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Niccolò Ammaniti: «La classifica è solo un exploit iniziale: i libri importanti rimangono negli anni»

Una chiacchierata intima con un ex "cannibale": il nuovo romanzo, la scrittura che cambia lentamente, una prosa totalmente digiuna di effetti speciali e il suo passato da collaboratore di 'Rolling Stone'

Foto: Greta De Lazzaris

Quando lo chiamiamo al telefono nella sua casa di Roma, Niccolò Ammaniti è lo scrittore italiano più venduto del momento. Il suo La vita intima (Einaudi), uscito qualche settimana fa, è secondo in classifica dietro Spare, il libro del principe Harry. «Il principe è un superboss», scherza, «io non sono un boss come lui».

Non è certo la prima volta che Ammaniti fa felice il suo editore con cifre di vendita eclatanti. Stavolta però erano passati otto anni dal romanzo precedente, quell’Anna poi divenuto una serie tv diretta dallo stesso scrittore. È stato il lockdown, ha raccontato al momento dell’uscita del libro, a convincerlo a tornare al primo amore, quello che ormai quasi trent’anni fa l’aveva portato alla pubblicazione della versione originale di Branchie, uscita nel 1994 per la casa editrice della Cgil. Chissà se in quei mesi di scrittura avrà anche pensato ai brillanti risultati di vendita dei precedenti romanzi.

«Come chiunque lavora, penso al risultato e a quello che poi significherà nella mia vita, anche dal punto di vista economico», spiega. «Certo, ci penso, poi però non riesco minimamente a fare dei pronostici. Spero che i miei lettori degli anni passati continuino a leggermi e che il libro sia valido. Mi faccio pensieri sul tipo di libro che devo scrivere, come chiunque metta qualcosa sul mercato. La classifica però di solito è solo un exploit iniziale: un libro diventa veramente importante quando nel corso degli anni continua a fare dei numeri. È successo con Io non ho paura e con Io e te, libri di formazione che sono stati letti anche nelle scuole e all’estero».

Stavolta la protagonista si chiama Maria Cristina, è «la donna più bella del mondo» e soprattutto è la moglie del Presidente del Consiglio. Un giorno riceve sul cellulare un video che appartiene al suo passato e che potrebbe cambiare tutto. Maria Tristina, così la chiama chi si compiace della sua vita costellata di lutti, vive immersa fino al collo in quella che, oltre cinquant’anni dopo il saggio di Guy Debord, è ancora una società dello spettacolo, in cui lo spettacolo va in scena e viene commentato in diretta attraverso mezzi sempre nuovi, social in primis.

«Raccontare la società di oggi non era uno dei miei obiettivi», chiarisce Ammaniti. «La storia però si sviluppa attraverso la nostra società, e quindi è difficile evitare di parlarne. Quello che mi interessava era l’idea di una donna con un ruolo importante e significativo a cui arriva un video che, se reso pubblico, cambierebbe le sorti sue e probabilmente addirittura quelle del governo italiano. Una donna minacciata da una specie di bomba pronta a esplodere, di cui si vergogna e di cui senza ragione si sente in colpa. Volevo raccontare come Maria Cristina vive questa cosa, l’idea che mi aveva colpito: quella secondo cui improvvisamente il passato ritorna con qualche cosa di sconveniente. Da questo poi ho ricavato il resto, compresa la descrizione della nostra società».

La copertina di ‘La vita intima’, l’ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti

Ammaniti, dal canto suo, è pressoché assente dai social. O almeno così parrebbe. «Ho un sito ufficiale dove metto i libri, ma in realtà ho anche degli account con nomi diversi dal mio che mi servono per guardare le cose che mi interessano. Sui social ce ne sono diverse, e Facebook è molto importante per le mie passioni: quella per la cucina e quella per la musica. Con i miei account “anonimi” frequento gruppi che parlano di questi argomenti, e poi li uso anche per dialogare con i miei amici che non riesco a vedere di persona. Comunque la scelta di non avere degli account social con il mio nome e cognome è una scelta di cui sono molto contento».

Leggendo La vita intima, a Tiziano Scarpa, collega di Ammaniti, è venuta in mente quella volta in cui i due avevano scherzato a proposito della domanda che era stata rivolta ai geni della Pixar quando gli avevano chiesto su cosa avevano investito maggiormente durante la realizzazione di Alla ricerca di Nemo. Qual era il mirabolante effetto speciale a cui tenevano di più? «La storia», avevano risposto. Anche in questo caso è con la storia che Ammaniti si prende la testa del lettore. La vita intima è un libro unputdownable, come dicono quelli bravi, e senza necessità di effetti speciali letterari.

«La mia è una scrittura che lentamente cambia», precisa. «Ho iniziato a 25 anni e ora ne ho 56: ovviamente nel tempo sono cambiati il mio modo di riflettere, di capire le cose, di usare le parole, le mie idiosincrasie. In questo libro ci sono cose che non ci sarebbero mai state in un libro precedente, come l’uso della terza persona al presente. Non l’ho mai amata ma stavolta ho sentito che era importante usarla per questa storia. Oppure il fatto di rivolgermi direttamente al lettore, che è una cosa molto ottocentesca che ritenevo obsoleta, e invece improvvisamente mi è sembrata divertente, anche per avvicinarmi a un lettore che avevo perso da tanti anni perché avevo fatto altro. O aggiungere un capitolo che parla di me come scrittore. Insomma, ci sono dei cambiamenti».

Smentendo il detto andreottiano sul potere che logora chi non ce l’ha, Maria Cristina ne è logorata eccome. O perlomeno, quello che le capita sarebbe meno problematico se non fosse anche una donna di potere. Ed è proprio questo logoramento il centro del romanzo, e il motivo per il quale, al contrario di diversi altri libri di Ammaniti, non è detto che stavolta diventi un film. «È un libro molto all’interno della mente della protagonista», spiega, «e il cinema in queste cose fa un po’ fatica. Se non si troverà qualche idea per cambiare le cose, non vale neanche la pena fare un film. Nel caso, lasceremo tutto nella sua dimensione letteraria».

Niccolò Ammaniti, che negli anni zero ha collaborato a lungo con l’edizione mensile di Rolling Stone, è un appassionato di musica vero. «La scrittura del romanzo è stata accompagnata dalla musica di autori come John Adams o Wim Mertens», racconta, «con sonorità acustiche ma molto minimaliste e ripetitive. Io se non ho musica non scrivo: non sono in grado di scrivere nel silenzio. Una volta spento il computer, però, sono onnivoro: passo dal pop alla musica turca del 1120». Se la pandemia lo ha fatto tornare alla scrittura, gli ha però in parte tolto il piacere della musica live. «Sono andato a pochissimi concerti», dice, «perché sono un paranoico e metto molto la mascherina, quindi il concerto un po’ mi pesa. Ma lo scorso dicembre sono andato a vedere il live di Kae Tempest qui a Roma. Spero che mi passi presto perché è bello stare in mezzo alle persone e voglio riprendere ad andare ai concerti. Per il momento, ancora adesso tendo a evitare i posti affollati. Al chiuso, dentro un locale con tutti che ti saltano accanto, faccio ancora un po’ fatica».

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