Non finire le cose per bene, questo è il vero Made in Italy | Rolling Stone Italia
una situazione incompiuta

Non finire le cose per bene, questo è il vero Made in Italy

L'Incompiuto è lo spirito nazionale che tutto impregna e che si manifesta nelle architetture non-finite che punteggiano lo Stivale. E c'è un libro, ora, che le mette in fila

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Foto: Alterazioni Video

Immersa da quasi quarant’anni in una depressione economica ed evidentemente anche culturale, l’Italia uscita dal Novecento è un Paese non solo e non tanto ricco di contraddizioni, ma sopratutto in perenne stato confusionale. Uno Stato nazionale ed emotivo che gli ultimi venticinque anni del nuovo secolo si è alimentato di ambizioni scomposte, di politiche eccentriche (per non dire altro) e di una totale incapacità strutturale di affrontare i problemi reali: i nodi che ormai affliggono il paese fino ad uno strangolamento che lo ha portato a un tragico quanto quasi irreversibile soffocamento.

Allora si viaggia tra assurde denunce di neo/liberismo e turbocapitalismo, che evidentemente poco colgono dello stato di necrosi di un’economia fondamentalmente legata a rendite e latifondismo di Stato. Elementi che contraddistinguono il vero tratto sociale di un Paese ancora radicalmente arretrato, con industrie affette da nanismo patologico e da una qualità generale del terziario mai davvero in grado di competere a livello internazionale.

All’interno di questo profilo, in cui il tirare a campare è il vero elemento costitutivo di una nazione di sfruttati e mantenuti (anche in posizione intercambiabile tra loro) lo stile che contraddistingue al meglio il carattere italiano è oggi quello dell’incompiuto, ovvero di tutto quello che in questi anni di scriteriate opere pubbliche si è messo in campo senza mai riuscire a concludere.

Frutto di una mappatura e di una ricerca condotta da Alterazioni Video e Fosbury Architecture, un collettivo di artisti, Incompiuto. La nascita di uno stile (Humboldt Book) testimonia e documenta l’incedere di un Paese tra corruzione e desiderio, ricatto e visione delirante del futuro. Opere urbanistiche mai completate, infrastrutture mai portate a termine e poi ancora ospedali, asili, strade, strutture sportive lasciate a metà. La modernità al suo stato finale e comatoso, là dove la durata non è più data dalla stabilità e dall’uso, ma dalla capacità di reggere il tempo del calcestruzzo, lui sì, elemento primario e residuo.

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Foto: Francesco Spallacci

Chissà se il luogo dell’esistere e del resistere è lì dove la strada è arrivata o lì dove la strada non arriverà mai. Se queste opere fossero arrivate a termine probabilmente avrebbero dimostrato in maniera ancor più evidente e devastante la loro sostanziale inutilità. Inutilità che diviene, nel momento in cui restano incompiute, monumentale, segno inedito e clamoroso di una distorta idea della necessità. E che contraddistingue sì una politica irresponsabile, ma al tempo stesso capace di svelare quell’intreccio d’interessi che favorisce anche nel fare o meglio, in questo non fare del tutto, un’adesione allo status quo.

Scrive il collettivo Alterazioni Video che Incompiuto «è l’opera involontaria di una moltitudine sonnambula: politici che hanno promesso, tecnici che hanno firmato, impresari che hanno fallito, architetti che hanno voltato lo sguardo, comunità che hanno dimenticato. Reiterando gli stessi gesti, le stesse attese, le stesse assenze, qualcosa ha preso forma. Una forma che torna, si ripete, si diffonde». L’Italia dell’Incompiuto è dunque sempre il paese del Gattopardo, solo per mezzo di acciaio e cemento.

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Foto: Alterazioni Video

E in un contesto di tale decadente movimento non può che venire in mente l’opportunità d’incompiuto che potrà generare il Ponte sullo Stretto di Messina, così arditamente inseguito da cinquanta anni da politici di ogni colore fino ad arrivare a Matteo Salvini che ne ha preso in carico il sogno, il desiderio e probabilmente anche il fallimento. Il Ponte, già esistendo nominalmente, rappresenta una forma successiva e forse evoluta di incompiuto, un incompiuto totalmente immateriale: un oggetto/organismo esistente ma ai fatti totalmente inesistente. E proprio in questa sua forma di ponte (e quindi tramite), l’Incompiuto rappresenta al meglio la vacuità di anni di politica dell’annuncio a cui si è sempre e solo contrapposta come alternativa – nella migliore delle ipotesi – una politica della denuncia. Un proclama e un contro proclama che ha lasciato le cose sempre più esauste e sempre più uguali.

Unico vero elemento di mutazione è proprio quello naturale, che giorno dopo giorno si appropria delle opere lasciate perse ridefinendone i confini e restituendo loro un’allure naturalistica come se fossero elementi di un’archeologia del moderno, mentre in realtà sono oggetti che reclamano un futuro che non è mai esistito e che mai esisterà.

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Foto: Alterazioni Video

L’Incompiuto infatti è per principio immobile: non può essere completato e tanto meno può essere abbattuto. Per cui è un segno indelebile che resta e vive nonostante l’invasione del naturale che ricorda invece la sua forza, la sua resilienza e soprattutto l’autoesclusione dell’umano dal mondo naturale a rischio della sua stessa estinzione.

Giarre, a Catania, che affianca rovine archeologiche e contemporanee tanto da essere notata persino dai consigliati di viaggio americani, dell’Incompiuto è la Capitale, e di conseguenza è anche la capitale delle promesse mancate e del pericolo che le promesse contengono ogni volta che vengono esplicitate.

Perché spostano l’attenzione dalle necessità, e la indirizzano verso una fuga dentro alla quale coesistono gli interessi di pochi e le illusioni di molti, tutti incantati dalla possibilità di una facile via d’uscita da una quotidianità che negli anni si è sempre più alimentata di frustrazioni e insoddisfazioni. Come coglie Marc Augé: «Si potrebbe certamente ironizzare sull’incapacità dei decisori o dei responsabili di portare a termine una sola di queste grandi ambizioni. Si potrebbero anche esaminare uno a uno questi abbozzi, alcuni dei quali non erano poi così lontani dal buon esito. Si può infine pensare all’insieme che essi avrebbero costituito se fossero stati tutti completati, preludio di città radiose in cui tutto, forse avrebbe trovato posto». Ma proprio l’incompletezza definisce anche un limite, una possibilità invalicabile oltre alla quale non vi è altro che uno strapiombo, una caduta inevitabile.

Vi è certamente un gesto in quel che resta, un virtuosismo, però totalmente dannoso proprio perché prima ancora di ciò che resta o rimane, è il progetto stesso e il suo completamento che sarebbe risultato inutile.

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Foto: Alterazioni Video

Fosbury Architecture ha portato a termine un lavoro di svelamento fondamentale, non solo per la mappatura e l’analisi, ma perché mostra per davvero chi siamo e non solo chi crediamo di essere: un Paese che risulta incapace, arretrato e feudale proprio nel momento in cui tende a sfidare la modernità scambiandola per uno strumento e non per un luogo psichico in cui ci ritroviamo tutti inevitabilmente immersi.

L’Incompiuto è una dichiarazione infantile di rifiuto di ogni forma di contemporaneità e soprattutto di ogni contraddizione. La ricerca insensata e folle di un’italianità italiota tutta da Italietta. Un disastro politico e culturale, la reazione forse naturale e certamente spontanea di una società fatta da individualisti incalliti che hanno da sempre poca abitudine al bene comune e che si credono abili liberisti, mentre restano nella migliore delle ipotesi ladri di galline in doppiopetto.

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Foto: Alterazioni Video

Scrive Wu Ming: «L’opera incarna il sogno del liberismo contemporaneo. Lo realizza. La fabbrica senza operai, l’ospedale senza malati, l’università senza studenti. La città priva di abitanti». E quando tutti ce ne saremo andati da questi paesi devastati, da queste terre inquinate, ecco che resterà a futura memoria il traliccio armato di calcestruzzo a cui noi credevamo per davvero. Altro che Risorgimento.