Storia dei giochi da tavolo, o di come leggere il presente attraverso la noia | Rolling Stone Italia
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Storia dei giochi da tavolo, o di come leggere il presente attraverso la noia

Dare ordine al mondo riproducendone (e ridicolizzandone) le regole: al gioco siamo sempre stati avvezzi, e ora un libro, 'Un mondo di giochi', vuole insegnarci qualcosa di più. Tra Monopoly e cubi di Rubik

giochi da tavolo

Foto: Kathy Marsh via Unsplash

Da Subbuteo al Cubo di Rubik, da Tetris a Monopoly, da Dungeons & Dragons al cruciverba: dieci giochi che più diversi non si potrebbe. Ma dietro a questi divertissement da tavolo e da taschino si nasconde molto più di un passatempo. C’è storia, c’è ingegno, perfino un pizzico di dramma. Il volume Un secolo di giochi (Il Mulino) di Andrea Angiolino racconta come dieci tra i più famosi giochi del Novecento siano diventati, volenti o nolenti, protagonisti della nostra esistenza e testimoni del nostro tempo. Meccanismi di evasione ma anche strumenti pedagogici.

Il libro si legge come una raccolta di romanzi brevi. È una carrellata di geniali inventori e truffatori impuniti, rivoluzioni industriali e liti condominiali, guerre mondiali e week-end in famiglia. C’è di tutto e di più. Ogni capitolo è dedicato a un gioco-simbolo del secolo breve, scelto non solo per la sua popolarità ma per la sua capacità di incarnare lo spirito di un’epoca.

Un mondo di giochi

Foto: press

Il cruciverba, per esempio, nasce quando la modernità ci costringe a mettere ordine nel caos del sapere; non è solo un passatempo da settimana enigmistica, è una risposta culturale all’alfabetizzazione di massa. Il Cubo di Rubik arriva giusto in tempo per esercitare la mente in un’epoca sempre più geometrica e complicata. Tetris nasce invece in un laboratorio informatico sovietico, i giochi di ruolo esplodono in un’America post-tolkieniana, mentre per Dungeons & Dragons bisogna addirittura scomodare il multiverso.

Curiosa è anche la storia del Subbuteo, che nasce dal genio dell’ornitologo disoccupato Peter Adolph. Ispirato dalla passione per il calcio, decide di chiamarlo “Subbuteo” come il falco lodolaio, perché “The Hobby” era già preso. Da lì un successo a colpi di pubblicità, collezionismo, e partite. Non solo un gioco, ma un culto in miniatura, con stadi, arbitri e tornei in ogni angolo del mondo. Perché Un secolo di giochi è un tributo, neanche tanto velato, a quegli inventori che hanno cambiato la storia della nostra noia. Alcuni sono diventati ricchi, altri sono stati clamorosamente fregati. Il caso più eclatante? Il vero inventore di Monopoly, Elizabeth Magie, lo aveva ideato per denunciare il capitalismo predatorio. Finì dimenticata, mentre il suo tabellone – attraverso tal Charles Darrow, poi diventato milionario – veniva trasformato nella celebrazione suprema del possesso immobiliare. Da critica sociale a feticcio capitalista: il paradosso è servito in scatola.

La vera forza del libro è però il suo approccio trasversale. L’autore non si limita a raccontare come sono nati questi giochi, ma intreccia le loro vicende con gli eventi storici più significativi del Novecento. Le guerre mondiali, la Grande Depressione, il boom economico, la nascita della società dei consumi, l’avvento dell’informatica: tutto trova eco nei giochi scelti. Anche quando non sembra. Anzi, soprattutto quando non sembra. Perché ogni gioco è, in fondo, un modo per dare ordine al mondo, per simulare (e spesso ridicolizzare) le sue regole.

A rendere questo volume ancora più prezioso è la competenza accumulata sul campo dall’autore: ogni aneddoto è frutto di ricerche, ogni dettaglio è verificato con scrupolo, ogni leggenda viene trattata con rispetto, ma anche con la necessaria dose di scetticismo. Dove possibile, si recuperano testimonianze dirette, si ricostruiscono filiere produttive, si consultano archivi. Una metodologia da storico, ma con l’agilità narrativa del divulgatore che ha passato ben dieci anni a compilare con Beniamino Sidoti il Dizionario dei giochi per Zanichelli, opera monumentale e sorta di Bibbia del settore. Non c’è nulla di più serio del gioco, ci ricorda l’autore. Perché è cultura ibrida, è contaminazione, è alchimia.

Il messaggio ai game designer di oggi, professionisti o dilettanti che siano, è chiaro: per progettare giochi nuovi, bisogna conoscere quelli vecchi. Non per copiarli, ma per capirne le logiche. Esplorare generi diversi, rompere le barriere tra media. Se volete progettare un videogioco, fate un giro tra i rebus. Se sognate di inventare il prossimo party game, riscoprite i giochi con carta e matita. E se pensate che Ruzzle sia l’ultima frontiera del gaming, sappiate che deve molto a Paroliere e Scrabble.

Nulla nasce dal nulla, tutto è remix. Leggendo queste pagine, ci si accorge di quanto il gioco sia stato centrale nella costruzione della nostra quotidianità. Non solo come passatempo, ma come lente per osservare (e spesso mettere alla berlina) le strutture sociali, politiche e culturali in cui viviamo. Il gioco è specchio e caricatura, rifugio e campo di battaglia. È il luogo dove possiamo sperimentare, fallire, ricominciare. Con leggerezza, ma senza superficialità. E le storie che lo accompagnano non sono mai semplicemente delle favole: sono frammenti della nostra stessa cultura.

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