Elsa Morante è stata innanzitutto una scrittrice e poi tutto il resto. E scrittrice lo è stata subito, fin da bambina. Un essere unico, dotato di una straordinaria immaginazione e di una visione febbrile e fervida, fatta di storie dalla forza inesauribile. Una donna dal carattere perennemente irrequieto, ma sempre legata esistenzialmente al proprio fare. Alla scrittura come unica forma possibile dell’esistere.
Elsa Morante fu irrisolta, bizzosa, antipatica e generosa, odiosa e nichilista, appassionata e distratta. Si potrebbe andare avanti all’infinito nel descrivere gli infiniti mondi emotivi che la scrittrice romana era in grado di contenere e al tempo stesso di generare anche nelle persone con cui entrava in contatto. Morante agiva come un’attizzatrice spontanea e naturale, dando forma a una maieutica dell’incontro, ma anche e non di rado dello scontro, che spesso poi si rivelava oltre che durissimo e faticoso, anche dalle conseguenze definitive.
Morante sembra così essere in grado di tenere dentro di sé, concentrati in una straordinaria tensione, tutti i possibili e immaginabili caratteri umani. Un pulviscolo di emotività denso, capace di dare corpo a improvvisi temporali e a devastanti cicloni. Un materiale vivo e vastissimo con cui Morante era anche in grado di generare vita, facendo scaturire di volta in volta straordinari personaggi e attuando invenzioni letterarie che trasudavano umanità e verità su ogni riga stampata. Organi vivi dalla prima all’ultima pagina, capaci di pulsare sotto gli occhi dei lettori con una coerenza e una realtà che nemmeno lei era in grado di ottenere nelle propria vita, quella sì irreale, assurda e violentemente costretta spesso alla solitudine.
Laura Morante, che con la zia ebbe un rapporto complesso e complicato (come praticamente chiunque), mi ha offerto probabilmente la descrizione più esatta e puntuale di Elsa: «Credo valgano per lei le lucide parole che ha scritto Balzac a proposito degli scrittori: “Tout écrivain porte en son cœur un monstre qui, semblable au taenia dans l’estomac, y dévore les sentiments à mesure qu’ils y éclosent …. Il faut être un grand homme pour tenir la balance entre son génie et son caractère. Le talent grandi, le cœur se dessèche. À moins d’être un colosse, à moins d’avoir des épaules d’Hercule, on reste ou sans cœur ou sans talent”». Tradotto: «Ogni scrittore porta nel cuore un mostro che, come una tenia nello stomaco, divora i sentimenti non appena sbocciano. Ci vuole un grande uomo per mantenere l’equilibrio tra il suo genio e il suo carattere. Man mano che il talento cresce, il cuore appassisce. A meno che non si sia un colosso, a meno che non si abbiano le spalle di Ercole, si rimane o senza cuore o senza talento».
Un mostro, ovvero una creatura mitica che contiene qualità elevatissime e anche tratti di malvagità, un essere di cui è necessario prendersi cura senza requie alcuna, dimenticandosi forzatamente di se stessi in nome suo. Elsa Morante era così capace di agire nella profondità dell’umano, scorgendola e perlustrandola palmo a palmo, da essere in grado di svelare chiunque levandogli anche l’ultimo velo protettivo, strappando così – anche ai più amati – quella pelle che per ognuno è necessaria per accettarsi e per farsi voler bene.
Non era una cattiveria indotta, e non fu quello di Elsa Morante un atteggiamento dettato da un’ideologia così come da una condizione sociale che la obbligava a vivere in nome di un’ambizione prioritaria, ma fu natura, arte e passione. Tre elementi che le diedero felicità e dolore sempre in quantità assolute.
Il suo successo, come ricorda Ludovica Lugli nel suo prezioso quanto puntuale e utile saggio Le chiavi magiche. Indagine di una lettrice su Elsa Morante e i suoi romanzi (UTET), non è mai stato messo in discussione, subito lo ha avuto e sempre lo ha ottenuto. E anche dopo la sua morte, la sua opera non ha attraversato quel periodo di dimenticanza che colpisce gli autori da poco scomparsi, quasi un purgatorio, un’ulteriore verifica dei vivi verso i morti e al loro reale valore. No, Morante è sempre rimasta sui banchi delle librerie, mai un suo titolo è finito fuori catalogo.
Perché Elsa Morante non dovette scontare mai la pigrizia e l’ottusità di una società letteraria distratta come accadde per esempio a Goliarda Sapienza, riscoperta dopo la sua morte e prima in Francia che in Italia. E tanto meno dovette mai emanciparsi da un ruolo – quello di moglie di – come accadde a Natalia Ginzburg, pur essendo stata a lungo proprio Elsa Morante la moglie di quello che era il più importante romanziere italiano del tempo: Alberto Moravia.
Elsa Morante ha dominato la scena culturale italiana sempre, e lo ha fatto da un punto di vista che allora appariva pre-femminista – lei si definiva poeta e non poetessa – e che oggi sembra contenere un segno invece opposto, un femminismo così radicale da pretendere non un futuro, ma un presente, non un domani, ma un pragmatico, utile e godibile adesso.
La separazione da Alberto Moravia non fu uno scendere a patti, ma un chiedere e un ottenere che anticipò in parte molti dei temi contenuti – fino allo sfinimento – in Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra di Carla Lonzi (oggi finalmente ripubblicato per merito de La Tartaruga). Con la differenza, in parte sostanziale, che la posizione di Morante non era sociale, non era pubblica, era esclusivamente autoriale, ovvero frutto di una visione assoluta in cui è l’autore, l’autrice a determinare ogni gioco, campo d’azione compreso.
Le sue contraddizioni erano meravigliose pulsioni vitali in grado di contenere rabbia e vibrazioni prima ancora che esiti poetici e melodici. Scoppi, esplosioni inconfondibili che nulla c’entravano con i fuochi d’artificio e molto con il pericolo, il rischio e soprattutto con la forza estenuante della letteratura quando questa viene intesa come elemento assolutamente primario e vitale.
Mai Elsa Morante si è tirata indietro quando si trattava di scrivere, nemmeno sotto i bombardamenti come scrive Anna Folli in MoranteMoravia, storia di un amore (Neri Pozza) dove racconta dell’incontro tra Morante e Moravia con Giacomo Debenedetti, che consiglia vivamente a entrambi di sfollare fuori Roma visto che la città è attraversata dai rastrellamenti tedeschi e colpita dai bombardamenti Alleati. Nulla da fare, Elsa Morante prima di tutto deve chiudere il romanzo che sta scrivendo in quei giorni. La vita viene – sempre – dopo.
E forse è questa la più grande contraddizione di Elsa Morante, vivere una vita bruciante, scomposta e appassionante e al tempo stesso relegarla in secondo piano, dopo i libri e la letteratura. Un fare urgente e un esistere romantico, che evidentemente attrae soprattutto i lettori e le lettrici più giovani perché Elsa Morante gode come tra l’altro Goliarda Sapienza, Natalia Ginzburg, Lalla Romano e Marina Jarre – scrittrici molto diverse tra loro – di forti nicchie di lettrici appartenenti a quella che banalmente viene definita generazione Z o X che dir si voglia. Giovani donne Under Trenta che mal sopportano le etichette e l’alfabeto con cui una società di vecchi prova a definirle e catalogarle. Donne capaci di sfuggire al proprio tempo e alle sue miserie, muovendosi su più campi dando forma così a un ecosistema che esplode la linea del tempo in una costellazione di stelle tutte contemporanee al loro sguardo.
Una pratica di possesso forse a tratti ingenua, ma così straordinariamente efficace e generosa che avrebbe probabilmente regalato una non celata soddisfazione alla stessa Morante. E fa bene Ludovica Lugli, giornalista de Il Post e conduttrice insieme a Giulia Pilotti del podcast Comodino, a non inoltrarsi in un’analisi letteraria e critica, ma a presentare la figura letteraria di Elsa Morante contestualizzandola all’interno del suo periodo storico, perché la forza intrinseca della sua opera e la curiosità che genera nelle nuove generazioni sembra avere la forza sufficiente per attrarre sempre nuovi lettori. E del resto se si tolgono i testi critici di Cesare Garboli, probabilmente il testo più interessante su Morante è proprio il volume L’anno della Storia 1974-1975 (Quodlibet) dedicato a La Storia e al dibattito che ne scaturì da Angela Borghesi.
Lugli da attenta lettrice si mette invece a fianco delle migliaia di lettrici che oggi aprono per la prima volta un libro di Elsa Morante, una condivisione intima e privata che qui ha la forma di un diario pubblico. Lugli accompagna i lettori opera per opera offrendo un ritratto completo della più importante scrittrice italiana di questo nostro lungo tempo che vive questo secolo come il rimpianto contemporaneo di quello precedente.
A Subiaco la Fondazione Fondamenta per Subiaco Capitale Italiana del Libro 2025 organizza per i 40 anni dalla scomparsa di Elsa Morante dal 23 novembre una serie d’incontri a lei dedicati. Si parte il domenica 23 novembre (sempre ore 17:30) con Sandra Petrignani e Giulia Caminito con Elsa Morante e le amiche geniali, seguono sabato 29 novembre in collaborazione con Fondazione Bellonci, Melania Mazzucco e Stefano Petrocchi con «Arturo sono io», Elsa Morante vincitrice del Premio Strega, domenica 30 novembre Elena Stancanelli e Paolo Di Paolo con Hai mangiato? L’amore e la fame nell’opera di Elsa Morante, venerdì 12 dicembre Nicola Lagioia con Uno scandalo che dura da diecimila anni. La guerra vista dalla letteratura e infine domenica 14 dicembre Cristina Comencini, Francesca Archibugi, Emiliano Morreale con Elsa Morante sullo schermo.
Perché per leggere Elsa Morante è necessario del coraggio e un senso di sé e del proprio futuro che sappia contemplare insieme all’amore e alla felicità anche il dolore e la tragedia che possono contenere, scrive Morante ne L’isola di Arturo: «C’è un mucchio di gente, che, appena nasce, si prende paura, e rimane sempre con la paura di tutte le cose!». E di gente giovane e coraggiosa è fatto oggi il corpus delle sue lettrici e dei suoi lettori.








