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Linda Tripp e le origini del whistleblowing

Tripp, morta l'8 aprile, era stata la testimone chiave nel caso Sexgate che aveva coinvolto Bill Clinton e Monica Lewinsky, e la dimostrazione che il whistleblowing negli Stati Uniti ha una lunghissima storia

TIM SLOAN/AFP via Getty Images

Un presidente nei guai con la giustizia, chiacchierato per le sue molte amanti e in difficoltà nel suo rapporto coi media, destinato a essere salvato dall’impeachment dallo scudo del suo partito. Facile capire di chi stiamo parlando: di Bill Clinton, ovviamente. Uno scandalo che racconta della polarizzazione politica americana ma soprattutto delle protezioni di cui godono i whistleblowers, quei testimoni chiave che svelano quelli che pensano essere reati commessi da esponenti governativi.

Linda Tripp, scomparsa l’8 aprile scorso per un cancro, era una di queste persone, la testimone decisiva nello scandalo del Sexgate, che coinvolgeva Monica Lewinsky e la sua relazione sessuale con il presidente. E cosa c’entrava Linda Tripp, un’impiegata di basso livello assunta da Bush Sr e trasferita dallo staff della nuova amministazione al Pentagono nel 1994?

Ex moglie di un ufficiale dell’esercito, con il padre italoamericano – il suo cognome da nubile era Carotenuto – Tripp non aveva nemmeno una laurea. Ma divenne amica di una giovane ex stagista della Casa Bianca, Monica Lewinsky, che le confidò della sua esplosiva relazione. Lei la registrò di nascosto e consegnò le carte al procuratore Kenneth Starr, che indagava su alcuni investimenti immobiliari sospetti da parte della famiglia presidenziale e sul suicidio di un avvocato del presidente, Vince Foster. Ma grazie alla deposizione della Tripp, l’inchiesta svoltò e inchiodò il presidente a due accuse: spergiuro, per aver negato sotto giuramento di avere una relazione extraconiugale, e ostruzione della giustizia, per aver pubblicamente ostacolato l’inchiesta di Starr.

Sappiamo poi che Bill Clinton venne assolto, nonostante la maggioranza repubblicana al Senato. Ma il ruolo di Linda Tripp, che perse il lavoro governativo al Pentagono soltanto perché la sua nomina era tecnicamente “politica”, fu decisivo. Il motivo per cui una persona con uno stipendio basso e che non godeva di protezioni politiche si scelse di esporsi così pesantemente risiede nel fatto che – per quanto casi recenti come quelli di Edward Snowden e Chelsea Manning possano farcelo dimenticare – il ruolo del whistleblower ha una lunga tradizione nella storia americana, che comincia addirittura prima che gli Stati Uniti esistessero.

Nel 1773 Benjamin Franklin, allora rappresentante della colonia del Massachusetts a Londra, aveva pubblicato una dozzina di lettere tra il governatore Thomas Hutchinson e il suo vice Andrew Oliver nelle quali si discuteva di richiedere aiuto alla Gran Bretagna per sedare il malcontento per le nuove imposte dei cittadini di Boston – malcontento che, poco più di due anni dopo, sarebbe stato decisivo nel far precipitare la situazione e far cominciare la guerra d’indipendenza americana. Anche durante la guerra due marinari, Samuel Shaw e Richard Marven, avevano raccolto prove sulla tortura dei prigionieri di guerra britannici da parte del comandante della Marina Esek Hopkins nel biennio 1777-1778, beneficiando di garanzie in cambio delle loro informazioni. 

In un’altra guerra, quella di secessione, veniva garantita un’altra protezione per i dipendenti e per i fornitori del ministero della Guerra: la legge Lincoln del 1863 forniva uno scudo legale – e una ricompensa in denaro – a chi denunciava il suo datore di lavoro per armamenti difettosi e che avrebbero potuto minare lo sforzo bellico dell’Unione. Nel 1912, invece, il Floyd-LaFollette Act era stato il primo provvedimento a favore degli impiegati governativi, consentendogli di comunicare liberamente con i membri del Congresso. 

Ma è con la guerra del Vietnam e lo scandalo Watergate che inizia una stagione di leggi per proteggere il whistleblowing in ogni settore: da quello ambientale del Clean Water Act del 1972 fino a quello aziendale del Sarbanes-Oxley Act del 2002, varato dopo lo scandalo Enron. Però non c’era solo quel tema, nella deposizione di Linda Tripp: ‘era anche una partigianeria politica esasperata, lanciata dalla stagione della presidenza della Camera di Newt Gingrich e dalla fondazione di Fox News nel 1996, ed è forse anche per questo che la testimonianza del colonnello Alexander Vindman e dell’ex ambasciatrice in Ucraina Marie Yovanovitch nell’ambito dell’impeachment a Donald Trump sono state lette da parte dei commentatori repubblicani come parte di un “complotto democratico”.

Col sonno di poi, possiamo dire che in realtà nella sua testimonianza Linda Tripp era davvero disinteressata: dopo il 2004 aprì un negozio di articoli natalizi a Middleburg, in Virginia. Con gli occhi di oggi, e in un mondo in cui l’abuso di potere nelle relazioni sessuali da parte di uomini in posizioni di comando è giustamente stigmatizzato, possiamo dire che Linda Tripp avesse ragione e fosse sincera – anche se la sua doverosa deposizione venne sfruttata politicamente da un partito Repubblicano che si stava trasformando in attesa del suo “uomo forte”, che non teme di silurare i whistleblower e pretende dai suoi sottoposti “lealtà” anziché “onestà”. Proprio perché certe dinamiche non hanno colore politico.

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