“Nero come il sangue” è un podcast che è un’enciclopedia dell’omicidio | Rolling Stone Italia
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“Nero come il sangue” è un podcast che è un’enciclopedia dell’omicidio

Il nuovo podcast di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi – una coppia ben nota nel mondo della narrativa crime – ricostruisce contesto, moventi e dinamiche dei 20 casi di omicidio più famosi della Storia

“Nero come il sangue” è un podcast che è un’enciclopedia dell’omicidio

Nell’ambito della narrativa crime Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi ormai sono una coppia rodata: con numerosi libri e progetti portati avanti insieme. Un sodalizio culminato negli scorsi giorni con l’uscita di Nero Come Il Sangue, il loro ultimo podcast debuttato il 14 giugno su Audible.

Definirlo podcast, però, può risultare un po’ riduttivo: Nero Come Il Sangue è una specie di compendio della storia dell’omicidio. Una collezione di killer e vittime che parte dall’inizio di questo millennio, e scende a ritroso fino alla prima metà dell’Ottocento. L’omicidio Versace, Jeffrey Dahmer, Unabomber, Angelo Izzo, Charles Manson, Wilma Montesi, Jack lo Squartatore: 20 episodi che passano in rassegna alcuni degli omicidi più efferati della storia. Ricostruendo il contesto, i moventi, e le dinamiche. Li abbiamo intervistati.

Come è nata l’idea di realizzare questa “storia dell’omicidio”?
Lucarelli: Di solito è Massimo che ha le idee geniali per i libri e le altre cose che abbiamo fatto insieme. Abbiamo raccontato tante brutte storie, sotto diversi punti di vista, ma non avevamo ancora messo in fila le cose per una vera e propria “storia”. Massimo mi ha proposto di farlo e come al solito ho accettato con entusiasmo.
Picozzi: Diciamo che fra le cose che avevamo fatto non ci eravamo mai del tutto dedicati al delitto più intollerabile: quello legato a una soggettività. Non al terrorismo o alla guerra, insomma. Abbiamo cioè cercato di trovare nella storia il perché del marchio di Caino. 

Quali criteri avete seguito nella scelta delle varie storie da raccontare? 
Lucarelli: Dovevano essere “esemplari”, in grado cioè di mettere in scena meccanismi criminologici ed illustrare la situazione in cui si sono verificati. Ovviamente, poi, dovevano essere anche in grado di offrire una trama e colpi di scena da romanzo giallo.

Le puntate seguono un ordine cronologico inverso, che sembra allargare la lente del concetto di omicidio nel tempo. Come si sono evoluti i concetti di delitto, di killer, e l’immagine mediatica di entrambi nel corso del tempo?
Picozzi: Potrà sembrare paradossale, ma non c’è molta differenza tra le cronache dei briganti narrate dai cantastorie e la retorica di un talk show televisivo.
Lucarelli: Mediaticamente è un problema di mode e di modi: ci sono momenti in cui un tipo di delitto va “di moda” e ci sono modi di raccontarlo che lo rendono tale.

E i modus operandi degli omicidi? 
Picozzi: I delinquenti si sono fatti più attenti. Si mettono i guanti, evitano le videocamere…. peccato (o per fortuna) che la gran parte degli omicidi sono crimini d’impeto. 

Qual è il filo rosso che tiene insieme tutte queste storie?
Picozzi: La casualità. Tutte le storie avrebbero potuto avere un finale diverso. La promessa di Durrenmatt insieme a Lettera al mio giudice di Simenon sono i romanzi che raccomando a ogni aspirante criminologo.  

Fra quelle selezionate ci sono storie di diversa matrice: killer idelogici come Unabomber, serial killer morbosi come Izzo o Bundy, killer “santoni” come Manson, casi politici e sociali come quello Montesi: come muta il racconto di una serie di omicidi in base al contesto?
Lucarelli: Il contesto è molto importante. Il tipo di omicidio matura anche in base a quello, naturalmente, ma io rifletto da un punto di vista narrativo. A seconda del contesto e dell’ambiente, sia storico che sociale, in cui il “fattaccio” si verifica, ci sono reazioni diverse che è interessante raccontare. Le emozioni della gente, anche le ossessioni, come nel caso Lindbergh, che mediatamente accompagnano il caso. Oltre alle conseguenze che questo potrebbe avere a livello politico, e le azioni del “potere” per guidarle.

Quali sono state le puntate le puntate più complesse da ricostruire?
Picozzi: Quelle più famose, quelle di cui si crede di sapere tutto e dove si rischia di non documentarsi abbastanza.
Lucarelli: Più che di complessità parlerei di “vastità”. Ci sono storie che se ne portano dietro tante altre. Il caso della Family di Manson, per esempio, è un vero e proprio universo, che permetterebbe di parlare di un intero periodo storico e di intere generazioni, oltre che di altri delitti correlati e altrettanto esemplari.

E quelle che vi hanno coinvolto di più?
Picozzi: Personalmente più viaggio all’indietro è più le vicende mi affascinano. Come se i crimini di un tempo fossero più “alti”. Che naturalmente è falso.
Lucarelli: Il caso di Wilma Montesi. È un modo molto efficace di raccontare e scoprire l’Italia di allora e soprattutto di oggi.

Potendo studiare e mettere in fila così tanti casi diversi, in un lasso così lungo di tempo, c’è qualcosa che vi ha colpito del quadro completo, nonostante la vostra esperienza? Come siete usciti da questa lunga lavorazione?
Picozzi: Ormai siamo la copia di Fruttero e Lucentini. Basta che uno trovi una curiosità che l’altro rilancia. Il rischio è di non fermarsi. 
Dobbiamo aspettarci un seguito?
Lucarelli: Sicuramente. Io e Massimo siamo pericolosissimi “narratori seriali”!