Ci sono degli incontri che più di altri ci costringono a fare i conti con i nostri condizionamenti, e, a volte, anche con i nostri pregiudizi. Succede a tutti (anche ai migliori di noi, come direbbe qualcuno), incluso chi pensa di aver visto e vissuto abbastanza nella vita da avere una mente “aperta”. Consapevolezze, o forse presunzioni, che crollano in un lampo, come la Torre dei tarocchi, nel momento in cui si incontra Georgina Orellano, lavoratrice sessuale per scelta, argentina e autrice di Puttana Femminista. Storie di una sex worker (Edizioni Tlon 2025), recentemente in Italia per il suo book tour.

Foto: press
Ora, il libro non è un restyling del Kamasutra, né un manuale erotico, o un insieme di confessioni sotto e sopra le coperte. È l’autobiografia di una donna che ha fatto scelte precise nella sua vita, fuori dai convenzionali percorsi lavorativi. Un’attivista coraggiosa che ha deciso, in modo consapevole, di fare la prostituta e di rivendicarne i diritti. Un racconto di una vita vissuta per le vie di Buenos Aires, in cui Orellano mette al servizio la sua storia, che passa da abusi a violenze a battaglie, con una precisa richiesta rivolta ai vari sistemi governativi: che la prostituzione venga riconosciuta come professione legittima. Con tutto ciò che questo comporta: pagamento delle tasse, assistenza sanitaria, diritto alla pensione, alla maternità (molte prostitute sono madri), e alla malattia. Diritti che diamo per scontati in qualsiasi altro lavoro.
Un testo anche politico, in cui l’autrice, forte dei suoi circa 15 anni di attività, trasforma lo stigma legato alla professione in uno strumento di riscatto. Ha fatto del suo corpo un territorio di battaglia collettiva. «Per superare questo stigma», racconta l’autrice, «la prima cosa da fare è stato quello di abbandonare l’individualismo. Io, durante il mio percorso, mi sono riconosciuta in una collettività. Ho capito che quello che mi succedeva, la vergogna che provavo era condivisa da altre donne come me e che riconoscersi in una collettività era un’azione catartica. Quando ho visto altre sex worker accettate dalla loro famiglia, ho trovato il coraggio di fare lo stesso. Questa esperienza insieme ad altre mi hanno spinto ad aprirmi al mondo, a far sentire la mia voce, la nostra voce, non solo nel mio paese».
Dal 2014 Orellano è la segretaria generale di AMMAR – Asociación de Mujeres Meretrice de Argentina, il sindacato delle sex worker d’Argentina, che lotta per la depenalizzazione del lavoro sessuale, la regolamentazione della professione e la difesa dei diritti umani e lavorativi delle prostitute. Fra le altre attività AMMAR si impegna anche a garantire l’accesso a salute, alloggio e assistenza legale. «Nel nostro percorso come organizzazione», ci dice Orellano, «abbiamo avuto esperienze difficili, soprattutto nel dialogo con lo Stato. Ma abbiamo deciso di non arrenderci, di parlare, prendere posizione, scendere in piazza, manifestare, e quindi di fare politica. In trent’anni di lotte abbiamo guadagnato terreno, identità e voce. La strada, certo, è ancora lunga, ma non ci abbiamo già conquistato molto».
In Italia, questa stessa battaglia è stata portata avanti da Pia Covre e Carla Corso, entrambe ex sex worker, che nel 1982 hanno fondato l’Onlus Comitato per i diritti civili delle prostitute con l’obiettivo di sostenere le lavoratrici del sesso, di modificare la legge Merlin del 1958, la norma che abolì le case chiuse, ma che di fatto non ha mai vietato la prostituzione ma ne ha criminalizzato lo sfruttamento, il favoreggiamento e l’organizzazione collettiva del lavoro sessuale, impedendo alle prostitute di associarsi in cooperative o di esercitare in luoghi sicuri.
Una contraddizione ancora viva, basti pensare che oggi in Italia esiste un codice Ateco (96.09.09) che consente alle escort di dichiarare redditi come “altri servizi alla persona” (evidentemente faceva comodo a qualcuno), ma la professione di prostituta non è né riconosciuta né tutelata. Covre e Corso, nei loro anni di attivismo, hanno chiesto (e continuano a farlo) che venga finalmente stabilito che se liberamente scelto da adulti, il sex work sia considerato un lavoro autonomo con pieni diritti. In Europa il modello di riferimento sono i Paesi Bassi, dove la prostituzione è legale e regolamentata dal 2000 e le lavoratrici sono libere professioniste che pagano le tasse e godono di protezione sanitarie e previdenziali. «Insieme alle mie compagne», spiega Orellano, «chiediamo ai legislatori di lasciare da parte la morale. La politica deve ascoltare, non giudicare. Deve alimentare un conflitto, capire che per trasformare bisogna avere un approccio di ascolto. La politica deve essere uno strumento per trovare soluzioni a problemi. Noi non chiediamo approvazione, chiediamo un dibattito aperto, ovvero se questa è una professione da criminalizzare o da riconoscere, ma che la smettano di ignorarci».
Nel libro viene enfatizzato anche un altro fronte di scontro: il femminismo. È una frattura, quella del lavoro sessuale, che divide e attraversa il movimento da decenni. Da quando, fra gli anni Settanta e Ottanta, le prime sex worker americane e francesi iniziarono a rivendicare il diritto di parola sul proprio corpo. Da allora questa profonda spaccatura non si è mai ricucita e Puttana femminista, probabilmente con intenzione, la riporta al centro.
Da un lato, infatti, ci sono le femministe radicali e abolizioniste, che concepiscono la prostituzione come una forma di violenza maschile e sostengono che nessuna donna possa davvero scegliere di vendere sesso in un sistema patriarcale. A questa provocazione Orellano nel suo libro risponde: «Solo noi puttane ci scopiamo il patriarcato? Almeno noi ci facciamo pagare».
Dall’altro lato c’è il femminismo sex positive in cui la libertà sessuale viene vista anche come libertà economica, e di conseguenza la possibilità di scegliere, negoziare e usare il proprio corpo come forma di potere e di sostentamento. Rivendicano insomma l’autonomia che passa anche dal diritto di decidere cosa fare del proprio corpo e del proprio piacere.
Fra questi due poli opposti si insinua il pensiero intersezionale, che invita a riflettere su come classe, razza, orientamento e provenienza influenzino le esperienze delle sex worker. Molte attiviste del Sud del mondo, come la stessa Orellano, accusano il femminismo bianco occidentale di essere elitario e non inclusivo: «Le puttane creano situazioni scomode nel sistema della politica del femminismo bianco», scrive.
Ma al di là dei sistemi politici e degli attivismi femministi, Puttana femminista accende una luce non solo sulla prostituzione, ma su come ancora oggi viene vissuto e percepito il sesso. Riflettendo, è sempre la sessualità e come tale viene esperita a essere il campo di conflitto, il luogo dove la libertà individuale incontra la paura collettiva. Ciò che la società continua a voler controllare, nascondere e punire (ovviamente ci sono casi in cui questo va fatto, ed è imprescindibile). Lo relega esclusivamente a piacere e conversazioni private, a porte chiuse, poiché nel momento in cui esce lo si condanna quando diventa visibile, esplicito e legittimamente contrattato. Che sia una donna che decide di fare la sex worker, o più banalmente una donna che parla apertamente del proprio piacere o una persona che rivendica la propria identità sessuale, il messaggio è sempre lo stesso: il sesso deve restare dentro i confini stabiliti dagli altri.
«Essere una puttana femminista», ci dice Orellano, «significa esercitare un potere. Significa essere una donna forte, combattiva che merita rispetto e non vive nell’illegalità o nella vergogna, una donna che si fa veicolo di situazioni scomode». Ed è forse proprio fuori da questa comfort zone che si misura quanto davvero una società sia disposta ad accettare il sesso non come un taboo, ma come diritto umano.








