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L’ultima occasione

Dieci anni fa, con Obama, i Democratici hanno perso una grande occasione per affrontare i cambiamenti climatici. Ora possono riprovarci, ma prima devono riuscire a imparare dagli errori del passato

L’ultima occasione

Patrick Pleul/picture alliance via Getty Images

Barbara Boxer era in Groenlandia nel luglio 2007, a guardare pezzi di ghiaccio scivolare dai ghiacciai nell’oceano, il cui livello si innalzava sempre più. Aveva portato lì con lei dei senatori repubblicani, sperando che un confronto in prima persona con il cambiamento climatico li avrebbe persuasi ad agire. E mentre gli iceberg gli passavano davanti, l’allora senatrice pensava che i suoi colleghi potessero essere persuasi a votare sì a una legge per trasformare gli Stati Uniti da uno dei Paesi che inquina di più al mondo in un leader nell’affrontare la crisi climatica. “È stato un momento in cui ho pensato, ‘Ce la faremo. Funzionerà”, ha detto Boxer a Rolling Stone.

Aveva torto. Lo avrebbe scoperto con certezza il 22 luglio 2010, quando il leader della maggioranza al Senato Harry Reid aveva riunito i suoi collaboratori principali per un incontro privato. I democratici avevano 59 seggi al Senato e avevano già approvato alla Camera un importante disegno di legge sul clima. Ma Reid aveva brutte notizie: aveva parlato con la Casa Bianca, e avevano deciso di abbandonare il tema del clima. I gruppi ambientalisti e i democratici più attenti al tema hanno protestato, ma la verità era che Reid non stava uccidendo il disegno di legge sul clima, gli stava facendo l’eutanasia: già da mesi, dopo un inizio promettente, la spinta sull’argomento era andata persa e persino coloro che sostenevano il disegno di legge erano restii a metterlo ai voti perché sapevano di non avere i 60 voti necessari per approvarlo.

Un decennio dopo, molte delle persone che hanno lavorato a quel disegno di legge rimangono ossessionate dal suo fallimento. “Se fosse diventato legge, ora parleremmo degli ultimi passi da fare prima del 2030 per arrivare alle emissioni zero”, afferma il senatore Ed Markey, ex deputato alla Camera nel 2009 e coautore del progetto di legge sul clima Waxman-Markey. “Avremmo creato milioni di nuovi posti di lavoro. La rivoluzione dei veicoli solari, eolici ed elettrici avrebbe già preso piede”.

Invece, negli ultimi dieci anni la narrativa distopica sul clima è diventata realtà: famiglie californiane che guidano attraverso cieli anneriti mentre fuggono da un paradiso in fiamme; Alluvioni bibliche che diventano eventi quasi annuali nel Midwest; tempeste che colpiscono la costa americana con una frequenza allarmante. E mentre le temperature continuano a salire, gli Stati Uniti continuano a pompare nell’atmosfera gas serra che amplificano il problema.

Dopo il fallimento del disegno di legge, la coalizione che lo aveva sostenuto era andata in pezzi mentre il Congresso, la Casa Bianca e i partner ambientalisti si incolpavano a vicenda. Ma nessuno era in grado di dire come mai un presidente popolare e sostenuto da una grande maggioranza al Congresso non sia riuscito a mantenere quella che era una delle sue maggiori promesse elettorali. La questione è tornata rilevante di recente, ora che i Democratici hanno ripreso il controllo del governo e vogliono di nuovo di affrontare il cambiamento climatico, anche se questa volta con un margine di errore molto minore.

Per cercare di capire cosa sia andato storto la prima volta e come si potrebbe evitare di rifare adesso gli stessi errori, Rolling Stone ha intervistato più di due dozzine di funzionari dell’amministrazione, legislatori, e leader ambientalisti (attuali ed ex) coinvolti in vario modo nel tentativo ambientalista di Obama. A un decennio di distanza da quel fallimento, le conversazioni con i funzionari rivelano un quadro diverso di ciò che è andato storto nel 2009-10.

C’erano ostacoli esterni (la Grande Recessione, l’Obamacare), e c’erano sicuramente nemici (come Lindsey Graham) e funzionari che non hanno capito il problema (i membri dello staff di Obama Rahm Emanuel e David Axelrod erano, a quanto pare, nella migliore delle ipotesi indifferenti al problema climatico). Ma lo sforzo è stato condannato da una lettura errata del momento politico, e in particolare da una valutazione sbagliata di chi deteneva veramente il potere nel Partito Repubblicano.

I democratici hanno speso la maggior parte delle loro energie pre corteggiare gli amministratori delegati delle grandi aziende, credendo che se li avessero convinti i repubblicani li avrebbero certamente seguiti. Ma il GOP si stava rapidamente trasformando in quel golem tossico fatto di estremismo stile Tea Party, e cinismo stile Mitch McConnell, finanziato con i soldi dei suoi mega-donatori. “Il terreno ci è cambiato sotto i piedi, e già nella primavera del 2010 il semplice fatto di avere voci importanti nel mondo degli affari a sostegno di un progetto di legge non era più abbastanza per coinvolgere i Repubblicani”, spiega Nathaniel Keohane dell’Environmental Defense Fund. E stando troppo attenti a quello che succedeva nelle sale riunioni delle grandi aziende, i Democratici non sono riusciti a costruire le basi di sostegno popolare per la lotta alla crisi climatica di cui avrebbero avuto bisogno quando sono iniziati gli attacchi del Tea Party.

Nel criticare lo sforzo dell’era Obama, Markey avverte che molto di ciò che è oggi ovvio allora non lo era per niente. “Si vive la vita in avanti, ma la si capisce al contrario”, dice. A volte, tuttavia, capita di avere una seconda possibilità. I Democratici adesso stanno facendo promesse ancora più grandi sul clima, ma le stesse forze che hanno strangolato l’ultima spinta in quella direzione si stanno attivando per rifarlo, incluso un Partito Repubblicano che è diventato ancora più estremo. E con zero margine di errore al Congresso, i Democratici devono imparare dai loro errori del passato se vogliono evitare un fallimento che il pianeta non può permettersi. “L’unica cosa che è chiara”, afferma David Doniger del Natural Resources Defense Council, “è che stiamo finendo il tempo”.

Nella primavera del 2008 Newt Gingrich si è seduto su un divanetto con Nancy Pelosi. Stavano girando uno spot per la campagna di sensibilizzazione sul clima di Al Gore. I due si sono guardati negli occhi e hanno concordato sull’urgente necessità di agire per contrastare il cambiamento climatico. Oggi anche solo questa è una cosa impensabile – eppure quando si è candidato alla presidenza nel 2011 Gingrich ha detto che il suo vero scopo era far passare il messaggio che “non dovremmo aver paura di discutere la sinistra, anche sull’ambiente”.

Il suo scherzare con Pelosi ci ricorda che nel periodo prima dell’elezione di Obama, c’erano nel Partito Repubblicano diverse voci a favore della lotta alla crisi climatica. Certo, c’era anche il senatore dell’Oklahoma Jim Inhofe che sosteneva che il cambiamento climatico fosse una bufala del Nuovo Ordine Mondiale, ma sette senatori repubblicani avevano votato quell’estate a favore di un piano per limitare le emissioni di gas serra, e John McCain aveva vinto le primarie del GOP proponendo una piattaforma per il cambiamento climatico simile a quella di Obama.

Anche nel mondo degli affari si stava vivendo un cambiamento simile. C’erano aziende che combattevano qualsiasi tentativo di raccontare la verità sul clima, ma anche alcuni amministratori delegati aziendali che erano – con vari gradi di sincerità – disposti a sedersi al tavolo. Questo sentimento aveva prodotto la US Climate Action Partnership (CAP), una coalizione di gruppi industriali e ambientalisti che, a partire da negoziati segreti nel 2006, miravano a costruire un piano per il clima con cui tutti potessero convivere. Avevano raggiunto un compromesso su un sistema chiamato “cap and trade”, che richiedeva a chi inquinava di ottenere dei permessi per le loro emissioni di gas serra, limitando il numero totale di permessi disponibili al fine di ridurre le emissioni complessive. Chi possedeva un permesso ma non lo usava avrebbe potuto vederlo a qualcuno che voleva inquinare ma non aveva trovato un modo di procurarselo – creando di fatto un mercato per l’inquinamento. Alcuni gruppi ambientalisti avevano dubbi sul “cap and trade”, ma è stato una vittoria politica: sia Obama che McCain si erano detti a favore, rivendicandola come una soluzione pragmatica e basata sul mercato al problema.

Dopo la vittoria di Obama, con i Democratici che avevano ottenuto una maggioranza enorme al Congresso, i membri della CAP avevano cercato di portare le loro idee a Capitol Hill. Pensavano che se tutti, dal CEO della BP al capo del Consiglio per la difesa delle risorse naturali, erano in grado trovare un accordo sul “cap and trade”, il Congresso non avrebbe potuto dire di no.

Questa teoria era stata messa alla prova la prima volta alla Camera, dove Markey e Waxman avevano introdotto il loro disegno di legge sul “cap and trade” nel 2009, una misura che introduceva anche uno standard per l’energia rinnovabile e miliardi di dollari in sussidi per la creazione di posti di lavoro “verdi”. La Casa Bianca sperava che la misura passasse con ampio sostegno. I due autori avevano passato mesi a lavorare con i Democratici più moderati per rendere la proposta di legge più digeribile all’industria del carbone e a quella agricola. I gruppi ambientalisti non erano stati contenti di queste concessioni – Greenpeace aveva ritirato il suo supporto, dicendo che il disegno di legge faceva troppo poco per tagliare le emissioni e dava troppi soldi in sussidi per impianti di produzione di “carbone pulito” – ma la maggior parte degli ambientalisti speravano ancora di ottenere il sostegno di un vasto blocco di Democratici.

La vigilia del voto sul clima alla Camera aveva coinciso con l’annuale picnic del Congresso. Mentre i legislatori si riunivano sul prato della Casa Bianca, Obama aveva incontrato i deputati ancora incerti nello Studio Ovale, chiedendo loro cosa volessero in cambio di un “sì”. Era il tipo di cosa che Obama odiava, e un alto funzionario della Casa Bianca racconta che alcuni di quegli incontri erano scivolati nell’assurdo: portato allo Studio Ovale per discutere un disegno di legge volto ad affrontare una crisi globale, un deputato aveva passato la maggior parte del suo tempo a provare per convincere Obama a fargli degli autografi su una serie di oggetti (il deputato aveva ottenuto gli autografi ma aveva comunque votato no sul disegno di legge).

Alla fine il disegno di legge era passato 219 a 212. Nonostante fosse stato modificato per essere più favorevole alle imprese e nonostante le aggiunge in favore dei combustibili fossili, i Repubblicani avevano votato contro 168 a 8 e anche 44 Democratici l’avevano bocciato. Già solo questo avrebbe forse dovuto far pensare che la strategia di appellarsi alle multinazionali non aveva funzionato, ma era stata comunque una vittoria.

Poi si era scatenato l’inferno. I Democratici si erano ritrovati sotto assedio da parte di un nascente movimento Tea Party che era infuriato per l’Obamacare e per il “cap and trade” – lo chiamava “cap and tax” e pensava che il governo avrebbe preso il controllo del settore energetico costringendo le famiglie americane a pagare bollette dai prezzi folli per avere l’elettricità solo quando c’era il sole e tirava vento.

Ovviamente si trattava di argomentazioni senza senso, visto che il disegno di legge mirava a eliminare gradualmente i combustibili fossili (anche troppo gradualmente, secondo molti esperti) sovvenzionando nel frattempo le energie rinnovabili. Ma secondo Tom Perriello, ex deputato Democratico della Virginia che ha perso il seggio nel 2010 dopo aver votato a favore del “cap and trade”, i Democratici non sono riusciti a contrastare efficacemente i messaggi del Tea Party. “Non abbiamo raccontato una storia diversa che collegasse lo stimolo economico al settore, la bolletta della luce e il cambiamento climatico al rilancio del sogno americano”, dice Perriello. “Il risultato è che è sembrato solo un provvedimento molto costoso, che secondo i Repubblicani avrebbero pagato le famiglie americane”.

Nel frattempo, i sostenitori dei combustibili fossili come i fratelli Koch stavano fornendo al Tea Party degli argomenti per mettere in discussione sul cambiamento climatico ed erogando un sacco di soldi alla campagna contro il “cap and trade”. Era difficile capire esattamente da dove stesse arrivando tutto quel denaro e oggi alcune delle persone che hanno lavorato al disegno di legge sospettano che alcune società coinvolte stessero partecipando ai negoziati sul “cap and trade” e contemporaneamente stessero finanziando anche gli sforzi per affondarlo.

“A quel punto il gioco politico è cambiato”, racconta Perriello. In altri tempi, i deputati potevano sopravvivere riunendo le loro costituenti e stringendo un accordo sulla base di un compromesso che andasse bene a tutti. Ma l’afflusso di finanziamenti esterni ha cambiato quel calcolo. “Invece che dire ‘questo non ci piace ma è un punto di partenza’, questi gruppi industriali hanno ottenuto dalla legge tutto quello che volevano – ossia una versione molto alleggerita che ha fatto incazzare gli ambientalisti – e poi hanno comunque speso un sacco di soldi per attaccarla. Così facendo potevano far vedere che si impegnavano e allo stesso tempo fare i loro interessi”.

Un altro difetto nella strategia dei Democratici era che allontanava la base del partito. La retorica sui “mercati del carbonio” e sullo “scambio di quote di emissioni” non funzionava con gran parte della base Democratica che si era trovata, che per generazioni era stata penalizzata dal mercato. E così i critici del “cap and trade” hanno sopraffatto i suoi sostenitori. Quando Perriello ha cercato di spiegare ai suoi elettori il suo voto a favore non è stato nemmeno ascoltato.

Nel semestre successivo, mentre il Tea Party era all’attacco, le parti si sono bloccate in una lotta mortale sul tema dell’assistenza sanitaria – causando un ritardo disastroso per la legge sul clima. “La possibilità di far passare sia l’Obamacare che il disegno di legge contro il cambiamento climatico era subordinata al fatto che la prima passasse entro l’autunno del 2009”, spiega Phil Schiliro, ex Direttore degli affari legislativi di Obama.

Nonostante tutto, nella primavera del 2010 sembrava ancora che il Senato potesse approvare una sua proposta di legge sul clima. Lo sforzo più promettente è venuto dai “tre amigos”: il democratico John Kerry, l’indipendente Joe Lieberman e il repubblicano Lindsey Graham, un trio “tripartisan” che voleva di riunire sinistra, destra e centro sul tema del clima. Graham non era la prima scelta tra i possibili partner dello sforzo sul clima in seno GOP: quella probabilmente sarebbe stata John McCain. Ma le ferite frutto del suo insuccesso alle presidenziali del 2008 erano ancora troppo fresche. McCain “era gelido con noi”, ricorda Carol Browner, zar del clima e dell’energia di Obama. “Ho avuto degli incontri sul cambiamento climatico con McCain ma lui era ancora arrabbiato per come erano andate le elezioni”.

McCain era frustrato dal fatto che durante la sua sfida con Obama gli ambientalisti lo avessero attaccato, dopo che era stato per anni il Repubblicano più attento cambiamento climatico. Quella primavera ogni possibilità che si unisse allo sforzo per il clima era svanita quando alle primarie si era ritrovato di fronte a uno sfidante del Tea Party. Per questo la scelta era andata su Graham. “[Graham] mi ha chiamato all’improvviso”, racconta Browner. “Un giorno rispondo al telefono, ed è Lindsey Graham: ‘sarò il tuo migliore amico, Carol, perché sul cambiamento climatico la penso come te’”.

Dopo mesi di pianificazione, negoziazioni e ritardi, finalmente era stata fissata una data per il momento clou. Il trio doveva rimanere unito e presentare una sua versione del disegno di legge sul “cap and trade” in grado di ottenere i 60 voti necessari per superare l’inevitabile ostruzionismo dei Repubblicani di Mitch McConnell al Senato. La data scelta era il 26 aprile.

Solo che il momento clou non è mai arrivato. Tutto era andato in pezzi nel giro di due giorni. Il punto culminante dell’intero sforzo era arrivato il 23 aprile, quando Kerry aveva annunciato trionfalmente che le grandi aziende erano d’accordo con la proposta di legge: le tre principali compagnie petrolifere e il principale gruppo di lobby dei servizi pubblici erano a favore, e l’American Petroleum Institute aveva generosamente acconsentito non attaccare la legge. Per ottenere ciò Kerry aveva dovuto accettare una serie di emendamenti a favore delle grandi aziende – tra cui uno che ritardava l’entrata in vigore dei limiti alle emissioni – ma alla fine aveva ottenuto quel sostegno dal mondo del business su cui i Democratici avevano scommesso per ottenere i voti dei Repubblicani.

Ma poi il giorno successivo Graham ha mollato. La ragione ufficiale era stata che Reid aveva ucciso le possibilità del disegno di legge di passare promettendo in cambio la riforma dell’immigrazione. In più era ancora furioso che una fonte anonima della Casa Bianca avesse detto a Fox News che Graham stava cercando di ottenere l’inserimento nella legge di una tassa sul gas. Ma allora come adesso ci sono dubbi su quelle due scuse. “Abbiamo perso lo slancio quando una grande azienda del carbone non ha scatenato una grossa campagna contro Lindsey Graham nel suo stato”, spiega John Kerry a Rolling Stone. “In quel momento le cose si sono fatte più difficili.” (L’ufficio di Graham non ha risposto a una richiesta di commento).

Gli ambientalisti sono ancora lividi per il tempo e l’energia spesi nel tentativo di ottenere il sostegno di Graham. “Non credo che avrebbe mai votato per un disegno di legge. Non ho mai creduto alle parole del senatore Graham e non credo che in realtà volesse votare per il disegno di legge ”, afferma Michael Brune, direttore esecutivo dell’organizzazione ambientalista Sierra Club. “Di conseguenza, penso che alcuni dei negoziatori abbiano perso mesi e mesi di tempo per niente”.

Kerry e Lieberman avevano continuato a lottare per trovare i 60 voti necessari al passaggio del disegno di legge. A maggio, avevano rilasciato una bozza ma nessun Repubblicano l’aveva firmata, nemmeno Graham che si era giustificato dicendo che metteva troppe restrizioni sull’estrazione petrolifera offshore – proprio nel momento in cui il caso Deepwater Horizon faceva sgorgare oltre 200 milioni di galloni di petrolio nel Golfo del Messico.

I gruppi ambientalisti “continuavano a far trapelare alla stampa che i numeri di questo disegno di legge stavano aumentando, quando stavano scendendo”, racconta Jim Manley, all’epoca direttore delle comunicazioni di Reid. “In privato, i dubbi aumentavano”. Alla fine di luglio, Reid ha detto ai legislatori che si voltava pagina. Il disegno di legge non sarebbe mai stato votato. “Quel giorno sono stati fatti grandi discorsi” sul tornare presto sul tema del clima, racconta Darren Goode, il giornalista che ha dato la notizia della decisione di Reid sul clima. “Ma praticamente tutti sapevano che quella era stata l’unica vera possibilità di farlo, ed era andata”.

C’è qualche speranza adesso? I Democratici di Joe Biden possono contare su 50 voti del Senato – uno dei quali appartiene a Joe Manchin del West Virginia, che una volta ha pubblicato uno spot elettorale in cui sparava un proiettile attraverso il disegno di legge sul “cap and trade”. Possono fare adesso quello che non sono riusciti a fare con una maggioranza ben maggiore sotto Obama?

Se ripongono nuovamente le loro speranze nei Repubblicani, la risposta è quasi certamente no. “La realtà è che l’amministrazione Obama desiderava disperatamente un sostegno bipartisan per tutto ciò che faceva. Purtroppo, è come aspettare Godot: non arriva mai “, sostiene Markey. “Oggi, le persone ripensano a ciò che è accaduto e si rendono conto che i Repubblicani tireranno ogni negoziato il più in lungo possibile, per poi non appoggiarci comunque”.

Il rischio di fare da soli con una maggioranza così ristretta, invece, è che i Democratici eviteranno di spingere per cambiamenti radicali e mireranno invece a piccole riforme che hanno maggiori possibilità di successo. Secondo il senatore Sheldon Whitehouse, la voce più attenta al cambiamento climatico tra i Democratici, ciò è politicamente più facile, ma è un compromesso che il pianeta non può permettersi. “La natura ci ha messo sotto esame”, dice, “e se puntiamo a rendere felici tutti i politici e tutti i gruppi di pressione, non lo superiamo”.

Nel tentativo di avere successo questa volta, i Democratici stanno ripensando al loro primo tentativo e cambiando quasi tutto. Tanto per cominciare hanno riconosciuto che devono parlare di più di quello che i loro piani climatici faranno per le persone, piuttosto che di come funzionano. “Penso che in qualche modo ci siamo convinti che fosse meglio parlare di come avremmo fatto funzionare l’ingranaggio della politica invece di parlare di tutte le grandi cose che accadranno se affronteremo per bene il tema del cambiamento climatico”, afferma Keohane, l’economista del Fondo per la difesa ambientale.

Stavolta i legislatori si stanno lasciando alle spalle l’ossessione per il libero mercato dell’era Obama e stanno adottano piani climatici che si allineino meglio con un movimento più diversificato e progressista, che vede la protezione del clima come parte di uno sforzo più ampio verso la giustizia ambientale, economica e razziale. Markey, un senatore di 74 anni arrivato per la prima volta al Congresso quasi 50 anni fa, ha adottato il linguaggio della nuova generazione di attivisti dicendo che l’attuale movimento per il clima è sostenuto “dall’attivismo intersezionale di Black Lives Matter, del Sunrise Movement, di Indivisible, di organizzazioni indigene e native che spingeranno i leader a essere il più ambiziosi possibile “.

Questa volta i democratici non ripongono tutte le loro speranze in un unico disegno di legge sul clima, stile o la va o la spacca, ma piuttosto cercano di inserire disposizioni sul clima nella loro agenda legislativa. “Chiunque sia serio sull’argomento si preparerà e aspetterà solo l’occasione giusta per agire”, dice un membro dello staff del Congresso. A dicembre, i Democratici sono riusciti a far passare 35 miliardi di dollari di finanziamenti per le energie rinnovabili, compreso un piano per eliminare gradualmente gli idrofluorocarburi, un potente gas serra. È stata una delle conquiste legislative più importanti nella storia americana per quanto riguarda le energie rinnovabili, e non è stato nemmeno il punto principale di una legge che riguardava principalmente la riposta al Covid. Mantenere il clima fuori dai titoli dei giornali può aiutare a far passare le leggi sul tema con un voto bipartisan. Lo scenario ideale, secondo lo stesso membro dello staff del Congresso, è una proposta di legge sul clima che “passa e ottiene solo un articolo a pagina 6 sul Washington Post il giorno stesso, senza che se ne parli né prima né dopo”.

Una delle migliori opportunità per i Democratici è il disegno di legge sulle infrastrutture che intendono presentare entro la primavera. I dettagli sono ancora in fase di elaborazione, ma quello che sta prendendo forma è effettivamente un piano Marshall interno, sia per i lavoratori che per il clima. Con questo pacchetto i Democratici sperano di rinforzare la rete elettrica nazionale; obbligare i servizi pubblici a passare rapidamente alle fonti di elettricità a emissioni zero; espandere il trasporto pubblico e la rete ferroviaria ad alta velocità; finanziare le infrastrutture necessarie per passare alle auto elettriche e fare un massiccio investimento nelle energie verdi e nel creare posti di lavoro “verdi”.

Senza dubbio apprezzerebbero il sostegno del GOP per questi progetti, ma hanno già chiarito che andranno avanti in un modo o nell’altro. In pratica, ciò significa passare i disegni di legge tramite una disposizione bizantina del codice procedurale del Senato che consente di approvare alcune misure con una maggioranza semplice, invece che con i tipici 60 voti necessari per battere ogni ostruzionismo. Ma anche così i democratici hanno bisogno di tutti i loro deputati, compreso Manchin. Secondo Faiz Shakir, che ha gestito la campagna presidenziale 2020 di Bernie Sanders, possono ottenere quel sostegno rendendo evidenti i vantaggi collegati all’azione per il clima. “Uno dei modi più potenti in cui ha operato il New Deal di FDR era che pensava a progetti di investimento in ogni distretto congressuale in America, e penso che questo sia il modo in cui dovremmo pensare a come ripartire gli investimenti in infrastrutture e posti di lavoro”.

I Democratici dovranno anche ricostruire la loro credibilità di fronte alle persone che hanno sofferto per le politiche del passato, supportate dai Repubblicani come dai Democratici. “Se sei un minatore di carbone e ti dicessero, ‘Dopo cinque anni di transizione nel settore delle rinnovabili troverai un lavoro migliore’, saresti comprensibilmente scettico, perché nella tua esperienza negli ultimi 20 o 30 anni i politici ti hanno sempre fatto promesse di questo tipo senza rispettarle”, afferma Shakir.

La senatrice del Minnesota Tina Smith sta preparando un disegno di legge sugli standard per l’elettricità pulita che richiederebbe ai servizi pubblici di accelerare la loro transizione verso fonti di energia a emissioni zero, come l’eolico e il solare. Manchin si è già detto contrario, ma potrebbe cambiare idea se lo standard fosse combinato con la proposta che ha avanzato lo scorso marzo per concedere crediti d’imposta alle società dell’energia pulita che investono in aree dove si produceva carbone e che adesso stanno perdendo posti di lavoro.

Ma anche il piano climatico meglio costruito sarà attaccato dai Repubblicani, la maggior parte dei quali continua a essere schiavo degli interessi delle lobby dei combustibili fossili e di Donald Trump, che ha trascorso quattro anni alla Casa Bianca facendo tutto il possibile per garantire il dominio degli interessi delle grandi aziende del petrolio e del gas e per distruggere ogni traccia di sanità mentale nel partito. Per superare questo ostacolo, gli ambientalisti si affidano a quello che vedono come il più grande cambiamento rispetto al passato: il fatto che il pubblico chieda a gran voce un’azione in favore del clima.

Dieci anni fa, in generale gli americani erano a favore dell’ambientalismo, ma non ne erano particolarmente convinti. Il problema non era in cima al loro elenco di priorità. È stato anche per questo che i Democratici nel 2010 hanno cercato il sostegno delle grandi aziende nel tentativo di attrarre deputati moderati: avevano bisogno di coprirsi al centro, perché non agivano sull’onda di richieste provenienti dalla base della società in grado di imporre conseguenze politiche ai legislatori che si rifiutano di agire.

Un decennio di orrori climatici e la rinascita dell’ala progressista del Partito Democratico che si è mobilitata attorno al Green New Deal hanno cambiato tutto questo. Il clima adesso è costantemente in cima alla lista delle priorità dei Democratici, in particolare di quelli più giovani. Gli sforzi di gruppi come il Sunrise Movement hanno già fruttato: hanno spinto Biden a inserire il clima negli argomenti della sua campagna elettorale e a iniziare la sua presidenza con una serie di azioni sul tema.

Secondo Markey, la forza del movimento per il clima – e la volontà dei legislatori di ascoltarlo – potrebbe fare la differenza rispetto all’ultima volta. “Il disegno di legge Waxman-Markey è nato dall’alto, in un momento in cui dovevamo muoverci rapidamente”, dice Markey. “Ora abbiamo una forza esterna che fa pressione, un movimento di giovani impegnati e mobilitati. Abbiamo un esercito.”

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US