radiazione solare, ma anche al flusso di calore che arriva dal pianeta stesso. Si è dovuto pensare a come dissipare il calore, come far funzionare le apparecchiature elettroniche. I radiatori quindi dovranno difendersi dalle radiazioni ma anche buttare via il calore.
Quanto ci vuole per arrivare su Mercurio?
Il lancio è stato il 19 ottobre, dopodiché, per poter arrivare nell’orbita di Mercurio, saranno necessari alcuni fly by, cioè passaggi veloci a effetto fionda attorno a pianeti. In particolare, avremo due fly by con Venere, nel 2020 e 2021, e una serie di avvicinamenti con lo stesso Mercurio. Ne sono previsti 6, tra il 2021 e il 2025. E finalmente, intorno alla fine del 2025, dovremo entrare nell’orbita stabile con entrambi i satelliti. Dopodiché parte la fase di operatività che dovrebbe durare dai 2 ai 3 anni.
Caspita, quindi non è fattibile arrivare dritti nell’orbita.
Assolutamente no, per entrare nell’orbita bisogna arrivare con una velocità relativa sufficientemente piccola che ci permetta poi di inserirci in orbita coi motori di bordo.
A che velocità vanno i motori del modulo di trasporto?
In realtà qui una velocità ha poco senso. Abbiamo dei motori ionici, ma il più grande aiuto ce lo dà l’effetto fionda del passaggio di fianco ai pianeti. Il dispendio d’energia dei motori ionici è minimo, perché il lavoro grosso lo fa la forza gravitazionale dei pianeti.
Ha detto motori ionici? Ma questo è letteralmente Star Trek.
Sono motori di nuova generazione che non sfruttano combustione di propellenti ma fasci di ioni di xeno sparati fuori da un campo elettromagnetico. Essendo più leggeri degli atomi combusti dai normali propulsori hanno una spinta minore ma costante e duratura. Quindi funzionano meglio per viaggi lunghi, che richiedono un basso dispendio di “carburante”.
Ogni missione viene lanciata dai territori della Francia Oltremare?
La stazione di Kourou, nella Guiana Francese, è quella usata dall’ESA per le sue missioni, compresa Bepi Colombo. Può accadere che, se una missione è in collaborazione con un’altra agenzia, come quella americana, ci si possa appoggiare ai centri di lancio della NASA. O viceversa. A livello di lanciatori, le esigenze possono cambiare a seconda della missione e delle agenzie coinvolte.
Attualmente l’ESA quante missioni ha in corso?
In questo momento abbiamo dei satelliti in viaggio nel Sistema Solare: quindi Mars Express intorno a Marte da oltre 10 anni, Exomars TGO sempre attorno a Marte è arrivato da pochi mesi. Abbiamo una missione chiamata Cluster attorno alla Terra che sta studiando i campi magnetici e la loro interazione coi flussi solari. Poi abbiamo altre missioni in collaborazione e in preparazione. A queste vanno aggiunte le missioni telescopio. Sono un bel numero, ecco.
A grandi linee, quanti italiani sono coinvolti in queste missioni?
Un numero preciso non glielo so dare. A seconda dei vari settori esterni a quelli scientifici, che possono variare dal monitoraggio dei satelliti, osservazione della Terra, lanciatori, ecce, credo che l’Italia in termini di personale si piazzi al terzo o quarto posto. Significa un numero considerevole di persone.
Quanto è costata la missione Bepi Colombo?
Questa è una domanda sempre complicata. Bisogna un attimo chiarire cosa si intende per costo. C’è un costo di realizzazione della missione, che complessivamente per l’ESA ha superato più o meno il miliardo di euro, all’incirca 1,2 o 1,3 miliardi. A questa cifra però va aggiunto l’ulteriore contributo che i paesi membri hanno incluso per realizzare gli strumenti di bordo. Molto spesso, l’ESA cura la parte satellite, operazione e integrazione ma gli strumenti vengono costruiti con risorse dei paesi membri. Ed è sempre difficile quantificare costi di quest’ultima fase, perché intervengono nel calcolo anche variabili come il costo della manodopera. Nel nostro caso va aggiunto ancora il contributo del Giappone con il suo satellite. C’è poi una possibilità che le missioni vengano estese nel caso in cui le apparecchiature e le sonde dovessero continuare a funzionare perfettamente anche dopo il periodo di durata previsto. In quel caso ovviamente ci saranno delle spese aggiuntive.
Quali sono gli incidenti più più comuni che possono capitare in una missione del genere?
Facendo sempre tutti gli scongiuri del caso, qui si parla di On/Off. Quando accendi i razzi di lancio sai che deve funzionare tutto alla perfezione e che non puoi spegnere tutto e riprovare. Razzo, traiettoria, comunicazione devono funzionare senza intoppi. Ariane comunque è uno dei migliori lanciatori a livello mondiale e può vantare un team preparatissimo. Nella fase di volo invece si punta sempre a tecnologie consolidate e affidabili. A bordo abbiamo sempre dei sistemi cosiddetti di ridondanza. Per cui, se c’è bisogno di un solo collegamento fra due dispositivi, a bordo ne verrà montato un altro di riserva, in caso di malfunzionamento del primo. Ci sono molti doppioni, ecco. Infine, siccome la missione presenta un numero elevato di strumenti—10/11 per ognuno dei due satelliti—, si cerca comunque di adattare la missione in base agli strumenti funzionanti. Quando costruiamo un satellite, ne realizziamo sempre tre modelli: c’è un primo modello termico-strutturale che deve dimostrare la solidità strutturale e termica, un secondo modello di qualifica che viene stressato più del dovuto per garantire che i moduli siano resistenti e infine c’è il modello di volo, che è quello che poi viene effettivamente lanciato. Quindi prima di mandare nello spazio qualcosa siamo ben sicuri della qualità dei macchinari. Mars Express sta viaggiando nel Sistema Solare da oltre dieci anni e ancora se la sta spassando.