L’ultimo hamburger del padre degli hamburger (in Italia) | Rolling Stone Italia
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L’ultimo hamburger del padre degli hamburger (in Italia)

Eugenio Roncoroni ha detto "basta" al piatto che lo ha reso celebre, e che ha reso celebre un pezzo di cultura statunitense anche da noi. Per un ultimo morso, accomodarsi davanti a una costruzione di circa 10 centimetri in altezza

L’ultimo hamburger del padre degli hamburger (in Italia)

L'ultimo hamburger di Eugenio Roncoroni

Foto: press

Che sapore ha un addio? Combina la succulenza di hamburger di manzo e pancia di maiale glassata con il crunch di anelli di cipolla in pastella alla birra scura, la grassezza di Cheddar e Monterey Jack (formaggio californiano) con l’acidità di lime e cipolle pickled. Ad accostare sapientemente in un panino tanti gusti e consistenze, lo chef milanese (di madre americana) Eugenio Roncoroni, che ha creato il suo ultimo hamburger e lo ha affidato ad Hamerica’s. Il brand italiano di cucina americana ha potuto così inserire The Last Burger d’autore nel menu dei suoi 30 ristoranti, da Aosta a Trieste, da Milano a Roma. Una limited edition proposta a maggio in tutti i locali della catena, e ancora a giugno nel capoluogo lombardo, a Padova e nella Capitale.

La notizia, per quanto gustosa, è velata di nostalgia. Se ormai mangiamo, in ogni dove, hamburger (cosiddetti) gourmet lo dobbiamo proprio a Roncoroni e al suo socio e amico Beniamino Nespor (scomparso nel 2016), che sulla ricetta americana e relative declinazioni hanno costruito la fortuna del loro primo locale meneghino, oltre un decennio fa. «Con Beniamino siamo stati artefici inconsapevoli del successo dell’hamburger» – riflette lo chef – «che è poi stato una parte consistente di tutto il mio percorso successivo». Un percorso in perfetto equilibrio tra street food e fine dining, cultura gastronomica statunitense, solide basi francesi e influenze asiatiche.

Roncoroni non si è mai tirato indietro di fronte alle collaborazioni, purché con partner di cui potesse sposare la visione e capaci, di contro, di rispettare la sua. In questo ha trovato una buona sponda nel concept di Hamerica’s: «Ho voluto dare una ricetta a un gruppo molto solido, con cui mi sono trovato bene anche umanamente e che, pur essendo una catena, ha sempre cercato di interpretare la cucina americana in una maniera onesta. Credo sia stata una bella sfida».

La ricetta ha unito lo stile asciutto della East Coast, nello specifico newyorkese, alla più straripante fantasia californiana, le contaminazioni orientali al BBQ, con cui non di rado l’hamburger si incrocia: «Loro sono stati bravissimi, con una concezione ancora artigianale del lavoro sono riusciti a replicare preparazioni non semplicissime come la lunga cottura della pancia o i tanti passaggi degli onion ring marinati, pastellati, impanati nel panko giapponese e fritti».

Il risultato è un panino alto qualcosa come 10 centimetri (forse oltre) tra bun, carni e compagnia cantante. Super scenografico, iper fotogenico, fatalmente impegnativo da gestire. I fan di Roncoroni della prima ora ancora ricordano l’imbarazzo nell’affrontare un hamburger di tal fatta al banco o ai tavoli dell’elegante ristorante gastronomico degli inizi. Come loro, milioni di appassionati del genere iper imbottito, all over the world. Tanto che in rete girano i tutorial più disparati per consumarlo senza sprizzare salsa e perdere i pezzi: chi lo gira sottosopra, chi lo tiene con prese rocambolesche, chi lo smonta e persino chi – orrore! – lo taglia in 4 spicchi con forchetta e coltello.

Roncoroni hamburger

L’ultimo hamburger di Eugenio Roncoroni, con Hamerica’s. Foto: press

«Ho scoperto che c’è un sacco di gente in difficoltà», concorda Roncoroni. «Ma tranquilli, c’è una tecnica: è stato uno dei primi insegnamenti di mia mamma». L’apprezziamo in un video (visto grazie all’amico Emanuele Bonati di Scatti di Gusto) in cui il cuoco illustra gli insegnamenti materni, step by step: schiacciare la calotta dall’alto premendo al centro per compattare e ridurre lo spessore, sfilare lo stecchino (sembra banale, eppure), afferrare il panino dal lato opposto alla bocca, addentare da sotto, affondando nel pane gli incisivi inferiori, e solo alla fine chiudere il morso in alto.

Imparata la lezione, forse comprendiamo un po’ di più la recente moda per gli smash burger, solo l’ultima delle tante che circolano intorno a questa preparazione. Dove sta andando la “gourmetizzazione” (pardon) della polpetta? Roncoroni lo smash tutto sommato lo apprezza, per semplicità e immediatezza («il preferito quando sono fuori con i bambini»), e riconosce che in generale la media si sia molto alzata, seppure con alcune derive un po’ confuse: «Sono sempre stato un sostenitore della natura americana della ricetta, non ho mai apprezzato cose come l’hamburger con la parmigiana o l’utilizzo di formaggi nostrani come mozzarella o provola: interpretazioni che non mi hanno mai attirato più di tanto. Pur con mille sfaccettature, sono sempre per una forte identità. Cosa difficile: in Italia ci sono tanti preconcetti sulla cucina americana ed è un peccato, perché Oltreoceano c’è anche moltissima qualità».

Qualità è la parola chiave della sua nuova apertura: Roncoroni Classici Gastronomici. Il ristorante, piccino, nel cuore del Ticinese davanti alle Colonne di San Lorenzo, conta pochi tavoli tra sala e dehors, con qualche seduta in più per l’aperitivo e un bancone dietro al quale rifinisce, insieme alla socia Cristina Giordano, i piatti che escono dalla piccola cucina dove opera Rosilda, cuoca brasiliana con formazione da steak house.

Per inciso, il cuoco milanese ama le brigate al femminile e ha sempre saputo valorizzare quelle che, negli anni, sono state le sue collaboratrici. Chi scrive ha un amore incondizionato per Francesca Lecchi, storica sous chef oggi alla guida del suo primo ristorante, Ai Fiori Blu. E la stessa Giordano ha ormai con Roncoroni un sodalizio affermato, iniziato con Pas, il “vegetarian trip” a pedali che ha girato la città nell’ultimo anno e mezzo (fino a luglio in pianta stabile serale al caffè letterario Colibrì). «Le donne sono naturalmente più ordinate e portate ad avere una maggiore serietà. Magari, nell’arco di una giornata così lunga come è quella in un ristorante, possono peccare in “prestanza fisica” rispetto a un ragazzo ventenne rampante che scala i palazzi. Ma sanno compensare con organizzazione e precisione».

Attitudini più che preziose in una cucina come quella dei Classici, che riparte dalle origini: «Se negli ultimi anni c’è stata la tendenza a levare, sto ricominciando a usare molte erbe e molte spezie, recupero una concezione delle carni prettamente americana ma sto anche tornando a cucinare come faceva la nonna, lunghe cotture nei pentoloni, qualcosina in forno, a breve una piccola brace». Base di partenza gli ingredienti, quelli che «riconosciamo esattamente come l’odore di casa», si legge nella “dichiarazione d’intenti” che apre il menu.

Tanta ricerca sia in quelli proposti in purezza che in quelli variamente lavorati. Le bresaole artigianali “estreme” sono di Sergio Motta e del valchiavennasco Denis Giacomini. Dalla Valchiavenna arriva anche il burro, pazzesco, salato e profumato con polvere di alloro, servito soffice con il pane caldo. Sono di un produttore calabrese (e, a memoria, prima d’ora li avevamo provati solo in Sicilia) i ventricelli, ovvero stomaci di baccalà proposti sott’aceto con aglio nero, peperoncino amarillo e pico de gallo. Per i palati forti, imperdibile il quinto quarto del giorno davvero “surprise”: secondo mercato, accanto a trippe e frattaglie può prevedere tagli hardcore come i testicoli di bovino.

Ci sono piatti che raccontano la formazione internazionale di Roncoroni, come il patè di fegatini del maestro siculo-californiano Angelo Garro. E non mancano i signature, su tutti il torchon foie gras “maison”, intitolato al mai dimenticato Beniamino Nespor. Piatto celebre almeno tanto quanto l’hamburger che no, non ci sarà più. «Per me è stato un onore raggiungere quel successo e ne sono felicissimo. Ma è il momento di dare un taglio a ciò che è stato: consegnato ad Hamerica’s, non lo ritroveremo da Classici».

Del resto, come scrive ancora nell’introduzione alla carta del ristorante, «questo menu non racconta il passato, ma è la proiezione più attuale dei sapori che ci hanno accompagnato negli anni». Però, è stato bello arrivare fin qui – anche – mordendo un hamburger.

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