La migliore amica aspetta una bambina. Chiedo: “Come la chiamerai?” “Elsa”. “Ah, come la Morante”. Provo io. “No, perché è un bel nome e non vuol dire niente. L’elsa della spada, o al massimo manico”. Esce in questi giorni un libro animato dallo stesso spirito e scritto per bambine come Elsa: che suonano bene e fanno ridere, padrone e mai succubi dei doppi sensi, un po’ letterarie, ma non troppo, fantastiche e mondane, a volte commoventi. Le bambinacce – scritto da Veronica Raimo e Marco Rossari, con illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio e edito da Feltrinelli – è una raccolta di filastrocche, o poesie, o scioglilingua impertinenti, che viene da definire tali solo perché così è più divertente (e fa assonanza). Né le protagoniste né i propri autori si leggono come sfacciati o impudenti, anche se l’associazione di infanzia e sessualità farebbe genericamente rientrare questo esilarante canzoniere nella categoria delle sconcezze tabù. Ma le bambinacce – come annunciato dalla fonte arbasiniana in apertura – se ne fregano della norma e la mandano “aff… all’inferno”.
Le cinquantacinque poesie sono estreme, polarizzanti, come succede in ogni favoletta che si rispetti: leggetene un paio e farete fatica a pensare in prosa. Innanzitutto le bambinacce odiano, amano e soprattutto vogliono, hanno preferenze spiccate per persone e cose e animali (spigoli, barbe, dottori, fantasmi) e vivono e muoiono con grande ardore. Del resto durante l’infanzia ogni sentimento è totalizzante, e solamente nell’infanzia ci è dato vivere le emozioni con tutta l’intensità della prima volta. Questo sì è un tratto realistico della raccolta: se solo da piccola avessi avuto potuto leggermi come una bambinaccia…
Fin dalle prime rime, Raimo e Rossari pescano nel bestiario della lingua italiana e ribaltano luoghi comuni con l’ausilio di un lessico corporale: gli aculei di un porcospino non pungono – sono spine nel cuore o “sotto la pelle / sotto le unghie, sotto le ascelle”. Introdotte da una Pierina Porcospina che poco ha da spartire con lo Struwwelpeter (libro illustrato per bambini di Heinrich Hoffmann dell’800, ndr), le bambinacce sono sempre aperte, alla scoperta e in ricezione. Se proprio devono chiudersi non lo fanno a riccio: lo fanno a ostrica. Il riferimento a Morte malinconica del bambino ostrica, infatti, è immediato, omaggiato e sbeffeggiato da una bambina poetessa che “gradiva il senso sciolto / del sesso libero / il desiderio sconvolto / del verso brivido”.
Il rimando alle filastrocche di Tim Burton è essenziale per apprezzare il ruolo del freak nelle Bambinacce, perché le protagoniste qui sono creature fantastiche o “anormali” a seconda del contesto e perché la loro forma espressiva è la poesia, una stramberia per lettori e scrittori eccentrici, nell’odierna industria letteraria. Un’altra opera eccezionale imparentata forse con il lavoro di Raimo e Rossari è Il libro dei gatti tuttofare di T.S. Eliot, da cui è tratto il musical Cats e che presenta a sua volta un catalogo di mostriciattoli antropomorfi in libera uscita. Evidentemente citazionismi e pegni letterari spuntano ovunque, ed è possibile coglierli anche per i meno eruditi: dalle “chiare fresche / dolci tresche” di una “personaggia filomarittima”, a una bimba in amore di tombe che legge lo Jacopo Ortis, fino a quella che non si fa comprare da facili casi editoriali – Storie della buonanotte per bambine ribelli – e “davanti a quello scempio / da giovani marmotte / sbadigliava forte”.
Ma per ogni bambina “che voleva essere un enjambement” ce n’è anche una che odia le favole e si ribella alle norme moralizzanti del genere letterario. Raimo e Rossari deformano i topoi della narrativa per l’infanzia con penna godereccia. Così a Pinocchio, “dall’eccitazione perfetta / di crescere in fretta”, spunta un’erezione. Quel fighetto di Peter Pan viene scartato per amplessi col Gobbo di Notre Dame. L’Uomo nero diventa oggetto del desiderio. Come per bilanciare l’aspetto dotto, molti versi si rilassano col gergo quotidiano (“e li faceva i patti / senza sbatti” o “un fiorellino solitario / come un tag sul binario”) e nello slancio meticcio verso parole straniere. Un po’ come faceva Tommaso Labranca in Le poesie dell’agosto oscuro: “La piazzò in penitenza / davanti al phon Toshiba / e la sola conseguenza / fu una bolletta depressiva.”
Le bambinacce sono anche agili e moderne, e abitano un mondo non binario: c’è la bambina che era un bambino e quella che voleva non uno, ma due bambini. E poi una delle preferite, la Raperonzolo queer delle Bambine incendiarie, genio dalla prima strofa perché “ogni principe azzurro / le pareva un buzzurro”. Infatti, queste signorine sono infallibili a smascherare falsi miti, o ad additarli nella cultura cinematografica. Come “la bambina che faceva la danza del palo”, che “ballava da sola / senza la luce romantica / della Toscana magica / la sfattanza estetica / della casa colonica / i vestiti corti a fiori / per il gusto dei signori”.
Chiunque si può perdere in queste rime sbarazzine e magari ritrovarci sprazzi di autobiografia. Le nostre bimbacce sono malinconiche, ossessive, annoiatissime, sapientone, spazientite, addirittura aspiranti comuniste. Alle volte semplicemente non riescono a fare la cacca. Come noi insomma, con in più la magia (o l’utopia?) di dominare le qualità “disumane” che le emarginano.
Freak in realtà lo sono agli occhi del lettore bigotto o di mamme, papà, maestre e preti, contro cui talvolta queste marmocchie lottano. Ma le protagoniste delle Bambinacce evolvono nel contemporaneo l’invenzione di Todd Browning: non si vendicano contro la società che le respinge e le distorce, ma si sviluppano padroneggiando appieno le loro identità non conformi. Diventano supereroine. E non importa se per caso – “c’era una bambina / che era uno sgorbio: / trovò un bambino orbo / e l’avvenenza fu / un ricordo” – o per propria volontà: “Piacere dolcissimo / tenerissimo godere: / la supersensibilità / era un superpotere”.