Forza, ci servono più storie sull’Intelligenza Artificiale | Rolling Stone Italia
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Forza, ci servono più storie sull’Intelligenza Artificiale

Ce ne ha convinto la lettura di un libro di fiction speculativa, 'Intimità senza contatto', e pure il lavoro di un filosofo che teorizzava il "sex appeal dell'inorganico"

intimità senza contatto

Foto: Julien Tromeur su Unsplash

C’è un nuovo podcast di Wondery (che, insomma, sono di quelli bravi-bravi): si chiama Flesh and Code, inizia raccontando quella che sembra una (ormai) classica storia di poliamore e svela presto che forse è pure di quello si tratta, ma che il tema principale è, invece, il rapporto tra l’essere umano e la nuova macchina. Quella intelligente, artificialmente parlando. Si riporta, almeno nel primo episodio, dell’incontro tra Travis e Lily Rose. Il primo è un uomo in carne e ossa, la seconda è una donna in codice e codice. Non svelo di più, mi serve questo gancio: Travis entra in relazione con l’avatar per sopperire alla sua solitudine. Il resto è un gran casotto.

Flesh and Code non è solo un ottimo prodotto giornalistico, ma anche un buon metro per farsi un’idea del nuovo equilibrio tra speculazione e realtà, quando si tratta di nuove tecnologie e Intelligenza Artificiale. Ovvero: innamorarsi di un’AI sembra materiale tratto da Her di Spike Jonze o da discorsi provocatori al bar dopo qualche birretta. Invece, ascoltando il podcast, ci renderemo conto di come ciò sia tutto fuorché impossibile. Un altro esempio: immaginare ChatGPT come forma di conoscenza illuminata e superiore, alla stregua di una divinità, farebbe alzare le antenne della distopia letteraria. Invece è qui tra noi, e alcuni le vanno dietro per presunte capacità oracolari.

Un mondo terrificante invece vero, almeno nel reame della fantasia e che per ora rimane confinato all’interno del genere letterario, è quello di Intimità senza contatto, il romanzo della scrittrice taiwanese Lin Hsin-Hui pubblicato nel 2023 e portato in Italia quest’anno da add editore. In un poco specificato futuro, un’Intelligenza Artificiale centralizzata ha sostituito l’arbitrio umano in qualità di governatrice del mondo. Da essa, come in una versione 2.0 del Grande Fratello, si diramano scagnozzi e strutture di controllo volte a privare l’umanità di ogni facoltà decisionale. In quanto prendere decisioni è considerato fonte di fastidio, e quindi malessere, e quindi dolore. E poi, se un sistema di calcolo ha raccolto sufficienti dati per decretare che il bene sta o da questa parte o quella, sarà vero, no?

intimità senza contatto

Non solo: l’Intelligenza Artificiale ha deciso – quando la protagonista del romanzo, a cui non viene affidato un nome (non ve n’è necessità), era una bambina – che il contatto tra gli esseri umani fosse superfluo. Peggio: che il contatto tra gli esseri umani fosse tra le principali fonti di dolore per la nostra specie, in quanto andrebbe ad attivare punti molli, vulnerabili nel nostro essere. Inoltre, con il contatto fisico si comunicherebbero anche le emozioni provate dalle parti coinvolte. Ed essere interallacciati a un’altra persona, oh mamma mia, quanta sofferenza!

La soluzione è dunque semplice: basterà proibire il contatto tra gli esseri umani, affidando le funzioni di “accoppiamento” – inteso sia in senso sessuale che in senso semplicemente tattile – a una macchina tarata perfettamente sui bisogni del singolo, attraverso un processo di continuo monitoraggio. Il risultato desiderato è una relazione simbiotica. Al punto che, per poter entrare nel programma, agli umani viene richiesto di “arruolarsi” e sottoporsi a una procedura che comprende l’intera rimozione dell’epidermide e la sua sostituzione con un esoscheletro che possa interfacciarsi sensorialmente con la macchina. Alla faccia de La pelle che abito.

«Aveva un taglio di capelli identico al suo. Sembrava una sua copia, ma allo stesso tempo era completamente diversa. […] aprì leggermente le labbra e le parole di dispersero come nebbia, depositandosi sul volto di lei che lo guardava dal basso all’alto. “Benvenuta nel programma di ibridazione bio-sintetica. Io sono la tua metà, abbiamo lo stesso nome e la stessa identità. Ti prego, d’ora in avanti, di chiamarmi con il tuo nome». Remember you are one. Ecco di nuovo l’avvertimento che risuonava in The Substance di Coralie Fargeat: un film tutto attorno a un doppio che pare caduto dal cielo per risolvere i problemi, e che invece si rivelerà la peggiore, e deleteria, condanna a lungo termine.

Nel 1994, il filosofo Mario Perniola pubblicò un saggio dal titolo: Il sex appeal dell’inorganico. Ne riporta la sinossi ufficiale anche l’Associazione Italiana Transumanisti (sic), leggo dal sito: «Si annuncia così il passaggio da una sessualità organica, orgastica, fondata sulla differenza dei sessi, guidata dal desiderio e dal piacere, a una sessualità neutra, inorganica, artificiale, sospesa in una eccitazione astratta e infinita, sempre disponibile e priva di riguardo nei confronti della bellezza, dell’età e delle forme». Nella spalla a sinistra della pagina c’è un link al test per vedere se si è transumanisti. Finisco qui, poi vado a barrare crocette.

In realtà, il libro di Lin Hsin-Hui non arriva su questi lidi. Al massimo rafforza la necessità di contatto umano tra gli umani: tipo quegli esperimenti in cui non si parla a un neonato, o lo si lascia in mezzo a un branco di lupi, e chissà perché il neonato non diventa un lupo e non riesce a farsi capire nei suoi bisogni dagli altri suoi simili, quindi va a finire che muore male senza averci nemmeno potuto provare, a giocare alla vita… Eppure è difficile rimanere indifferenti quando il replicante della protagonista pronuncia queste parole, nei primissimi tempi della loro conoscenza (sul suo petto gira una percentuale, indica il livello di sincronizzazione, o simbiosi, tra l’umano e la macchina, che sta a significare quanto la macchina sa comprendere, ma anche governare, il senziente): «”Non puoi comprendermi”, aveva continuato, “perché io sono un essere vuoto. Non c’è niente al mio interno che possa essere oggetto della tua comprensione. Io non sono altro che un recipiente progettato per contenerti”». Datemi della transumanista, ma se non avete provato anche voi un brivido erotico alla progettazione per contenimento

Lei e il suo androide formate proprio una bella coppia diventa così un mantra per la protagonista e per le altre coppie bio-sintetiche che incontra per la città, mentre si reca al lavoro, e semplicemente passa la sua vita in solitudine, codipendente dal suo replicante. Anche perché, à la Black Mirror, un più alto livello di sincronizzazione significa benefici sbloccati (come nuove pettinature molto trendy, o un bicchiere di Champagne al ristorante), e anche solo il fatto di aver accettato di partecipare al programma di ibridazione bio-sintetica proietta l’umano in uno nuova realtà, in cui ogni cosa è stata ripulita e illuminata.

È una «marcia verso un mondo più puro», finalmente immune dalla sofferenza. W l’atarassia, hanno vinto loro. Oppure anche: dall’annosa riflessione sulla bellezza come fattore di vantaggio o svantaggio evolutivo, l’unica cosa che ci può venire in mente è che, se potessimo cambiarci tutti i connotati per diventare dei figatomici, quel vantaggio (o svantaggio) scomparirebbe. Vincerebbe l’animo, l’essenza rimarrebbe l’unica cosa. Liberarci del corpo è uno dei dei desideri più grandi. In quella direzione spinge anche la ricerca di Perniola: l’inorganico è un tipo di corpo diverso, in-senziente. Amiamo quello che ci manca, per dirla con Platone; amiamo quello che vorremmo (essere).

La vera uguaglianza è non avere libertà, potrebbe essere dunque una parafrasi del mondo nuovo presentato dalla fiction speculativa di Lin Hsin-Hui. Una corruzione dei rapporti umani in modalità diabolica, perché è il diavolo che spariglia le carte e che imita in chiave profana. «Era diventata come un elettrodomestico», si dice della protagonista a un bel punto. Eh, ma che elettrodomestico! Una gran bella lavatrice, con il bordo perfettamente luccicante.

È un incubo lucido, è un avvertimento, è una profezia? Su ciò che ci fa accapponare la pelle (o che ci stuzzica) di Intimità senza contatto deciderà solo il tempo. Intanto, ogni allarmismo mirato all’Intelligenza Artificiale è inutile, almeno secondo alcuni scienziati e ricercatori che hanno risposto al quesito: “Puoi fermare ora l’Intelligenza Artificiale. Sparisce dal mondo per sempre, con tutte le sue evoluzioni. Lo fai?”. È un esperimento fatto dal Post, e nessuno degli interpellati ha risposto positivamente. Walter Quattrociocchi per esempio, Professore di Informatica alla Sapienza di Roma e direttore del Centre for Data Science and Complexity for Society, giustifica così la sua scelta: «L’Intelligenza Artificiale, oggi, non è affatto un’intelligenza. È una forma di ingegneria statistica applicata al linguaggio, uno specchio addestrato sulle nostre parole che ci restituisce pattern plausibili, non verità, né comprensione del mondo».

 

 
 
 
 
 
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O ancora secondo Mariarosaria Taddeo, filosofa e Professoressa di Etica digitale e tecnologie di difesa all’Università di Oxford: «L’AI è un motore sintattico, che elabora simboli senza capirne il significato e secondo regole imposte da un/a programmatore/trice. Non è intelligente, si comporta come se lo fosse». Ecco: al netto dell’ottima costruzione del mondo di Lin Hsin-Hui, questi sono i vademecum da tenersi accanto quando la certezza vacilla e l’ansia monta: «Il problema non è l’AI in sé, ma la narrazione che la circonda, che scambia correlazione per comprensione, output per giudizio, eloquenza per competenza», aggiunge Quattrociocchi.

Allora forse dovremmo produrne e fruirne persino di più, di fiction sull’AI & noi. Per esorcizzarla, per tranquillizzarci, per tornare a prendere controllo della materia e renderci conto che, in fondo, siamo noi ad avere il proverbiale coltello della parte del manico, anche nel caso di un nemico invisibile. Disclaimer: questa è una proposta di pura invenzione umana, e non si basa su alcun dato statistico. Ma è (anche) così che la letteratura ci parla di chi siamo. Guardatevi dai programmi di ibridazione bio-sintetica, ché non ne valgono la pena.