'November Road', intervista a Lou Berney, autore del romanzo | Rolling Stone Italia
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Lou Berney, autore di ‘November Road’: «I proiettili di Dallas hanno cambiato tutto»

Ha scritto uno dei migliori romanzi degli ultimi anni, un thriller che si trasforma in storia d'amore nell'America post assassinio di JFK

Lou Berney, autore di ‘November Road’: «I proiettili di Dallas hanno cambiato tutto»

John Fitzgerald Kennedy e la moglie Jacqueline nel 1961

Foto ABBIE ROWE /UPI / IPA

“Ciao Lou, com’è che sei così bello?”.
Questa intervista parte facile, perché so già che cosa Lou Berney, autore bestseller di November Road, vuole sentirsi chiedere. Il giorno prima che lo raggiungessi al telefono a Oklahoma City, dove vive, Berney aveva scherzato su Twitter dicendo che tutti gli chiedono qual è stata l’ispirazione del romanzo, ma nessuno chiede mai conto del suo fascino. Eccolo accontentato. Chiamatelo pure giornalismo in ginocchio o paraculaggine, siete autorizzati.
«Non posso farne a meno! È un dono di Dio, amico! (Ride) Molto divertente».
November Road (HarperCollins) è un romanzo che avrebbe potuto essere un fiasco totale. Un thriller che è anche romanzo on the road, storia d’amore e racconto storico con una punta di what if legata alla morte di JFK. Il tutto raccontato da tre punti di vista diversi, quello di un gangster dal cuore buono (sotto sotto), coinvolto suo malgrado nell’omicidio del presidente e quindi sulla lista delle persone che devono sparire; di una donna coraggiosa che ha lasciato il marito alcolizzato per fuggire con le due figlie e il cane, in cerca di un futuro; e di un killer sofisticato e letale sulle tracce del gangster. Le tre narrative, com’è ovvio, sono strettamente intrecciate. Tutto questo compresso in meno di 300 pagine. Poteva essere un gran casino, invece fila tutto come un treno.

Come sei partito per costruire la trama? Volevi scrivere un thriller, una storia ambientata nei giorni successivi alla morte di JFK, un road novel?
La prima idea mi è venuta mentre frugavo dentro una scatola di vecchie fotografie, di prima che nascessi. Ho trovato un ritratto di mia madre con le mie due sorelle, scattata nel 1963. Si trovavano dentro un’auto. C’era qualcosa di molto evocativo in quella foto. Così ho iniziato a pormi la domanda: cosa sarebbe successo? Cosa sarebbe successo se mia madre avesse lasciato mio padre, preso le mie sorelle e si fosse messa in viaggio?

Quando è entrato il gioco lo sfondo crime?
Volevo fin da subito che due mondi si scontrassero: da una parte una normale vita di provincia, dall’altra la vita criminale di una grande città. Sono andato all’università a New Orleans, quindi sapevo già molte cose a proposito di Carlos Marcello (potente boss della mafia italoamericana, da molti ritenuto uno dei principali mandanti dell’omicidio di JFK, ndr). Mi sembrava un ottimo contesto per aggiungere un elemento di pericolo e minaccia alla trama.

Lou Berney

Il romanzo inizia con una forzatura: viene presentato come un fatto qualcosa che è soltanto un’ipotesi, cioè come siano andate veramente le cose riguardo alla morte di Kennedy.
Nel mondo narrativo di questo romanzo le cose sono andate così. Non volevo soffermarmi troppo sul chi avesse cospirato contro JFK, volevo che fosse un punto di partenza per andare avanti. Per me quello che era interessante raccontare era cosa è successo a causa di quella versione dei fatti.

Il passaggio tra la prima parte del romanzo più concitata e la seconda – il viaggio dei protagonisti inseguiti dal killer –, più contemplativa in un certo senso, mi ha ricordato La morte corre sul fiume, il film di Charles Laughton del 1955.
È interessante perché è uno dei miei film preferiti, ma non ho mai riflettuto su questa somiglianza, dal punto di vista della struttura. Ora che me ne parli vedo bene la connessione, ma devo averla fatta solo inconsciamente mentre scrivevo il romanzo.

La morte di JFK è ancora oggi un tema che ogni scrittore americano con un po’ di ambizione deve affrontare?
Per me ci sono stati due eventi del Ventesimo secolo che hanno cambiato l’America: prima Pearl Harbour, che ha catapultato gli Usa nella Seconda guerra mondiale, e poi l’assassinio di JFK. Nella seconda metà del secolo la morte di Kennedy è stato un evento sismico che messo in moto tutto quello che è successo in seguito. Qualsiasi romanzo storico ambientato in quegli anni non può ignorare quei proiettili a Dallas.

Parliamo di metodo: hai studiato la trama in anticipo nel dettaglio o ti sei lasciato portare avanti dalla scrittura?
Sono uno scrittore davvero inefficiente, quindi preparo in anticipo sinossi elaborate, di 40 e più pagine sulla storia e i personaggi. Ma arrivato al punto di scrivere davvero il romanzo butto via il 75% di quello che avevo pensato. Cambio velocemente i miei piani, faccio evolvere la trama. Come quando viaggi: hai in mente di visitare alcuni luoghi, ma poi resti affascinato da quello che vedi lungo la strada e stravolgi i tuoi programmi. Per riuscire a improvvisare devo pianificare tutto in anticipo. In qualche modo funziona.

Dici che sei inefficiente, ma allora devi essere molto bravo nella fase di revisione. Un altro autore avrebbe facilmente scritto un romanzo lungo parecchie centinaia di pagine, con tutta la carne al fuoco che c’è qui. Invece November Road è incredibilmente compatto.
Per me è molto importante. Cerco sempre di essere il più serrato possibile, taglio tutto quello che non aggiunge nulla a un personaggio o fa avanzare la storia. Ho tolto capitoli interi che erano piuttosto validi, ma non abbastanza utili per stare dentro il romanzo.

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Lo stile dei tuoi romanzi precedenti è stato paragonato a Elmore Leonard, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi. Hai altri scrittori che prendi a modello per tenere viva la lingua?
Per me i dialoghi sono fondamentali. Cerco di fare in modo che ogni personaggio, per quanto importante o meno, abbia una sua propria voce. Non amo i libri in cui tutti i personaggi parlano con la stessa voce. Non funziona così nella vita reale. Anche due migliori amici che vengono dalla stessa parte della città parleranno in due modi distinti. Anche questo è poco efficiente, perché devo scrivere e riscrivere i dialoghi finché non suonano giusti.

Nei dialoghi di November Road si avverte una sorta di gioia nelle possibilità del linguaggio, nel gioco verbale – soprattutto tra uomo e donna – che doveva essere tipo dell’epoca in cui è ambientata la storia, l’inizio degli anni ’60.
Amo ascoltare come parlano le persone. E il modo unico in cui parlavano a quel tempo, così colorito e pieno d’immagini, è stata la colonna sonora che avevo in testa mentre scrivevo il romanzo. Per me le loro voci erano come musica, e me lo sono goduto un sacco.

Mi ha colpito il personaggio del marito di Charlotte. Un autore più pigro avrebbe potuto ritrarlo come il solito alcolizzato violento di innumerevoli altri romanzi o film. Invece è una persona dolce nonostante il suo problema. Questo rende il suo abbandono da parte di Charlotte più doloroso e problematico.
Ho dedicato molto tempo a studiare quel personaggio. Il fatto è che mio padre era alcolizzato, ed era un uomo dolce, gentile, generoso. Il personaggio del libro non è ispirato a lui, ma solo per il fatto di avere un problema con l’alcol non significa che qualcuno sia una persona orribile. In secondo luogo, la mia regola aurea quando stendo una trama è di rendere la vita del protagonista il più difficile possibile, in modo che le sue azioni risultino meno scontate.

Il romanzo è già stato opzionato per diventare un film?
Sì, a un regista e sceneggiatore di nome Lawrence Kasdan, hai presente?

Se ho presente?!
Già. La cosa divertente è che lui ha diretto uno dei miei film preferiti, Brivido caldo (Kasdan ha diretto anche Silverado e Il grande freddo, tra gli altri, ma soprattutto ha sceneggiato capolavori come L’impero colpisce ancora e I predatori dell’arca perduta). Ma tengo le dita incrociate, perché nell’industria cinematografica non sai mai quello che potrebbe succedere.

L’edizione italiana di November Road ha due blurb sopra, uno di Don Winslow e l’altro di Stephen King. Il tuo romanzo è sopravvissuto all’hype, adesso possiamo dirlo. Ma non ti ha fatto un po’ paura questo doppio lancio, all’inizio?
Un sacco! (Ride) È il sogno di ogni scrittore, ma al tempo stesso fa dannatamente paura. Adesso sto scrivendo un nuovo libro, mi metto davanti al computer ogni giorno e sono terrorizzato! Penso: oh oh, adesso devo essere all’altezza del precedente.

A proposito del nuovo romanzo, puoi anticipare qualcosa?
No, non per qualche forma di segreto ma perché è ancora troppo presto, sto ancora cercando di capire che cosa diventerà. Ho scritto solo un centinaio di pagine. Ma due cose posso dire con certezza: sarà un thriller psicologico, e avrà un ambientazione contemporanea.

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