Joan Didion, nostro pensiero magico | Rolling Stone Italia
le ultime parole possibili

Joan Didion, nostro pensiero magico

Il Saggiatore ha pubblicato postumo il suo 'Diario per John', collezione di quasi-lettere indirizzate dalla scrittrice al marito John Dunne. Che ci fa scavare, e domandare, nel tentativo di comprendere una delle più acute osservatrici dell'America contemporanea

Joan Didion

Joan Didion

Foto: Neville Elder/Corbis via Getty Images

Ansia, paura, depressione, angoscia, pochissima rabbia. O meglio, la rabbia sembra preesistere a tutti gli altri sentimenti che in qualche modo la avvertono e la temono. Come un sibilo entra nei pensieri e nelle relazioni, generando una forma di attesa ossessiva che diviene quasi affine a una forma di desiderio. Come se il suo palesarsi, il suo esplodere potesse in qualche modo liberare chi vi sta attorno, in attesa. Ma la rabbia alla fine non compare mai per davvero e quasi mai viene citata nel testo.

Molte sono le polemiche che si sono levate attorno alla pubblicazione a quattro anni dalla sua scomparsa del volume Diario per John di Joan Didion, ora in Italia con Il Saggiatore e la bella e puntuale traduzione di Sara Reggiani. Polemiche nate attorno all’opportunità di pubblicare testi estremamente privati e intimi – frutto di sedute di analisi – di una scrittrice così amata e così attenta a levigare ogni frase e a scegliere ogni parola.

Luca Formenton ha sopito ogni dubbio rilevando l’affinità evidente di Diario per John con i temi già presenti nell’opera della scrittrice americana che ha sempre messo la sua vita e il suo corpo in primo piano. Gli stessi eredi che hanno scelto di pubblicare il Diario hanno evidenziato come i testi che lo compongono siano stati ritrovati, ordinatamente organizzati, all’interno di un faldone riposto nello studio della scrittrice. Testi dunque che come da disposizione testamentaria sono stati comunque resi pubblici e liberamente consultabili dal marzo scorso presso la New York Public Library che ne detiene il fondo.

Nei suoi lavori più famosi Didion ha raccontato esplicitamente aspetti intimi e fortemente drammatici della propria esistenza, a partire da L’anno del pensiero magico del 2005, in cui racconta della scomparsa del marito, lo scrittore e sceneggiatore John Dunne, fino a Blue nights del 2011, in cui la protagonista è la figlia adottiva Quintana tragicamente morta a soli trentanove anni.

In Diario per John sembrano così saldarsi proprio questi due drammatici momenti all’interno di un filo che definisce l’esistenza complessa e fortemente tesa di Joan Didion, come era già possibile vedere nel bellissimo documentario, Joan Didion: il centro non reggerà del 2017. In cui il nipote Griffin Dunne ritrae la scrittrice a partire dagli anni californiani – Verso Betlemme (1968) – fino all’ultimo periodo della sua vita in bilico tra solitudine e anoressia.

Frutto di una serie di sedute di psicanalisi, Diario per John è composto da lettere (o pseudo-tali) idealmente indirizzate al marito. Ma prima di tutto il libro è chiaramente un serrato resoconto autobiografico, che prende corpo sì partendo dal rapporto con John Dunne, ma che ha come obiettivo il tentativo di ricercare le dinamiche esistenziali famigliari dentro alle quali ha preso forma l’insicurezza assoluta e letale che ha danneggiato (secondo l’autrice) l’equilibrio e la vita di Quintana.

Dunque ansia, angoscia e paura per una rabbia che sembra annidarsi attorno all’atteggiamento di un marito mai aggressivo, ma certamente brusco e dal carattere umoralmente mutevole se non instabile. Un rapporto a tratti ossessivo, al punto che la loro era definita una coppia ben più che unita. Gli stessi amici sapevano che dove andava Joan c’era anche John e viceversa. Ma al tempo stesso Didion sembra indicare tra le pieghe delle sue pagine un’ansia mai esplicitata per una relazione che la vedeva a tratti oppressa e che ha rischiato di troncarsi in un paio d’occasioni per volontà della stessa Didion, frenata almeno in un’occasione proprio da Quintana.

Sembra calare sempre una coltre di tensione quando Didion rivolge lo sguardo verso l’interno della sua casa. Un malessere aleggia perennemente, forma capace di esaltare le sue fragilità e quelle del compagno. Un dolore difficile da esprimere, frutto anche del tempo storico vissuto da entrambi. Un tempo sperato, un sogno californiano che fu un’ideologia e un tentativo clamorosamente naufragato dentro al quale finirono alla deriva persone e anche possibilità di libertà ma più verificatesi dopo. Storie raccontate abilmente dalla scrittrice nei suoi reportage, ma che lasciarono su di lei non solo il senso di colpa di un tempo speso per un lavoro e non per l’accudimento della famiglia, ma anche la sensazione di un’occasione pubblica, e privata insieme, per sempre perduta.

La espliciterà in Blue nights come un peso opprimente, forma di abbandono della figlia al posto di un naturale (e dovuto) accudimento che forse avrebbe potuto salvarla. Una responsabilità che lei stessa sentiva di aver tradito fino al punto da divenire un peso insostenibile per Quintana. Una figlia resa fragile non solo dalle conseguenza delle proprie responsabilità, ma anche da quelle di una madre e di un padre forse troppo spaventati da una vicinanza con le cose e la verità del mondo per riuscire a difendere una figlia così straordinariamente amata.

Scrive Didion: «Voglio comunque vedermi come la madre nella barca. Gioiosa e potente. Non voglio il barcaiolo, il barcaiolo è Caronte. Non voglio che il pescatore si giri verso di me, il pescatore è Cristo. Il finale della poesia è la morte. Credo di aver messo a fuoco solo ora di non essermi mai preparata – di non essere per qualche motivo riuscita a prepararmi – ad avere questa età, a ritrovarmi dove sono. E ho iniziato a chiedermi se a questo punto non sia stato necessario – per conservare l’immagine che avevo di me stessa come giovane e potente – far restare Quintana bambina, dipendente da me».

In questa forma ossessiva di tensione Didion sembra così, più che pretendere di controllare le cose, volerle prevedere. E nel farlo tiene il tempo bloccato oltre ogni plausibile possibilità. Un’attesa del tragico che inconsciamente pervade la sua vita dopo essersi palesato precedentemente sulle pagine del Diario.

Diario per John è insomma una versione vivida, densa e spigolosa delle narrazioni fino ad allora licenziate dall’autrice. Un testo capace di rivelare il laboratorio di scrittura, ma anche e soprattutto esistenziale di Didion. Una lettura che permette non tanto di entrare nelle vicissitudini private dell’autrice, ma di contestualizzarne più efficacemente la narrativa che ha al centro inevitabilmente l’esistenza di Quintana prima in forma di desiderio poi di felicità. Un sentimento che rapidamente si trasforma però in paura e angoscia e che infine diviene un dramma.

La vita trascorsa a scrivere – come spesso avviene per chi scrive di professione, ma non strumentalmente – sembra contenere allo stesso tempo l’ingombro della scrittrice, ma anche l’assenza della madre. Una fuga da una quotidianità che non sia sempre attraversata dall’eccezionalità così come da una qualche tensione emotiva rilevante e sconvolgente.

Joan Didion anno dopo anno sembra assumere le sembianze di un fascio di nervi che si pone teso all’esterno e saldamente chiuso all’interno. Un’osservatrice acutissima della realtà americana e delle sue mutazioni, una donna mai distratta, ma che inevitabilmente sacrificò un’intimità famigliare non tanto come spesso stupidamente si dice per la scrittura o per l’arte, ma per comprendere il mondo, o quanto meno una parte di esso. E per riuscire a tradurlo efficacemente sulla pagina trasformò la sua intimità in un nucleo duro e inviolabile e a quel punto totalmente indecifrabile.

Il Diario per John non è la violazione di uno spazio intimo e non è la messa in pubblico di un discorso privato, ma la testimonianza della fatica di un gesto apparentemente ovvio come quello del raccontare che cela invece una violenza su di sé e su chi vi è attorno. Una violenza impercettibile e invisibile che proprio per questo fa paura e raggela. Diario per John è composto in fondo dalle ultime parole possibili per Didion prima di tornare nuovamente a scrivere.

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