Che sia una rave o una manifestazione, non possiamo fare a meno delle folle | Rolling Stone Italia
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Che sia una rave o una manifestazione, non possiamo fare a meno delle folle

Lo argomenta un libro uscito il 19 settembre per add editore, 'Moltitudini. Anatomia e politica delle folle' di Dan Hancox. Secondo il quale, che ci piaccia o no, tutto nasce dall'aggregazione

folla

Foto: Rob Curran su Unsplash

Georges Lefebvre è stato tra i primi a interrogarsi su quali fossero i bisogni, gli interessi, i sentimenti e, soprattutto, l’immaginario delle classi popolari. Nel 1954 si occupò delle “folle rivoluzionarie”, protagoniste nello svolgersi degli eventi della Storia. L’età delle folle, come lui la descrisse, coincide con quella della democrazia: quando queste irrompono sulla scena, incrinano l’ordine naturale e gerarchico che aveva sempre escluso le classi subalterne dai processi decisionali. Soggetto e al tempo stesso oggetto dell’azione politica, le folle assumono volti molteplici e spesso contraddittori che ancora oggi meritano di essere indagati. È in questa prospettiva che si inserisce il libro Moltitudini. Anatomia e politica delle folle (add editore) di Dan Hancox. Una pubblicazione urgente se pensiamo all’atomizzazione e alla solitudine tipiche della nostra contemporaneità – una condizione che lo stesso Lefebvre, crediamo, avrebbe fatto fatica a immaginare.

moltitudini add editore

Foto: press

Il libro affonda infatti le sue radici nel lockdown, quando l’autore si accorge di essere orfano di una dimensione per lui essenziale: proprio quella della folla. Dan Hancox, veterano della cultura rave, dei concerti grime, delle manifestazioni di piazza e tifoso di calcio, capisce quanto gli manchi non solo la compagnia degli amici, ma anche l’esperienza di perdersi tra sconosciuti. Sciogliersi nella moltitudine, sostiene, significa rispondere a un desiderio primordiale: sentirsi parte di qualcosa di più grande di sé. Una sensazione che però era già in crisi ben prima della pandemia.

Nel Regno Unito, da cui Hancox proviene, la vita comunitaria andava erodendosi da decenni: la privatizzazione degli spazi urbani e le politiche di austerità hanno chiuso migliaia di centri civici, biblioteche, associazioni giovanili. A questo si sono aggiunte leggi repressive: dal Criminal Justice and Public Order Bill del 1994, che criminalizzò i rave, al più recente Public Order Bill del 2023, che espande il potere della polizia nel reprimere le manifestazioni di protesta. L’orizzonte senza folle, divenuto realtà con il Covid, è dunque frutto di un processo di erosione del diritto stesso di riunirsi, messo in discussione da una visione distorta e conservatrice delle masse.

Secondo Hancox, la nostra concezione moderna della folla è stata modellata alla fine del XIX secolo dallo studioso proto-fascista francese Gustave Le Bon. Il suo libro Psicologia delle folle ebbe un’influenza enorme: fu lodato da Freud, letto e citato da Mussolini e persino adottato come strumento dalla macchina propagandistica nazista. Per Le Bon, la folla degrada l’individuo: dissolve la responsabilità personale nell’anonimato, sostituisce la moralità con pulsioni animali, e senza una guida forte si abbandona inevitabilmente al caos. Solo un leader carismatico può incanalare questa energia distruttiva, distogliendola dall’anarchia e dal “pericolo” rappresentato da democrazia e socialismo, per orientarla verso l’ordine e la gerarchia. Con l’espansione delle città e l’aumento della popolazione, le folle divennero più numerose e visibili, e lo schema leboniano continuò a influenzare il modo in cui le raccontiamo ancora oggi. In fondo, non è che la versione moderna di uno scetticismo antico, che risale almeno a Platone, convinto che la moltitudine fosse un ostacolo insormontabile per le aspirazioni più nobili della democrazia.

L’idea che le folle siano per natura pericolose continua a orientare tanto le tattiche di polizia quanto il modo in cui politici e giornalisti raccontano le manifestazioni. Lo si è visto chiaramente durante i disordini di Londra del 2011, scoppiati dopo l’uccisione del giovane Mark Duggan per mano della polizia. Migliaia di persone scesero in strada, tra proteste e saccheggi, e i titoli dei giornali parlarono subito di “regno dei teppisti”. L’allora primo ministro David Cameron ridusse tutto a pura criminalità, senza interrogarsi sulle cause. Media e politica mostrarono scarso interesse per le rivendicazioni alla base delle rivolte o per la possibilità che in quelle strade ci fossero persone spinte da motivazioni reali. In quel clima repressivo, Keir Starmer – oggi primo ministro e allora capo procuratore – approvò sentenze esemplari: a un manifestante furono inflitti quattro anni di carcere per aver postato su Facebook un messaggio di incitamento alla violenza, che non ebbe alcun effetto concreto. Per Hancox, quelle rivolte rappresentarono una forma di sfida – caotica e nichilista – da parte degli esclusi verso chi detiene il monopolio del potere. Una delle poche espressioni collettive di rabbia possibili in un Paese dove, da anni, i canali di azione collettiva come centri comunitari, circoli giovanili e sindacati sono stati smantellati.

Hancox mostra come le folle, nella maggior parte dei casi, offrano agli individui la possibilità di esprimersi più pienamente e, talvolta, con maggiore impatto politico. Entrare in una folla significa lasciarsi trascinare da una marea emotiva, accendersi grazie all’energia di chi ci circonda. I limiti individuali si dissolvono: diventiamo più della somma delle nostre parti. Ne usciamo trasformati, a volte ricolmi di gioia, altre volte con la convinzione che il cambiamento sia necessario e urgente. È proprio questa forza liberatoria, sostiene, a spiegare perché l’establishment continui a rifugiarsi nella visione draconiana di Gustave Le Bon. L’ostilità verso la massa, in realtà, non è che ostilità verso la democrazia, mascherata da una presunta preoccupazione per l’ordine e la decenza. Quella di Hancox è, in fondo, una prospettiva radicalmente umana: se partiamo dall’idea che la maggior parte delle persone è fondamentalmente buona, e che lo resta anche quando si ritrova in gran numero, allora la priorità di una democrazia non dovrebbe essere quella di proteggere i cittadini dalle folle, ma piuttosto di garantire loro il diritto di radunarsi in sicurezza.

Tuttavia, le folle non sono sempre una forza positiva, né necessariamente orientate verso una società più giusta ed egualitaria. Hancox lo riconosce e distingue tra due tipologie: da un lato le folle eterodirette, che si stringono attorno a un leader carismatico, dall’altro quelle più egualitarie e auto-organizzate, radicate nella solidarietà orizzontale e in un’identità condivisa. Le prime tendono a essere antisociali; le seconde a incarnare principi umanistici. Hancox esalta, per esempio, la potenza delle mobilitazioni di Black Lives Matter, nate dal basso e sostenute da reti di movimenti sociali, e condanna invece l’insurrezione del 6 gennaio, istigata dai vertici politici con Donald Trump in prima fila a incitare i suoi sostenitori a marciare sul Campidoglio. È evidente che una folla auto-organizzata che scende in strada contro il razzismo non è paragonabile a una folla insurrezionalista che minaccia di abbattere la democrazia americana. Ma la linea di confine tra queste due forme non è sempre così netta e il rischio potrebbe essere quello di applicare l’una o l’altra categoria in base alla nostra personale visione del mondo.

Che la distinzione proposta da Hancox sia del tutto convincente o meno, la sua missione resta significativa. Alcuni dei momenti più riusciti del libro sono quelli in cui racconta i piaceri di ballare al Carnevale di Notting Hill o la gioia collettiva di tifare per l’AFC Wimbledon in una partita di Serie B inglese. Lo si può iniziare a leggere per la solidità dell’analisi politica e ritrovarsi conquistati dalle sue invettive contro gli sponsor aziendali dei festival. Ciò che rimane indiscutibile, però, è la sua intuizione centrale: la salute individuale e quella politica di un paese dipendono dalla possibilità delle persone di riunirsi liberamente e di costruire legami di comunità con chi hanno accanto.