Ma quali liste per l’estate, leggete Chimamanda Ngozi Adichie | Rolling Stone Italia
cercare sugli scaffali

Ma quali liste per l’estate, leggete Chimamanda Ngozi Adichie

E mica solo lei. Come consiglia l'autrice de 'L'inventario dei sogni', uscito da poco per Einaudi, dovremmo liberarci dal pericolo della narrazione univoca. Cominciando proprio dal romanzo sulle vite di quattro donne

Ma quali liste per l’estate, leggete Chimamanda Ngozi Adichie

Foto: Adam Berry

È arrivata l’estate e con lei, come ogni anno, arrivano anche le liste de “I dieci libri da leggere sotto l’ombrellone”. Un’altra piaga, oltre al caldo, che ci fa indulgere nell’errore di comprare cose che non avremmo mai veramente la voglia di leggere. Questa stagione però c’è poco da essere consigliati o sconsigliati, perché quando una scrittrice come Chimamanda Ngozi Adichie pubblica un nuovo romanzo della bellezza di 490 pagine, la risposta è semplice. Questo e poi tutto il resto (forse).

Il libro è L’inventario dei sogni uscito in Italia per Einaudi che fa editorialmente un lavoro vincente e convincente soprattutto per la copertina. L’opera scelta è una elaborazione grafica di un acquerello e collage di Holly Frean dal titolo Ode to Matisse n. II e funziona perché rappresenta, con le immagini, parte di quello che c’è all’interno del libro. Sei “tessere” di donne spezzate, libere, vive, a rappresentare la storia voluta dall’autrice: quella di quattro donne, tutte diversamente protagoniste del romanzo e viste nell’intimo, nel profondo.

Chimamanda Ngozi Adichie

Foto: press

Per chi già conosce un po’ l’autrice e i suoi romanzi c’è anche un altro avviso nascosto e sotteso nella copertina scelta, almeno qui in Italia – nella versione in lingua originale c’è una fiamma grafica che sembra non restituire tanto il senso del volume -, ed è l’avviso della maturità, della pienezza artistica della scrittrice che Adichie è diventata. Ed è anche lei a confermarlo in un’intervista ad Al Jazeera, dove dice: «Penso che questo libro sia piuttosto diverso dagli altri che ho scritto. Penso che sia perché sono una persona diversa, è il primo che ho scritto da quando ho perso i genitori, e anche il primo che ho scritto da madre. Penso che entrambe le esperienze mi abbiano cambiato profondamente».

Chiamamanda Ngozi Adichie non è più l’astro nascente della letteratura contemporanea mondiale, è tra le scrittrici più brillanti in circolazione. Classe ’77, nata a Enugu, in Nigeria, ha vissuto la sua adolescenza negli Stati Uniti dove si è laureata in Comunicazione e Scienze politiche alla Eastern Connecticut State University. Consegue poi un master in scrittura creativa alla Johns Hopkins University e un master in storia africana a Yale. Nel 2015 viene nominata da Time tra le 100 persone più influenti al mondo, e nel 2017 Fortune la inserisce tra i suoi 50 “leader mondiali”. Esordisce nel 1997 con una raccolta di poesie, ma è solo quando comincia a scrivere romanzi che inizia a fare il pieno di riconoscimenti (L’Ibisco viola vince il Women’s Prize for Fiction od Orange Prize e il Commonwealth Writers’ Prize, Metà di un sole giallo vince il Premio Nonino e sempre l’Orange Prize come miglior romanzo pubblicato nel Regno Unito. Americanah vince il National Book Critics Circle Award e viene inserito dal New York Times nella Top Ten Best Books per il 2013).

Adichie sforna un gioiellino dopo l’altro, intrecciando, come cornrow sulla testa delle sue protagoniste, bellezza di scrittura e profondità di visione. Non solo una prosa semplice, fisica, concreta e quasi scultorea, ma anche una poesia delicata, soprattutto quando si tratta di raccontare tutte le sfumature dell’umano – e in particolare dell’umano femminile. È una scrittrice femminista? Sì, ma come si definisce in Dovremmo essere tutti femministi, il saggio tratto dal TEDxHuston del 2012, lei è una «femminista felice africana che non odia gli uomini e che ama mettere il rossetto e i tacchi alti per sé e non per gli uomini». Dovremmo essere tutti femministi è stato ripreso anche da Beyoncé, che in ***Flawlees ft. Chimamanda Ngozi Adichie lascia alla viva voce della scrittrice che recita il testo dell’intervento uno spazio al centro del brano.

Ne L’inventario dei sogni Adichie racconta la storia di quattro donne: Chiamaka, o “Chia”, scrittrice di viaggio che si interroga sempre sullo «splendore di essere veramente conosciuti» da qualcuno nella vita; Zikora, l’avvocatessa laureata alla Georgetown che va in chiesa e ci svela l’esistenza di un sito di incontri cristiano; Omelogor, ex pezzo grosso di banca che legge Thomas Sankara e vuole capire gli uomini attraverso lo studio della pornografia; Kadiatou, una donna umile di etnia fulani che cucina divinamente il fonio (un cerale antico e autoctono del continente africano) e che emigra in America dove diventa un’inserviente del George Plaza Hotel dove riceve il premio di Miglior dipendente dell’anno.

L’inventario dei sogni è la storia delle loro vite, dei loro amori, delle loro delusioni ma anche della loro ricerca in ambito personale e professionale, è il loro racconto umano. Siamo all’inizio della pandemia da Covid-19 e il tutto si svolge tra la Nigeria e gli Stati Uniti, le donne sono tutte nigeriane tranne Kadiatou che è originaria della Guinea. Nel romanzo leggiamo la volontà anche di elaborare un periodo complicato per l’autrice, che a causa del virus ha perso sia il padre che la madre, ed è proprio a quest’ultima che il libro è dedicato. Il romanzo dedica a ogni protagonista un suo spazio, capitolo-universo che si intreccia e ricongiunge con quello delle altre. È la stessa storia, ma raccontata da diverse prospettive. Immaginate Rashomon di Akira Kurosawa senza l’omicidio del samurai giapponese.

La pluralità delle storie è il tema anche di un altro famosissimo TEDx di Adichie del 2009, pubblicato poi in Italia anche questo da Einaudi in un saggio dal titolo Il pericolo di un’unica storia. Qui Adichie parla sì di letteratura e pluralità delle storie – e ora ci arriviamo – ma anche di quando questo riguardi da vicino il problema del razzismo. Che per lei, infatti, si lega a come trattiamo le storie degli altri, e ancora di più al fatto di avere su di loro una sola e unica narrazione.

Per esempio, Adichie racconta che da scrittrice precoce qual è stata (ha iniziato a scrivere a sette anni) tutti i suoi personaggi erano bianchi, con gli occhi azzurri. Giocavano nella neve, mangiavano mele e parlavano sempre del tempo. «E tutto ciò nonostante vivessi in Nigeria. Non ero mai uscita dalla Nigeria. Non avevamo la neve. Mangiavamo manghi e non parlavamo mai del tempo, perché non ce n’era bisogno».

Nello stesso TEDx Adichie ripercorre un’esperienza personale, di quando diciannovenne arriva negli Stati Uniti per studiare all’università e di come la sua coinquilina americana fosse sconvolta dal fatto che parlasse così bene inglese (che in Nigeria è lingua nazionale), e di quanto fosse delusa quando, alla richiesta di sentire la sua musica tribale, si vide rispondere con una cassetta di Mariah Carey. «La mia coinquilina aveva un’unica storia dell’Africa. Un’unica storia fatta di catastrofi. In quest’unica storia, non vi era alcuna possibilità che gli africani fossero in alcun modo simili a lei». Poco dopo, rincarando la dose: «Quest’unica storia dell’Africa penso che derivi, in definitiva, dalla letteratura occidentale». Per chi volesse approfondire in tal senso, segnalo la bella antologia Africana curata da Igiaba Scego e Chiara Piaggio.

Detto in altro modo, prendo dalla Nota dell’autrice a L’inventario dei sogni: «La letteratura è davvero un modo di istruire divertendo – o perlomeno può esserlo». E infatti leggendo Metà di un sole giallo o Una morte certa (A certain death) di Flora Nwapa si può capire cosa sia stata la guerra del Biafra, per esempio. Ma se si vuole qualcosa di più leggero si può leggere Americanah, sempre di Adichie, e scoprire la storia – anche d’amore – di una giovane donna nigeriana di nome Ifemelu che va a vivere in America e tutto quello che questo cambio di paradigma comporta. Per chi predilige i romanzi di formazione, dirigersi su Nevrosi della zimbabwese Tsitsi Dangarembga, vincitore del Commonwealth Writers Prize nell’89 e citato tra i 100 libri che hanno cambiato il mondo per la BBC. O ancora Paradiso, del premio Nobel per la letteratura tanzaniano Abdulrazak Gurnah.

Si può leggere L’inventario dei sogni, che parla non solo di donne ma anche di Africa, d’America, e di sogni veri, come quello importante di Omelogor su zio Hezekiah; ma che sono anche la metafora di qualcos’altro – che non spoileriamo – per Chiamaka. Insomma sono tanti i romanzi che si possono leggere e che ci salvano dal pericolo di un’unica storia. Basta cercarli, e basta soprattutto, quest’estate, non seguire tutte quelle liste che vi spacciano, come merce rara, “i dieci libri da leggere sotto l’ombrellone”.