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Se un post ti cambia la vita: il web visto da Jon Ronson

Nel suo ultimo libro, racconta il lato oscuro della rete: un luogo nato democratico, che oggi è sempre più violento
Jon Ronson è nato a Cardiff nel 1967. Foto: Emli Bendixen

Jon Ronson è nato a Cardiff nel 1967. Foto: Emli Bendixen

La pazzia governa il mondo. Si potrebbe riassumere così l’idea – quasi un’ossessione – dietro l’intera opera di Jon Ronson, scrittore e giornalista gallese. Ronson è noto per avere scritto il libro da cui è stato tratto il film L’uomo che fissa le capre, con George Clooney ed Ewan McGregor, sulle inquietanti sperimentazioni new age dell’esercito americano negli anni ’70 e ’80; e il memoir che ha ispirato Frank, lo struggente film sulla vita di Frank Sidebottom, il musicista inglese situazionista anni ’80, che non toglieva mai la sua maschera di cartapesta, interpretato (molto bene) da Michael Fassbender.

Il suo ultimo libro è I giustizieri della rete (Codice Edizioni, pp. 288). Il sottotitolo è eloquente: La pubblica umiliazione ai tempi di Internet. Raccontata con il consueto stile brillante di Ronson (sul Guardian, Will Self lo paragona a un moderno Woody Allen, in quanto a verve comica), questa inchiesta in prima persona è forse il suo libro più dark. L’argomento trattato, apparentemente mondano, è in realtà la manifestazione di una delle forze più oscure che governano le dinamiche libere della Rete: la crudeltà dei social media, Twitter in particolare, e la gogna collettiva che può colpire chiunque si renda colpevole di un peccato più o meno banale. Come Justine Sacco, 30enne americana che ha perso il lavoro per avere postato su Internet un commento male interpretato, più sciocco che razzista; o Jonah Lehrer, stella nascente della saggistica scientifica, che qualche anno fa si è ritrovato con la carriera rovinata per avere inventato una citazione di Bob Dylan. In entrambi i casi, è stata la cassa di risonanza di Internet a fomentare l’indignazione collettiva, presto esplosa, come tante velenose cluster bomb, in autentici attacchi personali. La descrizione che Ronson fa di questi pubblici processi è sofferta ma brutale, e si sviluppa con l’andamento inesorabile di piccole catastrofi annunciate.

Il problema è che tutti, oggi, possiamo diventare vittime di questa lapidazione 3.0: Justine Sacco, al momento della sua battuta infelice – oggi è ininfluente dire quale fosse – aveva solo 170 follower, che nel giro di qualche ora hanno scatenato una tempesta fatta di decine di migliaia di tweet furenti. Al tempo stesso, ed è questa la cosa più terribile, tutti possiamo diventare carnefici: «Le umiliazioni più violente sono opera di brave persone, come me e te», mi spiega Ronson, «e non c’è alcun modo di controllare le brave persone. Internet ci dà un grande potere, ma abbiamo il dovere di usarlo con responsabilità».

La Rete sembra un posto molto meno democratico, dopo avere letto I giustizieri della rete. Cosa è cambiato nel corso degli anni? Risponde Ronson: «All’inizio Internet era un posto meraviglioso. Usavamo i social media per essere curiosi ed empatici. A volte è ancora così. Ma queste qualità si sono trasformate in qualcosa di diverso, di spaventoso. Abbiamo iniziato a distruggere le persone per la minima trasgressione. Spesso la causa deriva dal nostro desiderio di fare del bene, e reagire alle ingiustizie. Il mio libro è una sorta di storia horror che racconta cosa significa trovarsi all’altro capo della vergogna. È come The Blair Witch Project, solo che le streghe qui siamo noi».

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